Chi è Dina?
“Arte contemporanea”; “la nonna materna”; “cucina d’avanguardia”; “la sonnolenta Gussago”…
Tutto questo, certo, eppure sappiate che ci sarà sempre meno Alberto Gipponi e sempre più Dina nella storia contemporanea di questo ristorante e laboratorio, nel cuore del nord Italia.
Un’uscita di scena da parte dell’ego – “monomaniacale” – dello chef che, secondo quanto afferma lui stesso, sarà eclissato dall’altro, inteso come l’altro da sé. Vittima sacrificale di questa operazione l’elemento narrativo a tutto beneficio di quello, più sostanziale, del silenzio, perché “il silenzio fa rumore” ed è la strada per arrivare, se non al cuoco, più speditamente al piatto. L’opera al posto dell’autore, insomma, e poco importa che ogni opera sia di lui l’estensione perché per Alberto Gipponi – che ha l’italianità come obiettivo – l’opera dovrà esser piuttosto la proiezione del suo ospite, cui sarà “tagliata su misura perché questa è, in definitiva, l’italianità.”
Il piatto parla, dunque, anzi è eloquentissimo quanto più sembra – anche se solo apparentemente – semplice. E il suo discorso, come ogni linguaggio, è fatto di una sostanza – la materia – una forma – la tecnica e le tecniche utilizzate e combinate tra loro – e un contenuto che insiste su motivi ricorrenti come l’errore simulato e il tabù, che sono frammenti di memoria culinaria condivisa. Sia la materia che la tecnica nei piatti di Dina affondano dunque in questa enciclopedia senza temere di cimentarsi, come detto, nella sovversione di alcuni tabù ed errori della contemporaneità come la pasta scotta nello spaghettino al basilico con la panna montata – uno spaghetto (s)cotto alla perfezione, uniforme, anche nella temperatura, più tiepida che fredda – nel risotto alle erbe che, nei fatti, è più una minestra e come anche il casoncello, invece, “(s)crudo”, biglietto da visita del Gipponi che fu.
L’italianità come obiettivo
I piatti più eloquenti, però, sono quelli “senza parole” nel senso che una qualunque verbalizzazione finirebbe per banalizzarne la carica, sia semantica che gustativa: pensiamo all’acqua di pomodoro, al suo concentrato sul fondo e alla santoreggia in sospensione, alla testa di agone e alle lumache, prezzemolo e funghi che sono, ciascuno a modo suo, con le provocazioni sottese e l’immaginario, mediterraneo, povero e velenoso che evocano rispettivamente, un tributo commosso a quella creatività italiana che, in cucina, col e dal nulla fa miracoli.
Altre sequenze sono poi esercizi di stile, virtuosismi che parlano del controllo, esercitato a tutti i livelli del discorso della cucina, e amministrato attraverso le temperature – non solo nella parte edibile ma anche nel supporto, nella stoviglia, per intenderci – e delle tecniche che presiedono al raggiungimento di determinate consistenze e strutture di materia, precisissime: pensiamo alla rana pescatrice in due servizi, alla antologica sogliola alla mugnaiaLa sogliola alla Mugnaia (Sole Meunière) è un piatto tipico della cucina francese, una ricetta semplice e raffinata, dal sapore delicato ma deciso. La cottura alla “Mugnaia” è un modo particolare di cuocere alcune varietà di pesci e di carni bianche e consiste prima nell’infarinatura e poi nella successiva rosolatura e doratura nel burro (a volte beurre noisette). Una volta... Leggi che mugnaia non è, e al magnifico piccione che, attraverso lo studio della frollatura
La frollatura è un procedimento che consiste nel conservare per un periodo più o meno lungo carne, selvaggina e talvolta anche pesce, prima di cucinarli, affinché i tessuti si inteneriscano e acquistino sapore e profumi. Tutti i vertebrati dal momento del decesso subiscono un processo di irrigidimento dei muscoli, rigor mortis, per cui è necessario un periodo di pausa tra... Leggi e della temperatura di cottura, raggiunge un punto di consistenza fondente e gelatinoso che, molto sinceramente, faremo fatica a dimenticare. La stessa consistenza o, se preferite, la tattilità è un altro dei grandi temi ricorrenti su cui insiste lo chef, che gli da’ la stessa dignità che viene data, solitamente, al sapore.
Così concepiti, presentati e, soprattutto, non-narrati, i piatti ambiscono a rappresentare nient’altro che l’italianità in cucina e non è un caso che, nel suo manifesto contemporaneo, oltre agli orpelli narrativi di compendio scompaiano anche tutti, o quasi tutti, gli ingredienti esogeni: una forma di protettorato che si spinge fino al fermento autoctono utilizzato per la fermentazione dello yogurt, poi piastrato, che troviamo in quel grande dessert che è latte e fieno.
