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La Maison du Champagne: Dom Pérignon

Vino
Recensito da Vania Valentini

Un paradigma per l’evoluzione della Champagne

Se c’è uno champagne che, da sempre, prendo come riferimento per capire l’evoluzione nel tempo dei diversi millesimi in Champagne, questo è Dom Pérignon. Sin dalla sua creazione, infatti, la visione dello Chef de cave e l’indole dell’annata possiedono egual importanza, anche quando quest’ultima è ostica, rigida. Soltanto in questo modo è possibile cogliere quali saranno, nel tempo, i suoi umori, le sue ‘plentitude’, la sua vera, precipua, identità. Rispettandola. Perché, e in questa regione lo sanno bene, “se forzi l’annata, quindi la natura, questa ti si rivolterà contro“. 

L’ideale estetico di Dom Pérignon viene, così, perpetuato dallo Chef de cave di millesimo in millesimo e scolpito, all’interno di ogni singola bottiglia, assieme al temperamento dell’annata. Un vino che diverrà, nel tempo, sempre più incisivo, complesso e profondo ma anche flessuoso, vibrante, affusolato. E definito. È proprio questa la magia di Dom Pérignon: la ricerca dell’intensità e mai della potenza, la leggerezza che nasce dalla pietra, un vino in cui l’incontro tra lo Yin e lo Yang, tra lo Chardonnay (luminosità, finezza) e il Pinot noir (struttura, profondità), tra leggerezza e concentrazione, tra freschezza e maturità, dà origine ad una straordinaria armonia che si alimenta, e vibra, degli opposti di cui vive. 

Le uve di Pinot noir per la creazione di Dom Pérignon provengono dai prestigiosi Grand Cru di Ay, Bouzy, Mailly, Verzernay e, per la memoria storica, dal Premier Cru di Hautevillers (dove ha sede la storica Abbazia, oggi sede spirituale della Maison), mentre per lo Chardonnay dai villaggi di Avize, Chouilly, Cramant e Les Mesnil-sur-Oger. Il processo di vinificazione di Dom Pérignon si svolgeva in legno fino agli anni sessanta, successivamente si è passati all’acciaio. Dom Pérignon, infatti, non ricerca le note ossidative ma predilige una maturazione lenta e graduale della materia che possa, nel tempo, dare origine a vini dalla levità e definizione inarrivabili. L’assemblaggio, infine, prevede un rapporto paritetico tra le due uve, con piccole differenze tra le diverse annate. Il Meunier non viene contemplato per l’assemblaggio del Dom Pérignon perché, come ho accennato precedentemente, in queste bottiglie la magia è data dalla continua tensione ed energia tra i due vitigni, dai due poli opposti che si attraggono, e si respingono, in un moto perpetuo. Il Meunier apporterebbe quella stabilità, quell’immobilismo che in queste bottiglie non è desiderato. Non si inseguono espressività e pienezza, non  si cerca la maturità precoce bensì la finezza, la definizione, la crescita costante e graduale nel tempo. 

Poco tempo fa, ho avuto il privilegio di potere presentare una serata dedicata a Dom Pérignon all’enoteca Tannico di Milano; ho quindi avuto modo di riassaggiare diversi millesimi degli ultimi 10 anni ma con il plus dell’entrata in campo del Vintage 2012 (allora in anteprima). Ecco le mie impressioni.

Dom Pérignon 2002

(48% Pinot Noir, 52% Chardonnay; 5 g/l); ANNATA 2002: (alcol potenziale 10,5° e acidità totale 7,2 g/l, 7 anni sui lieviti)

Ricordo che Richard Geoffroy (Chef de cave della Dom Pérignon fino al 2018), durante una degustazione presso l’Abbazia parlò, riferendosi a quest’annata, di una “sovramaturazione aromatica dello Chardonnay, da renderlo addirittura viscoso. Un DP sensuale”. Era il 2016 e ricordo anche che, all’assaggio, lo trovai proprio così. Ammaliante nelle sue movenze lente, nelle sue suggestioni burrose, di limone, timo e cenere, arricchito da affascinanti note di torrefazione e gourmand garzie anche da una sboccatura, allora, non recentissima. Infine, un sorso asciutto e teso, sostenuto da un’acidità vibrante e ancora scalpitante.  A distanza di 5 anni, posso confermare la fisonomia non è mutata, rimane lui, nella sua suadenza ma che oggi, a tratti, è opulenza. Non accende i sensi, non arriva quella vibrazione, mancano la verve e quel dinamismo che mi aspetto da una grande annata come viene (o venne?) definita questa. Possiede la consueta, e grandiosa, complessità, ha profondità, volume e sapore, ma non sfolgora. Rimane, in ogni caso, un vino di statura enorme. 94/100

