L’orizzonte in Via dell’Orizzonte
‘Colli’, ‘siepi’ e ‘orizzonti’ fanno profondamente parte dell’anima marchigiana. Ne intridono lo spirito e ne orientano la sensibilità: non solo perché in eterno vivono nei celebri versi del conte recanatese, ma perché davvero, in questa terra, ogni giorno, «il guardo» plana di balza in balza, su un dolce paesaggio sospeso, ove «l’ultimo orizzonte» pare non avere mai fine. Come accade Dalla Gioconda.
«Interminati spazi» e «sovrumani silenzi», quindi, fra cangianti azzurri e caleidoscopici verdi, che si rincorrono dalle asprezze della dorsale sino alla sinuosità delle spiagge. E che si ritrovano, quasi come epitome di un’intera regione, su quell’ultimo colle che – metaforicamente (ma neppure poi così tanto, se solo lo si considera dal mero punto di vista geografico e amministrativo) – ‘chiude’ le Marche e apre alla Romagna e alla pianura. Così è a Gabicce Monte, piccolo borgo che occupa le estreme settentrionali propaggini, quasi a strapiombo sul mare, del Monte San Bartolo, parco naturale di rara bellezza, ove fra maggio e giugno è possibile perdersi fra moltitudini di gialle macchie di ginestre, pianta assai cara a Giacomo Leopardi.
Ebbene, sul colle di Gabicce Monte, oltre una immaginifica siepe di questi fiori, si gode di una straordinaria, infinita vista sull’arco della costa romagnola: nelle giornate terse «il guardo» giunge sino alla città degli esarchi bizantini, Ravenna, e oltre. Mentre, volgendosi verso Ovest, ci si perde nelle balze della vallata del fiume Foglia, del Montefeltro, del serenissimo Monte Titano e assai più lontano. Non è quindi un caso che la strada più alta di Gabicce Monte si chiami appunto Via dell’Orizzonte. Orizzonti fisici, certamente, ma pure mentali. Orizzonti che, attraverso le emozioni che suscitano, scavando nel nostro recondito, spingono dolcemente verso un assoluto senza nome. Verso nuove scelte di vita. Verso l’umana, semplice, felicità. Verso i sentimenti, profondi e puri.
In Via dell’Orizzonte, da decenni, sorge uno storico ristorante che prende il nome dalla donna che lo fondò a metà del secolo scorso: Dalla Gioconda. Era un locale che, divenuto noto per la sua sincera proposta dei semplici piatti della tradizione marinara, ha fatto fortuna nel corso del tempo, venendo in seguito gestito dai familiari della fondatrice. Ma, in Via dell’Orizzonte, nulla accade per caso. Qui, fra cielo, mare e terra, è forte la potenza di «ciò che move il sole e l’altre stelle»: l’amore.
Già, perché è stato proprio questo sentimento, il più umano e al contempo il più sublime fra tutti i sentimenti, a mutare quel tranquillo scorrere del tempo che, da troppo ormai, accompagnava Dalla Gioconda. Di questa insegna si è innamorata una giovane e bella coppia – Stefano Bizzarri e Allegra Tirotti – che ha deciso di rilevarla e darle una nuova vita, intrecciandola a quella vita che loro stanno costruendo insieme. Intuendo le infinite potenzialità ancora inespresse di questo luogo magico, lo hanno ammodernato e ristrutturato, rendendolo uno dei locali più belli dell’intera costa. Un sogno, insomma, che entrambi hanno portato avanti strenuamente, con attenzione al paesaggio e alla sostenibilità.
La nuova Dalla Gioconda è ora un ristorante a impatto zero, alimentato da energia geotermica e 100% plastic free, dotato di ampi spazi all’aperto, di un giardino e, poco lontano, di un orto (presso il quale presto sorgerà anche un raffinato B&B). Una scelta di vita, quella di Stefano e Allegra, che si è ‘incontrata’ e ‘completata’ con un’altra: quella di Davide Di Fabio. E anche qui l’amore – quel «dolce soffrire che fa muovere il mondo» – ha la sua parte rilevante. Da sedici anni ai fornelli della Osteria Francescana di Modena (ove era entrato appena diciannovenne), Di Fabio si fidanza con una ragazza di Pesaro e, per amore, decide di lasciare Modena. Eccolo quindi, ora, a capo della brigata della nuova Dalla Gioconda.
Dalla Gioconda una cucina, un panorama e un ‘nuovo’ orizzonte
Che strada imboccare? In che modo interpretare il ‘nuovo panorama’? Verso quale ‘nuovo orizzonte’ dirigersi? Sedici anni sono tanti, e pare un’ovvietà dire che nel DNA di Di Fabio c’è un po’ di Francescana (come, per principio di reciprocità, c’è un po’ di Di Fabio nel DNA della Francescana). Il rischio, arrivando a Gabicce Monte, poteva essere quello di ‘adagiarsi’ in una cucina anche grande ma decontestualizzata. Una proposta d’alta, altissima scuola ma incapace di risolversi in una concreta espressione di personalità e stile. Insomma, una riproposizione, benché rielaborata con sagacia, di ciò che è ‘altro da qui’.
