Spazio 7: la Mecca di arte contemporanea e cucina tradizionale
Crediamo un po’ nei significati dei nomi. Chef di Spazio 7, dal 2015, è Alessandro Mecca. Il suo percorso di vita rispecchia perfettamente l’immagine di un uomo che si è recato in un luogo, la cucina, con lo scopo di realizzare le proprie aspirazioni. Classe 1984, di Torino, ha una memoria infallibile, collega momenti e volti, li racconta con estrema lucidità. Il rapporto con la cucina inizia da bambino, il doposcuola era la scuola: la cucina. I magazzini del ristorante Crocetta, di famiglia, erano la sua New York. Si gioca a nascondino tra le pile di casse di acqua o di vino. Sullo sfondo le urla dei genitori o i rumori di pentole. Si corre, cadono vassoi. Le posate sono da cambiare. Si vive nel mondo degli adulti, e ci si addormenta nelle ceste delle tovaglie sporche. A soli quindici anni sembra che la vita abbia poca fantasia con lui, il destino è pressoché segnato. Inizia a studiare sui libri del padre, lavora come garzone per arrivare a comporre i primi dolci, solo mono porzioni. Ama, ascolta e si fida solo delle persone materiali, quelle pratiche come lui. Quelle che producono. A diciannove anni a quei tempi la leva è ancora obbligatoria. Quando torna ha imparato a stare al mondo. Disciplina, rigore, rispetto. Per se stesso, in primis. Istintivo, sceglie di mettersi in gioco, inizia a fare esperienze in ristoranti piemontesi tra cui Guido, Al Sorriso e La Ciau del Tornavento. Dalla sua ha la fortuna di poter metter in pratica la manualità appresa nel ristorante di Casa.
Ma la cucina si fa stretta, vola in Brasile per uno stage in uno dei ristoranti 50best, il DOM di San Paolo con Alex Atala. Torna e capisce una volta per tutte che era arrivato il momento di concedersi i l privilegio di vivere il suo destino. A ventisei anni apre il suo ristorante a Villanova d’Asti. Paga forse il prezzo di essere troppo buono, o troppo ingenuo. Nel 2015 inizia l’avventura con la famiglia Re Rebaudengo di Torino. In meno di un mese arriva la firma. In tre anni, nel 2018, arriva la stella. Lo staff scelto è più adulto e motivato per raggiungere lo scopo. Oggi si continua a lavorare per tenerla, la stella, e migliorarsi, giocando con una cucina che si basa su pochi ingredienti per sviscerarli in menu totalmente veg o tradizionali in piatti italiani e gustosi, con un tocco d’arte. Si predilige il manierismo, pochi ingredienti e gusti, che danno il ritmo, creano gioco, sorprendono sebbene in qualche piatto ci siano delle salse a coprire le materie prime. Si punta sull’acidità per alleggerire il percorso. In sala, il giovane team fa star bene gli ospiti sfoggiando la passione per il proprio mestiere.
L’arte della contemporaneità, tra acidità e dolcezza
Seduti in un ambiente minimal, con il cocktail bar a dare luce a una sala un po’ buia, si inizia dagli starter, dallo starter sempre presente: pomodorino ricostruito, già raffigurato nel menu. Il ripieno è con peperone e tonno. Si vince subito. Immancabile, poi, l’assaggio del pane, con un olio potente spalleggiato da un assaggio di qualche pomodorino concentrato. Un richiamo alla dolcezza e all’intensità per prepararsi al cannolicchio e midollo, come il sale della nespola che accelera e unisce i sapori. E von essendoci, qui, la vista sui laghi o sui vigneti, l’ispirazione arriva dalle opere d’arte in mostra nella confinante struttura, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, installazioni contemporanee che aprono la testa e portano a veder il mondo da altre prospettive. Arriva la zucchina (trombetta) Paul Smith, piatto veg in omaggio al designer delle righe, dei colori sgargianti. C’è brio e allegria con il giallo, peccato per la maioneseLa maionese (dal francese mayonnaise o dal catalano maonesa) è una salsa madre, cremosa e omogenea, generalmente di colore bianco o giallo pallido, che viene consumata fredda. Si tratta di un'emulsione stabile di olio vegetale, con tuorlo d'uovo come emulsionante, e aromatizzato con aceto o succo di limone (che aiuta l'emulsionamento). La ricetta tradizionale prevede l'uso di olio d'oliva e... Leggi di ginepro che virava un po’ troppo sul dolce.
