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Psicologia spiccia del degustatore bendato

Vino
Recensito da Gae Saccoccio

Incontro alla torretta

L’amico Luca Boccoli dell’omonima selezione Boccoli, mi ha invitato ad una degustazione bendata presso gli amici comuni Riccardo e Maria, vignaioli de La Torretta a Grottaferrata. Luca qualche anno fa a causa di un incidente ha perso la vista. Con grande forza di carattere, con perseveranza e spirito di adattamento è riuscito ad includere e ad integrare la cecità nel cuore del suo lavoro di selezionatore/degustatore di vino che svolge ormai da oltre 25 anni. Selezione Boccoli oggi è Incontro di Luca Boccoli e Ilaria Giardini nella Bottega Selezione Boccoli aperta a dicembre 2021 sempre a Grottaferrata, nel cuore dei Castelli Romani. Dopo un mio post su un Barolo Paiagallo 2006 di Canonica dove sottolineavo di averlo “bevuto alla cieca”, Luca mi ha fatto subito notare, a ragione, l’uso improprio dell’espressione “alla cieca”. Si trattava semmai di una “degustazione coperta” che è termine più appropriato, meno incline ad interpretazioni ambigue o addirittura offensive. Anni fa sull’Etna assieme ai bevitori indipendenti Alberto Buemi e Valerio Capriotti con Sandro Dibella maître del Cave Ox, organizzammo una bellissima serata di vini coperti intitolata “Alla cieca per vederci meglio” di cui ho scritto nel mio blog dove forse si coglie meglio il senso del bere a bottiglie bendate.

Angoscia e maraviglia

Negli scacchi ad esempio c’è un’antica tradizione di gioco alla cieca, sia di gioco individuale che in simultanea dove ognuno dei giocatori dispone della propria scacchiera che può vedere mentre il simultaneista ha tutto nella testa e comunica le sue mosse in maniera telematica o con un sistema di notazione algebrica. La cosa sconvolgente è la visione di più giochi e scacchiere in contemporanea che il campione deve mantenere tutta nella sua testa simultaneamente, una cosa che mette angoscia solo a pensarci. In Occidente questo gioco alla cieca è diventato popolare come forma di svantaggio da applicare ad un forte giocatore per consentire incontri più equilibrati contro giocatori più deboli, oppure come dimostrazione d’abilità. Nella Nova Cronica di Giovanni Villani, come ricordato nella Storia degli scacchi in Italia di Rosino e Chicco, si riporta l’esibizione di un “Saracino ch’avea nome Buzzeca” che, nel XIII secolo giocò tre partite a Firenze di cui due alla cieca, suscitando “grande maraviglia”. Ad integrazione sulla meraviglia e l’angoscia della scacchiera, consiglio la lettura de La psicologia del giocatore di scacchi di Reuben Fine, psicoanalista e negli anni quaranta campione di scacchi a sua volta. C’è poi tutta una bibliografia specifica sull’aggressività del gioco degli scacchi, mentre invece il gioco della degustazione alla cieca ha talmente disteso gli animi di noi tutti stabilendo una sorta di tabula rasa da cui ricominciare a parlare di vino, sentire il vino, raccontarlo senza necessariamente ego-riferirlo. Una tabula rasa che ha innescato un dialogo fertile e rilassato tra di noi messi allo stesso livello del vino, focalizzati esclusivamente nel vino, almeno per una volta denudati di personalismi, competitività aggressiva e altre tipiche attitudini autoreferenziali.