Ebbene, così non è stato. Non solo, ça va sans dire, per mestiere, conoscenze, capacità tecniche, senso del gusto di Di Fabio. Ma per la sua viva intelligenza nell’interpretare un territorio che non è Modena in un luogo che non è la somma Osteria. E così sono proprio il nuovo panorama e il nuovo orizzonte a diventare i protagonisti di una cucina fortemente espressiva, capace di manipolare con consapevolezza una materia prima ben selezionata, attenta all’equilibrio degli elementi nel piatto ma al contempo vivificata da centrate spinte amare e acide (e, difatti, una delle passioni di Di Fabio è l’aceto, che elabora personalmente) che allungano la complessiva persistenza gusto-olfattiva delle pietanze.
Già l’ouverture che apre il pasto – la trilogia composta dal brodo di cozze alla marinara, dalla oliva à la royale e dal cetriolo in scapeceFrittura di un alimento (pesci o verdure) con successiva aromatizzazione all’aceto e menta fresca. La scapece è molto diffusa in tutta l’Italia meridionale. Leggi – è in nuce una sorta di dichiarazione programmatica. Il povero brodo di mitili, che nei suoi aromi racchiude, come la madeleine proustiana, tutto il mondo delle cucina di mare e delle trattorie della costa ‘marchignola’ (marchigiano-romagnola), fa pendant con una ricca proposta d’alta scuola francese che rilegge un’oliva ripiena, come se fosse all’ascolana, di lepre – ovvero cacciagione (altra grande passione di Di Fabio) – à la royale. Infine il cetriolo in scapece dilata al palato, in tutta la sua suadenza, la sua nota acido-aromatica.
È quindi nel mare d’Italia 2.1 (ovvero la zona Fao 37.2.1: che corrisponde all’Adriatico) che si evidenziano la maturità, la conoscenza e le capacità del cuoco. L’interpretazione del pescato locale, in una mimesi di quella che era la vecchia carrellata degli antipasti di mare (ove non mancavano mai, per esempio, i gamberetti in salsa rosa: ricetta che Di Fabio smonta e rimonta in uno stimolante remake), racconta la materia prima di giornata, vivificandola e valorizzandola in un sagace e intrigante gioco di accostamenti e di contrasti che si sviluppa a vari livelli (temperatura, consistenza, cromaticità, sensazioni gustative, profumi…). La complessità della proposta è ulteriormente accentuata da altri due elementi, che peraltro ricorrono durante il pasto: la presentazione parcellizzata su più stoviglie (un intelligente invito alla convivialità) e la finitura del piatto completata a tavola.
Ricchezza e povertà che riappaiono nella saraghina fac simile, una proposta che mimando una tipica preparazione romagnola (la ‘cantarella’, una sorta di frittella preparata con l’impasto della piadina) non è altro che «il nostro modo di mangiare il caviale», dicono all’unisono Stefano Bizzarri e Davide Di Fabio. La ‘cantarella’ diviene quindi un blinisPiccola pasticceria. Leggi, l’immancabile squacquerone, montato con leggerezza, si sostituisce al burro acido, e la saraghina accompagna un ottimo caviale Royal Siberian.
Fra i primi piatti spicca la zuppiera, ovvero pasta con brodetto di pesci dell’Adriatico. Ma anche qui estro, conoscenze e capacità stravolgono, sempre tenendo ferma la barra sull’assoluta centralità del gusto, un piatto ‘di tradizione’. «È usanza in Abruzzo – racconta Di Fabio, che quella terra conosce bene per esserci cresciuto – condire la pasta con il sugo avanzato del brodetto. La mia è una moderna interpretazione». Interpretazione che raccoglie anche una rivisitazione delle cosiddette ‘virtù’ teramane, ovvero una zuppa contadina ma assai ricca di ingredienti. L’incrocio di queste due suggestioni ha portato a una pasta (in realtà più formati di pasta, come usanza vuole) condita con sugo di brodetto di pesce, sostenuta dai crudi dei medesimi pesci (nel nostro caso leccia, canestrelli, bianchettiBianchetti è il termine che identifica il novellame del pesce, principalmente azzurro (sardine e acciughe), pescato nel Mar Mediterraneo. Dal 2006, per il ripopolamento dei mari, in Italia ne è vietata la pesca, la tenuta a bordo, lo sbarco, il trasferimento, l'immagazzinamento e la vendita. Una specie alternativa, del quale non ne è stata vietata la pesca, sono i rossetti,... Leggi, gamberi rosa…), nappata da due salse: una di seppia e altra all’aglio dolce, tipo bourguignonne.
