Passione Gourmet Table - Passione Gourmet

Table

Ristorante
3 rue de Prague, Parigi
Chef Bruno Verjus
Recensito da Claudio Marin

Valutazione

17.5/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • Il livello della materia prima impiegata è molto alto.
  • Un luogo coinvolgente, estremamente piacevole.
  • La sensibilità di Agnese Morandi, la sommelière.

Difetti

  • Il conto - aumentato sensibilmente nell’arco di due anni - non è equilibrato con il livello della cucina, anche per lo standard parigino.
Visitato il 05-2024

Una tavola per appagare i desideri…

La descrizione più ricorrente di Table, il ristorante dello Chef Bruno Verjus, è la seguente: “una tavola pensata da un grande appassionato, per gli appassionati” (anche se non tutti gli appassionati hanno le medesime inclinazioni). Verjus, cuoco di Roanne il cui passato è ormai noto, ha avuto infatti l’intuizione di far convergere le due anime, in apparente antitesi, che hanno innervato la cucina francese contemporanea, la bistronomie e l’haute cuisine, prendendo da ciascuna ciò che i “giratavole” internazionali più apprezzano: clima rilassato ed elettrico, cucina a vista, reiterata estemporaneità ed ostentata autorialità – della quale si coglie l’intenzione –, una materia prima d’eccezione e bottiglie introvabili (nelle mani di una sommelière di rara sensibilità, Agnese Morandi).

A ben vedere, si tratta di caratteristiche che si possono trovare in altre tavole parigine, con prezzi più equilibrati e, forse, maggiore profondità (quattrocento euro per un menù si giustificano solo dinanzi a tavole di differente spessore). In ogni caso, il risultato è un’esperienza di grande godimento, coinvolgente e gioiosa, sensazioni che sono frutto non tanto della cucina in senso stretto, quanto di una formula concepita con estrema intelligenza.

…senza pretese di unicità

In più di un passaggio di Verjus – emblematico “La couleur du jour”, che apre il pranzo – vi è un riconoscibile riferimento al genio di rue de Varenne, la cui capacità di coniugare istante e a-temporalità, natura grezza e unicità, non è tuttavia replicabile, come sempre accade quando la cucina si fa arte. L’ingrediente, in questo caso, non viene mediato dal gesto – quello con la “G” maiuscola – né utilizzato come tramite per esprimere altro, bensì è sia fine che mezzo, a dimostrazione del ruolo secondario ricoperto dalla componente autoriale, surrogato dal carisma del cuciniere, la cui presenza (seppur lontana dai fornelli) è indispensabile per far pulsare il luogo. In alcuni casi, i risultati sono rimarchevoli, come in “Mi-cru mi-cuit”, oramai un grande classico riproposto regolarmente, in cui la qualità e non-cottura dell’aragosta – immersa in un burro chiarificato aromatizzato ai profumi mediterranei – sono degni di nota. In altri casi, in una sorta di corrispondenza con l’identità stessa del ristorante, l’impatto estetico del piatto prende il sopravvento sul valore intrinseco dello stesso, come in “Née des alluvions de la Durance– asparago verde bollito, salsa moussayon all’erba di tartaruga ed alghe (queste parole macedonia simboleggiano la verve del cuoco Verjus) –, in cui l’asparago, seppur sorretto dalle note iodate delle alghe, conquista più l’occhio (dimensioni notevoli e bellissima stoviglia) che il palato (sapore non incisivo, vegetale un po’ “acquoso”). Nella stessa direzione si pone “Au fil de l’eau”: del rombo, qualità eccellente, viene servito il filetto – cotto alla perfezione – sacrificando così la rara complessità che quel pesce sa regalare in termini gustativi e di texture (collagene, pelle bianca, pelle nera, …). Innegabile è, invece, la golosità delle Coscette di rana di Challans arrostite al burro: una preparazione di tradizione ben eseguita, in cui la deviazione rispetto a quanto ci si aspetta di consueto è rappresentata dalla presenza del curry verde. La chiusura del percorso è affidata all’ormai inamovibile Tartelletta al cioccolato, capperi, olio alla nocciola e caviale, omaggio che Verjus fa a Jacques Genin e Claudio Corallo, giocato sull’incontro tra il cacao e le note sapide e iodate dei comprimari nonché sulla convergenza tra nocciola e caviale.

In conclusione, quella di Table è una cucina straordinariamente capace di appagare i desideri di chi si siede al bancone – d’altro canto, si può desiderare solo ciò che già si conosce – senza varcare la soglia dell’unicità.

IL PIATTO MIGLIORE: “Mi-cru mi-cuit”, aragosta di Yeu, pisellini Lincoln, remoulade di ortiche e capperi, giardino alofilo.

La Galleria Fotografica:

3 Commenti.

  • Elvis19 Giugno 2024

    Complimenti per l’ottima recensione, in termini di forma e contenuto. Una critica attenta e propositiva che mantiene viva la passione di noi appassionati e porta i ricordi ai bei tempi di PG.

  • Alesaandeo24 Giugno 2024

    Il prezzo dei vini? Spropositiato o interessante?

  • Claudio26 Giugno 2024

    Il ricarico sui vini - mi riferisco alla carta, peraltro reperibile sul sito del ristorante - è significativo ma in linea coni ristoranti parigini di quel livello.

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