Live in Grottaferrata

La grotta dell’azienda agricola La Torretta di Riccardo Magno, dove si svolge la degustazione a occhi bendati, è stata probabilmente scavata per recuperare il materiale necessario alla costruzione della cisterna romana. “Cisterna della Torretta”, datata tra il 100 e il 50 AC., di proprietà della famiglia di Riccardo fin dal 1864, che l’ha sempre utilizzata come parte integrante della cantina, luogo per fare il vino. Le botti venivano “ingrottate” in primavera per proteggerle dalla calura estiva. Siamo una decina di partecipanti attorno al tavolo giù nella grotta romana, tutti con gli occhi bendati. I vini da assaggiare sono sei. Luca e Ilaria ci istruiscono sul senso e sull’andamento della degustazione. Suggeriscono un consiglio tecnico fondamentale a partire dai bicchieri schierati da sinistra a destra. Dal numero 1 al 6 è bene tenere sempre ancorata una mano sul primo bicchiere a sinistra e con l’altra afferrare a tastoni come su una pianola, i successivi cinque bicchieri di modo da orientarsi avanti e indietro, durante tutta la durata degli assaggi. Deprivati di un senso fondamentale come la vista, in un primo momento ci si sente persi, privi dei riferimenti consolidati. Poi pian piano, soprattutto perché consci che non durerà molto, il panico lascia spazio alla concentrazione su di sé, ci si adatta al buio totale. Rispetto alle condizioni normali, di necessità virtù, comincio a fare più affidamento sull’olfatto, sul tatto, l’udito. Ascoltare i vini scorrere man mano nei bicchieri trasmette perciò un sapore più profondo, quasi poetico. È un segnale uditivo fluido che scorre, schiocca, riempie lo spazio ad onde sempre più larghe come un sasso gettato nello stagno, ma un sasso e uno stagno di natura acustica, non visibile agli occhi. 

Ho ripensato ad alcune mitiche registrazioni live di musica jazz. Ad esempio Bill Evans Trio col grande Scott LaFaro al Sunday Village, del 1961 dove durante l’esecuzione dal vivo si può sentire il chiacchiericcio del pubblico, il tintinnare dei bicchieri, i rumori di fondo che entrano a pieno titolo nel sound generale degli altri strumenti sigillando un’aura particolare a quella stessa serata incisa su un supporto audio che immortala l’atmosfera notturna dell’evento irripetibile.

Quella registrazione magica rende tuttavia ripetibile all’infinito su disco, il guizzo della vita vissuta e respirata, emanata da chi c’era in quel preciso momento del 25 giugno 1961 al Village Vanguard di New York City, musicisti e pubblico. 

Più luce

Ora invece è il 6 febbraio del 2023, a Grottaferrata. Tra i degustatori bendati presenti c’erano altri miei sodali, critici non proprio di primo pelo come Fabio Rizzari e Giampaolo Gravina. Anche Jacopo Manni era dei nostri, che della giornata ne ha stilato un resoconto dettagliato su Intravino. Come aveva sottolineato Ilaria nella sua introduzione, con gli occhi chiusi per osservare meglio, è stato in effetti il mantra che ho recitato in silenzio durante questo gioco degli assaggi, deprivato della vista. Non c’è dubbio che ho pian piano cominciato ad avvertire una maggiore amplificazione della sensibilità, sia olfattiva che del palato. Dei sei vini in batteria i tre che risuonavano più affini alla mia bocca e senza condizionamenti d’altro tipo, non avendo potuto vedere le etichette che sono state rivelate solo a “gioco” ultimato, sono stati esattamente quelli che avrei scelto se la degustazione fosse stata fatta a occhi e a bottiglie scoperte. L’ordine dei vini è stato volutamente “imprevedibile” in modo da sparigliare ulteriormente le carte e disorientare ancora di più la facoltà percettiva agli assaggiatori bendati: rosato il primo, rosso il secondo, bianco il terzo, rosso il quarto, orange il quinto, rosso il sesto e ultimo vino. La percezione sulla natura cromatica dei vini, parlo per me, non ha traballato e soprattutto gli altri tre vini meno consoni al mio gusto, una volta sbendati gli occhi e le etichette, risultavano essere i vini più ”studiati” dove l’affinamento imprime un suo peso specifico, a cesellare orpelli, a sottrarre leggerezza e disinvoltura che invece caratterizzavano gli altri tre vini di mio gusto, dove magari la franchezza dell’uva è più a rischio d’irregolarità o ruvidezze – sciatteria nei casi peggiori -, però sicuramente per me la beva è più fluida, schietta, nonchalant. Quindi per finire aggiungerei che la deprivazione sensoriale in ragione di uno strambo paradosso cerebrale, acuisce ancora di più i restanti sensi mostrando una maggiore sicurezza di giudizio, spalancando la nostra attenzione interiore ad una concentrazione inesorabile sulla sostanza-vino nei bicchieri e niente più, dopodiché solo “più luce, Mehr Licht”, come sospirò Goethe il 22 marzo del 1832 poco prima di morire, senza chissà quali intenti metafisici ma desiderando semplicemente che gli aprissero un po’ la finestra della camera.

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