Tutti magnificamente giocati su richiami dolci e amari sono invece i dolci, fra i quali spiccano la polifonica zuppetta di olive di Cerignola con frutto della passione, verbena, sorbetto amaro di arancia e VermouthIl vermut, o vermutte, oppure vermouth, in grafia francese e vèrmot in quella piemontese, è un vino liquoroso aromatizzato creato nel 1786 a Torino. È riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale italiano ed è un ingrediente primario di numerosi cocktail. Il vermut si beve soprattutto come aperitivo ed entra nella composizione di molti cocktail, tra quali famoso è il Martini ma... Leggi (da bis), e il goloso dolce amaro al caffè: savoiardo, gelato al caffè, fave di cacao, gavotte.
Ma alla nuova Dalla Gioconda non è solo il pesce a vestire i panni del protagonista. Al mare già si sono affiancate – e così ancor di più sarà durante le stagioni autunnali e invernali – alcune proposte di carne (come un centratissimo fritto di agnello alla milanese con maioneseLa maionese (dal francese mayonnaise o dal catalano maonesa) è una salsa madre, cremosa e omogenea, generalmente di colore bianco o giallo pallido, che viene consumata fredda. Si tratta di un'emulsione stabile di olio vegetale, con tuorlo d'uovo come emulsionante, e aromatizzato con aceto o succo di limone (che aiuta l'emulsionamento). La ricetta tradizionale prevede l'uso di olio d'oliva e... Leggi al curry
Con il termine curry in italiano si intende una varietà di miscele di spezie pestate nel mortaio, in uso principalmente nel sud-est asiatico. Le spezie utilizzate possono variare notevolmente e, a seconda di quelle dominanti, possono cambiare il colore e la piccantezza della miscela. In India l'equivalente italiano della parola curry è masala, del quale ne esistono decine di varietà,... Leggi, ceci e sesamo nero) e quindi, più avanti, di cacciagione, di funghi e del buon tartufo bianco di Acqualagna. D’altronde il camino che troneggia nella sala superiore invita alla sosta, disegnando calde serate rischiarate dalla vampa, mentre fuori, al di là delle ampie vetrate, sale la nebbia marina che tutto avvolge e tutto ovatta.
Serate durante le quali certo si potrà apprezzare al meglio un altro atout di questo locale: la magnifica, inaspettata, selezione dei vini. Affidata alle talentuose mani di Alessio Di Iorio (anche lui un passato alla Francescana) la cantina merita la visita: per godere sia della sua bellezza sia dell’imponenza del suo assortimento. Italia e Francia si rincorrono fra grandi Champagne e raffinati bianchi, ricercati rossi e belle verticali di vecchie annate (fra le quali, notevoli, quelle del ‘reparto Bordeaux’).
La Galleria Fotografica:
L’ingresso. L’orto aromatico. Scorcio dei tavoli. Mise en place. Il menù … L’imponente carta dei vini. Una bollicina decisamente intrigante. Il pane. Oliva à la royale; cetriolo in scapece. Brodo di cozze alla marinara. Seppia cruda olio e limone, riduzione di brodo di riso Artemide, i tatuaggi dei marinai impressi con ‘inchiostro’ di seppia. Palamita, leche de tigre, coriandolo e pesca. Ostrica di Goro, granita di datterino e fragole, mignonette alle visciole; gamberi rosa in salsa rosa “remake degli anni Ottanta”: finta salsa rosa di tamarindo e rapa rossa, cuore di lattuga; muggine a tartare con bernese della sua bottarga. L’accomagnamento alla prossima portata. Saraghina fac-simile: saraghina leggermente marinata al cipollotto e bergamotto, squacquerone montato, caviale. Cantarella come un blinis. Chablis di classe. Insalata di scarola, erbe aromatiche e baccalà, limone nero, olive, lattuga (con salsa pil pil, aceto all’uvetta, salsa alle olive, gel di limone, olio all’alga nori). Riso tiepido cotto in una estrazione di catalana di verdura su battuto di scampi crudi, olio extravergine di oliva, cartolina serigrafata su ostia omaggio a Maurizio Cattelan. Birra e… …fiori di zucca fritti dell’orto… … e il loro accompagnamento. Un trebbiano di grande profondità. La zuppiera: pasta con brodetto di pesci dell’Adriatico (leccia, canestrelli, bianchetti, gamberi rosa…), loro crudi (leccia, canestrelli, bianchetti, gamberi rosa), salsa di seppia e salsa all’aglio dolce tipo bourguignonne. Rana pescatrice gratinata alle erbe, misticanza, prezzemolo, lumache. Un grande Cabernet Franc. Fritto di agnello alla milanese con maionese al curry, ceci e sesamo nero, fondo di agnello alla menta. Zuppetta di olive di Cerignola, frutto passione, verbena, sorbetto amaro di arancia e Vermouth. L’accompagamento al dessert. Meringa, panna, fragole e aceto balsamico. Dolce amaro al caffè: savoiardo, gelato al caffè, fave di cacao, gavotte. Bon bon al caramello salato, cioccolato al latte e briciole di cono gelato. Gelatina di arancia amara, genziana e sale di Cervia.
1 Comments
Sono stata a cena e ho mangiato e bevuto benissimo, luogo incantevole, accoglienza calda e raffinato. Da riprovare per gustare altro. Bravi i ragazzi!!!!!!