Passione Gourmet Torre del Saracino - Passione Gourmet

Torre del Saracino

Ristorante
via Torretta 9, 80069, Vico Equense (NA)
Chef Gennaro Esposito
Recensito da Giovanni Gagliardi

Valutazione

17/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • Probabilmente il miglior ristorante di alta cucina campana.
  • Carta dei vini monumentale e con ricarichi tutto sommato non eccessivi.
  • Ottimo servizio, puntuale e mai ingessato.

Difetti

  • All’esterno si mangia guardando il mare ma arrivano tutte le voci dalla stradina sottostante.
Visitato il 09-2020

L’alta cucina popolare di Gennarino Esposito a Vico Equense

Alla Torre del Saracino non è un luogo comune dire che si sta a proprio agio come a casa. Il lusso della semplicità, di un’accoglienza calorosa e sorridente, a fare da cornice ad una macchina da guerra che gira assai spesso a pieno regime senza perdere un colpo. Grandissimo il lavoro compiuto negli anni da questo eterno ragazzo dal carattere di ferro che, con tenacia e passione, ha saputo trasformare un semplice ristorante, buono come tanti in zona, in una delle mete imprescindibili per chi voglia fare un tuffo nella cucina senza tempo di questo lembo d’Italia.

Cucina dalle radici fortemente popolari, radicata nei grandi sapori della tradizione. Pochi cuochi come Gennaro si sono dimostrati in grado di giocare, destrutturare, modernizzare e, soprattutto, alleggerire i grandi piatti della tradizione – in questo caso campana – senza perdere nulla in termini di sapore. Anzi. Quante volte ci è capitato e ci capita ancora purtroppo di vedere preparazioni tradizionali stravolte da presentazioni e tecniche fini a se stesse che dopo l’effetto sorpresa iniziale si rivelano gustativamente lontane – in senso deteriore – dalle versioni originali. Sterili esercizi di ingegneria gastronomica.

Qui questo non accade. E non è un caso se la Torre del Saracino sia frequentato da una clientela in larga parte italiana, campana, napoletana. E che il Gennaro migliore sia proprio quello che si misura con la tradizione, coi sapori della cucina delle mamme, e delle nonne, e vince la sfida. Melanzane alla parmigiana, stocco e patate, genovese, totani e fagioli. La cucina popolare si fa alta, elegante, senza perdere nulla in concentrazione gustativa.

L’orgoglio per le proprie radici

La grande scuola classica che, ricordiamo, Gennaro ha appreso alla corte di Alain Ducasse – sia al Plaza Athénée di Parigi che al Louis XV di Montecarlo – è qui al servizio dei prodotti locali e viene declinata con una creatività sempre misurata.

L’inizio è folgorante con una serie di amuse bouche uno più buono dell’altro. Una sequenza perfetta in cui sono racchiusi i sapori più profondi e più intensi della cucina di questa terra, e così autonoma da  pensare al successo che avrebbe in una formula tipo tapas bar. E antipasti, poi, perfetti. Un carpaccio di ricciola di sconvolgente bontà, così come la genovese di palamita, dove si appalesa tutta l’anima popolare di questa cucina, inarrivabile in termini di bontà nella combinazione tra la palamita stessa, il formaggio di capra, il caviale e il tartufo nero. Eccellenti, poi, anche i totani con fagioli di Controne arricchiti da una suadente nota di anice stellato. La cucina popolare ha messo il frac!

Dopo quest’inizio al fulmicotone il pranzo nella sua parte centrale si “normalizza” con una serie di preparazioni che, pur piacendoci molto, non ci hanno regalato sensazioni altrettanto elettrizzanti. Tra piatti storici dello chef, il risotto al pomodoro Cuore di bue e la minestra di pasta mista con pesci di scoglio e crostacei, grandi classici che continuano ad avere un enorme seguito di appassionati. Altre preparazioni più recenti, invece, ancorché sempre perfettamente eseguite risultano a volte un po’ troppo scolastiche, o troppo rotonde, in un caso non perfettamente calibrate. Come le linguine con anemoni, scuncilli e ricci di mare che si rivelano di una dolcezza avvolgente da cui però, visti gli ingredienti, era lecito aspettarsi maggiori intensità e concentrazione di sapore. O la rana pescatrice che, al netto di un’eccellente materia prima, appare invece scolastica: un esercizio di stile. Infine la triglia fritta non fritta si conferma un elegante gioco di consistenze ma i sapori arrivano non proprio nitidi al palato.

L’idea è quella di una cucina in cui prevale la voglia di rassicurare di smussare contrasti e acidità e dove la costante ricerca di una una certa morbidezza di fondo non permette allo chef di fare il salto che meriterebbe. Cosa manca? Un po’ di sana spregiudicatezza che, a conti fatti, il suo grande talento potrebbe e dovrebbe potersi ormai permettere. Perché Gennaro Esposito non è solo un grande cuoco, ma anche un grande comunicatore e, come tale, è legittimamente preoccupato di perdere i consensi del più alto numero di palati possibili e noi, che ben conosciamo le sue capacità e la sua grande preparazione, riconosciamo facilmente in questo “limite” una scelta ben meditata.

Di grande livello il dessert – ma questa non è una novità vista la grandezza del pastry chef Carmine Di Donna – una riuscitissima combinazione di sapori che regala freschezza e golosità al palato e chiude in modo appropriato l’ennesimo eccellente pranzo in questo magico angolo di Vico Equense.

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