Dom Pérignon 2004

(53% Pinot Noir, 47% Chardonnay; 6,5 g/l); ANNATA 2004: (alcol potenziale 9,8° e acidità totale 7,3 g/l, 7 anni sui lieviti)

Il migliore. Sempre Richard, alla stessa degustazione esordì dicendo: “nel 2004 la serenità che si viveva in vendemmia, dopo un’annata di tale bellezza, entrò del vino’. E come dargli torto. Sebbene l’indole del 2004 non sia certo solare, esotica – e proprio per questo io l’ho amata sin dal principio – questo è un Dom Pérignon che conquista nelle sue sensazioni di pietra spaccata, grafite, aghi di pino, menta, balsami, resine,  muschio bianco e che si distende nel finale su note polverose di cacao, mandorla.. Un olfatto incisivo, profondo e inebriante, ma anche rinfrescante, a preludio di un sorso dall’ingresso ampio e freschissimo, nuovamente balsamico, gustoso e saporito, pieno, avvolgente e dal finale interminabile, salato. Eccezionale e in una fase meravigliosa (a quando l’uscita della Plenitude?). 98/100

Dom Pérignon 2008

(50% Pinot Noir, 50% Chardonnay; 5 g/l, oltre 8 anni sui lieviti); ANNATA 2008: (alcol potenziale 9,8° e acidità totale 8,6 g/l)

Brilla di luce propria. È coriaceo, sottile, luminoso e affusolato al naso nei suoi ricordi di roccia, lime, timo e grafite e sfuma, con l’evoluzione, su note di torrefazione, polvere di caffè. In bocca il profilo è atletico, slanciato, un maratoneta dai muscoli scattanti e tonici, per un sorso dall’altissima definizione, asciutto e ampio, ma anche elevante, propulsivo. Per un finale affumicato e di craie, interminabile. 

Si è riusciti a non rendere caricaturale l’acidità in un’annata in cui i valori erano eccezionali, estremi; grazie a una sosta più lunga sui lieviti, infatti, questa componente è perfettamente integrata, inglobata nella visione stilistica di Dom Pérignon. Proprio per questo, diventerà monumentale. 97/100

Dom Pérignon 2010  

(54% Chardonnay, 46% Pinot Nero; 5 g/l, 8 anni sui lieviti); ANNATA 2010: (alcol potenziale 10° e acidità totale 8,5 g/l)

Un’annata davvero difficile per il pinot noir, così questo è l’unico Dom Pérignon in cui si è dovuti fare affidamento sullo chardonnay aumentandone la componente in assemblaggio. Un vino che rimane, anche se in debito di pinot noir, di grande solidità, peso, volume, ampiezza e, naturalmente, grande freschezza. Probabilmente, è il più ‘riservato’ dei tre, il meno espressivo ma anche il più introspettivo: inaspettate sensazioni tattili di peonia, lillà e gelsomino emergono in superficie se lo si attende; possiede, a suo modo, una sua liricità. Un Dom Pérignon di vigore e grazia, per appassionati. 93/100

Dom Pérignon 2012

(51% Pinot noir, 49% Chardonnay; 5 g/l e 87 mesi sui lieviti); ANNATA 2012: (alcol potenziale 10,6° e acidità totale 7,8 g/l)

Veste regale, brillante e invitante, si fa notare. Esplosivo anche al naso, dove è ricco, espressivo nei suoi nitidi profumi di agrumi nobili (kumquat, mapo, lime), nelle erbe fini e negli spunti fumé, tabacco, grafite. Infine, ammaliante nelle sue note di note nocciola, caffè. Un olfatto incessante e penetrante, rigoroso, un palato in cui domina l’energia e dove l’effervescenza irrompe accendendo tutta una serie di analogie, di sapori. Infine, una progressione gustativa freschissima e ampia, scalpitante, propulsiva. La 2012 si conferma, con Dom Pérignon, una delle annate più difficili della decade, ma anche la più splendida. Un millesimo di opulenza, candore e di una maturità esplosiva. 98/100

1 Commento.

  • Bruno15 Marzo 2022

    Complimenti per L’articolo

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