A sorpresa, tra i molti piatti di ingresso, c’è quello composto da fave, pecorino e menta. Calembour di consistenze. La spuma di formaggio, con cremosità e delicatezza, nasconde tutto, come una nuvola. Arrivato a temperatura ambiente anche un ghiacciato crème caramelIl crème caramel, caramel custard o latte alla portoghese è un budino spagnolo con uno strato di caramello liquido in superificie, a differenza della crème brûlée, nella quale è solido. Preparato con uova, latte, zucchero e vaniglia, per la sua peculiarità di poter essere preparato in anticipo, si è diffuso in modo quasi ubiquitario nei menu dei ristoranti europei. E'... Leggi di fave: ecco l’equilibrio, un dolce che ricorda i formaggi d’alpeggio. Ma si tratta del tempo di un sorriso. Un solo cucchiaio. Immaginiamo il mare e una dolcezza perfetta nel riso alla pescatora, la bisque
E' una ricetta della cucina francese tipicamente basata sul brodo di crostacei (aragoste, astici, gamberi di fiume). Si tratta di una zuppa che può essere servita in purezza oppure utilizzata come fondo di cottura per la preparazione di altre pietanze. È da considerarsi a tutti gli effetti un fondo bruno a base di crostacei. Per preparare la bisque è necessario... Leggi ai ricci di mare diventa un’arena, accoglie il teatro, e il suo intrattenimento. In primo piano resta il pesce e la sensazione di avere tra i denti un’ottima materia prima.
Sul secondo piatto – secondi piatti, più un intermezzo piemontese – c’è un vitello in due servizi, un crescendo per complessità. Si parte con la versione marinata poi abbrustolita che sarà tartareLa bistecca alla tartara (conosciuta anche come carne alla tartara, steak tartare o più comunemente tartare) è un piatto a base di carne bovina o equina macinata o finemente tritata e consumata cruda. La ricetta prevede che dopo essere stata triturata la carne deve o marinare nel vino o in altri alcolici oppure viene aggiunto del succo di limone e... Leggi, servita con una salsa d’ostrica. Segue un carpaccio, un omaggio a Cipriani, delicatissimo, e il pani câ meusa, panino con la milza, con pecorino, pepe, strutto. Si affonda nel grasso, la sensazione temporanea è quella di essere in un nucleo di morbidezza. Ma prima c’è spazio per intermezzare con un assaggio di plin, il ripieno è una carne di bollito tagliato a mano, assaggio che riporta alla cucina di Ugo Alciati. Il secondo servizio vede una cottura della carne al sangue tenace, forte, tutto su un fondo intenso e coriaceo. Si alleggerisce con quel velo vegetale in superficie, fatto di ginepro ed erbe, voluto non per correggere ma per alleggerire, l’acidità compagna e contrasta. A dare altro gusto più dolce ci penserà la millefoglie di patate con una goccia del caglio di capretto.
Il percorso si lascia accompagnare da vini naturali o da rossi di Loira, Pecorino e Gamay che, sebbene fossero un po’ anonimi ed evoluti, non hanno inficiato la piacevolezza dell’insieme. Si chiude con un pre-dessert: un tiramisù consistente e un Belpaese, omaggio a Cattelan, dove il cioccolato bianco dirompe e il gusto si fa deciso, ma d’equilibrio notevole.
La galleria fotografica:
L’ingresso. La sala. Pomodorino ricostruito. Olio e pomodoro. Pralina di parmigiana. Fave, pecorino, menta. Zucchina Paul Smith. Riso alla pescatora. Vitello in due servizi: 1° parte. Tartare. Carpaccio. Panino alla milza. Agnolotti. Vitello in due servizi: 2° parte. Belvedere.