Barred

VALUTAZIONE

Trattoria

CebollaCebollaCebolla
PREGI
L’equilibrio e l’originalità degli accostamenti.
DIFETTI
La sala estremamente rumorosa.

Un’audace cucina contemporanea

Durante il proibizionismo le Autorità chiudevano un locale che avesse venduto alcolici apponendo i sigilli e la scritta “Barred!” all’esterno. Oggi, questo nome ha perduto ogni connotazione punitiva (sebbene resti un memento delle lunghe peripezie burocratiche che i fratelli Palucci hanno dovuto affrontare per aprire il locale) diventando, invece, un richiamo per chi vuole sperimentare una cucina contemporanea a tratti audace, dove pochi ingredienti, quasi sempre umili, sono esaltati dalla tecnica e dagli abbinamenti.

È proprio negli accostamenti che la proposta dello Chef Tiziano Palucci (con un passato da Marzapane) trova la sua particolarità e meglio esprime la sua idea di cucina. La Lingua, beurre blanc e uova di pesce sintetizza l’idea alla base del locale; due ingredienti lontani e raramente accostati si sposano perfettamente, esaltandosi vicendevolmente a cercare il contrasto, e suonando all’unisono una piacevole melodia culinaria. La cottura e l’insolito spessore della carne completano una preparazione veramente riuscita. Discorso analogo può essere fatto per il Ceviche di persico, mandorle e chorizo; in questo caso l’armonia del piatto, potenzialmente compromessa dal gusto deciso del salume, è salvaguardata dalla generosità del taglio del pesce che permette di mantenere la coerenza nell’abbinamento, scongiurando rischiosi sbilanciamenti e consentendo a ciò che poteva sembrare un azzardo di trasformarsi in un interessantissimo alleato nell’esaltazione del gusto. 

Fra il valzer ed il Rock and Roll

Quando ormai ci eravamo abituati all’armonia e all’elegante metrica delle portate siamo rimasti sorpresi dalla vena rock della Lasagnetta di agnello. L’ottimo stracchinato acido regala il giusto slancio, sferzando le papille ad ogni boccone. Proprio questa spinta di sapore è invece poco presente nella Palamita alla diavola e cicoria arrosto. Dalla premessa del titolo ci aspettavamo una maggiore personalità: la materia prima è trattata con il rispetto che le si deve, l’aglio fritto è sfizioso, così come la cicoria, ma il piatto pecca di poco carattere. Probabilmente una maggiore attenzione al “diavolo”, anche solo in forma di salsa di accompagnamento, per non spaventare i più timidi, avrebbe sicuramente rappresentato un plus.

Plauso particolare, invece, alla pasticceria, in grado di accontentare gli amanti del “dolce” e quelli di un fine pasto meno tradizionale. La Tartelletta di caramello salato è scolastica, giusta, fin quasi troppo “perfettina”; la Crema di nocciole è molto più arrogante, estremamente dolce, ma perfettamente bilanciata dal Gelato all’aceto balsamico e dalla salvia; grintosa, vincente.

Estremamente ricca (forse anche troppo) la carta dei vini naturali: un elenco molto corposo che percorre tutto lo Stivale e arriva in Francia; principalmente contenente prodotti di piccole realtà locali. La quantità dell’offerta potrebbe essere foriera di lunghe attese alla ricerca della scelta giusta, ma l’ottima guida del preparato Mirko Palucci (fratello dello Chef), consentirà anche ai non estimatori di trovare la giusta bottiglia.

Probabilmente l’inclusione di alcune etichette classiche tenderebbe la mano ai più tradizionalisti, ma la direzione del locale è ben marcata e il coraggio e la coerenza sono qualità che vanno sempre apprezzate.

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Valerio De Cristofaro

Auditor ed esperto di compliance normativa, spazia tra il rigore lavorativo e la convivialità a tavola. Romano di nascita, coglie ogni occasione per togliersi la cravatta ed abbandonare i comfort di città per partire zaino in spalla, alla ricerca di nuovi paesaggi da fotografare e piatti da cui farsi stupire. La tavola, in tutte le sue declinazioni, è la sua passione e la sua curiosità lo porta a sperimentare qualunque pietanza incontri per il mondo, senza però mai abbandonare l'amore sconfinato per le proprie tradizioni.

1 Comments

  1. Alex ha detto:

    Buongiorno, solo qualche osservazione: cosa intende per tradizionalisti del vino e per eccessiva ricchezza di vini naturali? La sua affermazione lascerebbe intendere che proporre vini naturali sia una scelta che devia da un gusto diffuso, che andrebbe assecondato, mentre credo che la norma dovrebbe essere quella di bere prodotti più salubri ed espressivi possibili. Come lei ben saprà (e checchè se ne possa dire) il vino ‘’naturale’’ non è una trovata contemporanea, bensì nasce dall’esigenza di identificare alcune caratteristiche produttive che differenzino il vino fatto in un certo modo, da una deriva (quella sì) che dagli anni 90 in poi ha creato monoliti privi di identità, atti a compiacere un gusto spesso influenzato da sedicenti critici. Non entriamo nel merito della retorica sulla bontà del vino naturale (che a seconda delle competenze del produttore e delle vocazioni territoriali può essere più o meno interessante), ma soffermiamoci piuttosto sul fatto che anche cantine e domaine (assolutamente ‘’tradizionali”) che strappano centinaia o migliaia di euro a bottiglia, lavorino in maniera ‘’naturale’’. Pertanto, se si pensa di rassicurare un consumatore proponendo vini meno identitari ma più codificati, si potrebbe anche pensare di non fare ricerca sulla materia prima, e invece che acquistare formaggi a latte crudo, prediligere quelli pastorizzati (e così via). Questo per dire che, non possiamo essere esigenti sulla qualità del cibo che assumiamo, prescindendo da ciò che abbiamo nel bicchiere e che che ció che a volte consideriamo normale, lo è diventato per abitudine, ma non è detto che lo sia. Perdoni lo sproloquio, resto a disposizione per un confronto. Saluti,

    Alex

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