Sauvignon Poggio del Crine di Tenuta Montauto
Con la complicità di Partesa for Wine, nella persona del suo istrionico National Category Manger Wine, Alessandro Rossi, i nostri esperti Orazio Vagnozzi, Leila Salimbeni ed Eros Teboni si sono prestati ad assaggiare le novità in listino, da nord a sud Italia, dalla Francia alla Napa Vallley.
Ne è sortito un gioco tra appassionati in cui ciascuno ha messo alla prova la propria capacità analitica, la propria memoria o, in alternativa, la propria fantasia.
Le origini del Poggio del Crine
A Tenuta di Montauto si giunge sfidando il navigatore e spingendosi oltre le città per addentrarsi in strade antiche, longeve quanto le colline della Maremma che attraversano la Toscana collegandola al Lazio. Ci si ferma al Km10 dalla Campigliola, nei pressi di Manciano. Qui, tra vigne e boschi che si estendono fino al mare, su suoli argillosi, le brezze marine di Capalbio temperano la calura estiva e mantengono asciutte le piante. La genesi di questa famiglia di vigneron vede dal 2001 a capo Riccardo, nipote di Enos a cui ancora oggi è dedicata una delle etichette. Questa è una storia del vino basata sul pionerismo enologico di cui in passato avevamo già raccontato ma che, come tutti i grandi racconti, non si può limitare ad una narrazione sola, tanto più che è stato eletto “Miglior Sauvignon d’Italia” da Doctor Wine (aka Daniele Cernilli), nel 2023.
Il nome
Il nome “Poggio del Crine” è una dedica al nonno Enos che piantò i primi filari di Sauvignon sul crine di Montauto in una terra dei vini la cui egemonia appartiene ai Sassicaia e Chianti Classico. Le vigne prosperano sul crine da oltre 45 anni con una resa annua poco elevata.
Il vino
La gestione è biologica, utilizzando rame, zolfo e concime organico. I vigneti si trovano su un terreno argilloso arricchito di ferro, quarzi e ardesia, a 200 metri di altitudine e a 10 chilometri dalla costa. Per i vigneti è impiegato un impianto costituito da cordone speronato alto per ombreggiamento e raffreddamento da brezze marine.
La maturazione
A maturazione completa, le uve vengono selezionate e raccolte manualmente e adagiate in piccole cassette. La vendemmia avviene fin dalle prime ore del mattino per garantire una bassa temperatura dell’uva all’arrivo in cantina. Prima della pressatura, le uve vengono refrigerate in cella per una notte per favorire una maggiore estrazione di profumi e prevenire l’ossidazione. Successivamente, si procede con la pressatura delicata dei grappoli interi. Segue un periodo di decantazione di 36 ore e la fermentazione avviene in serbatoi di acciaio inox a temperatura controllata di 16°C. Tutta l’energia utilizzata durante il processo produttivo proviene da fonti rinnovabili. Una parte del vino viene maturata per 6 mesi in legno, seguita da un affinamento in bottiglia di tre anni, periodo necessario per sviluppare un bianco di carattere distintivo.
Degustazione guidata
Il Poggio del Crine 2018 si presenta giallo intenso, quasi dorato. Preannuncia quindi un bouquet aromatico progressivo e dinamico, ricco di dettagli che spaziano dalla frutta secca (come mandorle) alle scorze d’agrumi candite, con un tocco di foglia di limone. Questi aromi si intrecciano armoniosamente con evocazioni di dolci tradizionali come biscotti, confetti e marzapane, anticipando un sorso dalla consistenza cremosa e concentrata. Poliedrico anche negli abbinamenti culinari. Si accompagna perfettamente a piatti di frutti di mare come ostriche, cozze, gamberetti e seppie, grazie alla sua acidità e freschezza che puliscono il palato. È ottimo anche con formaggi di capra, freschi o stagionati, dove la cremosità dei formaggi si bilancia armoniosamente con l’acidità del vino.
Poggio del Crine e…?
La vivacità del vino è accentuata da una sapidità decisa, bilanciata dalla morbidezza della componente glicerica. Per tale dicotomia palatale tra forza e gentilezza il Poggio del Crine 2018 si abbina alla celeberrima opera The Flower Thrower. Il “Lanciatore di fiori” ritrae un manifestante con il volto coperto che sta per lanciare un mazzo di fiori. Realizzato per la prima volta a Gerusalemme nel 2005 sul muro che separa israeliani e palestinesi, questo graffito ha visto Banksy perdere il copyright nel settembre 2020. L’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) ha invalidato il marchio registrato dall’artista di Bristol, poiché il suo anonimato impedisce una formale identificazione come autore dell’opera.
* Si ringrazia per aver messo a disposizione gli spazi della propria cantina il Magna Pars L’ Hotel À Parfum di Milano.