Il futuro, ieri
Il futuro, che poi è anche il passato, è però rappresentato anche da alcune conquiste figlie dell’inattività imposta dalla recente clausura: un periodo in cui lo chef si è dedicato allo studio della pasticceria e nel cui seno si può leggere il trittico di dolci – classici, classicissimi; tra cui la migliore millefoglie mai assaggiata – a chiusura del nostro percorso.
Di una cosa siamo assolutamente sicuri: non appena Alberto Gipponi avrà ascoltato, compreso, pacificato e, allora sì, finalmente tacitato tutte le voci che animano il suo controverso ma di certo ricchissimo mondo interiore, sedersi da Dina sarà tra le esperienze più significative – e più ambite – della contemporaneità. Ed è solo questione di tempo; speriamo solo di essere nei paraggi quando questo accadrà.
La Galleria Fotografica:
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La pecora di Andrea Daga con coulis
Con il termine "coulis" si intende una salsa dalla consistenza densa e cremosa che somiglia ad una purea di frutta o di verdura. Leggi di lamponi e indivia riccia.
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Fegato di fassona
Il Fassone è una razza bovina piemontese, molto pregiata. In Piemonte il fassone era profondamente legato alla vita e alle tradizioni contadine di molte comunità piemontesi grazie alla triplice attitudine della razza, in grado di fornire latte, carne e forza lavoro. La carne di questa razza di bovino è tenera e magra, certamente rinomata. Leggi, salsa bordolese
Salsa tradizionale della cucina francese a base di vino rosso di Bordeaux, midollo di bue, alloro, timo, prezzemolo, sale e pepe. La salsa bordolese è utilizzata, soprattutto, per condire le carni alla griglia. Salsa originaria della regione di Bordeaux, è conosciuta anche come sauce marchand de vin. Leggi, estratto di mela verde, curcuma, noci e cipolla.
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- Secondo servizio della rana pescatrice: mandorla amara, limone candito, pomodoro e olio extravergine d’oliva, vero protagonista del piatto; sopra, l’oblato.
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Cavolfiore, wasabi
Eutrema japonicum, conosciuta comunemente come wasabi o anche con il nome di ravanello giapponese, è una pianta di origine giapponese appartenente alla famiglia delle Brassicacee (o Crocifere). La pianta cresce spontaneamente in vicinanza dei fiumi in zone fredde del Giappone, come per esempio in montagna o nelle valli in quota. Dal rizoma di Eutrema japonicum si ottiene una pasta di... Leggi, nocciola, may chang.
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La “piccola pasticceria”: cozze in scapece
Frittura di un alimento (pesci o verdure) con successiva aromatizzazione all’aceto e menta fresca. La scapece è molto diffusa in tutta l’Italia meridionale. Leggi e arancia bruciata, caramella di fondo bruno
I fondi bruni sono preparati con ossa e carni rosse o scure arrostite al forno. I succhi ottenuti dalla tostatura in forno vengono sfumati (spesso con una componente alcolica) e fatti ridurre in casseruola fino alla densità desiderata ed ottenere così il fondo bruno. Leggi, dattero senapato, melissa, issopo e abrotano
L'abrotano è una pianta erbacea pluriennale. Oggi viene utilizzato raramente come pianta aromatica. Nel Medioevo veniva impiegato per aromatizzare cibi grassi, similmente a come oggi si fa con l'artemisia, pianta della stessa famiglia dell'abrotano. Le punte odorano ed hanno un sapore di cola, motivo per cui viene anche chiamato "cespuglio coca-cola". Se si utilizza di più delle sole punte, le... Leggi.
2 Comments
[…] Leggi L'articolo Autore: DANIELE Categoria: Rassegna Stampa previous […]
Chi è Dina? Effettivamente non è semplice rispondere, dato che in questo piccolo gioiello scovato tra le campagne bresciane confluiscono territorio, ispirazione, tradizione, ricerca, gentilezza ma soprattutto piatti centratissimi nei quali nessun elemento è fuori posto, il cui percorso è coerente ed incredibilmente goloso e gourmet in ogni suo passaggio. L’umanità e la passione di Alberto Gipponi e del personale di sala completano un’esperienza unica che speriamo di ripetere quanto prima, auspicandoci l’assaggio del prossimo Lab e l’assegnazione da parte di PG se non di un punto intero almeno dell’appena introdotto “mezzo punto”. Per noi è stato comunque un 18 pieno!