Il declino di un Grande Ristorante… o forse no?
E’ un dato di fatto, non certo un’opinione: la parabola del ristorante Trussardi alla Scala, negli ultimi anni, è stata in costante trend negativo. Dagli splendori di circa un lustro fa, quando nominando Il Trussardi si parlava di uno dei pochi grandi ristoranti cittadini, dopo Andrea Berton e Luigi Taglienti la strada di questo locale, guardandolo da clienti/spettatori esterni, si è rivelata in continua salita. La lenta ma inesorabile perdita dei riconoscimenti della critica, la progressiva dissolvenza delle voci di pubblico e il relativo calo d’interesse, e non ultimo il brusco innalzamento del livello dei competitor cittadini, hanno contribuito all’offuscamento del blasone, come se il levriero iniziasse affaticato a mostrare la lingua.
Siamo tornati dopo parecchio tempo a questa tavola, memori delle grandi cene del passato e sinceramente incuriositi dal presente. E abbiamo constatato che, nonostante ci si mantenga ampliamente distanti da alcuni dei picchi che furono, si può tranquillamente affermare che la situazione è tutt’altro che offuscata, e non è visibile alcun segno di affaticamento.
Al timone dell’ingombrante ammiraglia Roberto Conti, che da anni lavora in queste cucine prima accanto a Berton, poi a Taglienti, ora invece da protagonista. Abbiamo trovato una cucina semplice ed ottimamente eseguita, corretta e piacevole, senza bordate ma dove ogni portata aveva sempre qualcosa da dire. Una cucina di base ancorata alla tradizione e all’ingrediente, ma dalla concezione -al netto della forma- più gourmandPer "gourmand" si intende una persona amante della buona tavola, in particolare delle preparazioni di stampo classico, un cultore della gola. Ghiottone. Leggi che gourmet, nonostante lo stile costantemente elegante e raffinato, anche nelle portate dal pensiero più basilare.
Ecco quindi che nello stesso menù degustazione riescono a trovare spazio piatti maggiormente “primari” e goderecci come gli gnocchi pecorino, fave e guanciale, posti accanto ad altri ben più raffinati come ad esempio la zuppa di astice, tutti con un preciso senso all’interno del menù. E nei piatti meno riusciti, ad esempio l’ostrica, scalogno e lime, non si parla di errori, ma piuttosto di operazioni in cui lo sforzo non vale il risultato. Nel caso del piatto citato, il risultato finale non è migliore degli ingredienti presi per loro conto, né fa trovar loro una particolare coesione.
Fiore all’occhiello dell’esperienza il servizio in sala, lievemente affettato ma sublime nei tempi e nei metodi, guidato dal Maitre/Sommelier Carlo Tinelli, prodigo di consigli e sempre attento ai tavoli e alle varie esigenze della clientela.
Certamente, non mancano le note dolenti. La concorrenza -cittadina e non- è folta e agguerrita e, nella maggioranza dei casi, gioca in un campionato ben più elevato. Se a ciò si somma quel che è il vero problema di questa tavola, il prezzo (che è praticamente il medesimo da quando il ristorante vantava la doppia stella Michelin) le differenze si fanno pesanti, e le stesse rendono difficilmente giustificabile il passaggio.
Ma è questo un locale che per posizione, blasone e stile di cucina, attualmente è in grado di rendere davvero felice il ricco bacino d’utenza internazionale che bazzica nei dintorni, in grado di rispondere alla domanda di italianità a 360° anche -e soprattutto- ben oltre il contenuto del piatto.