George Orwell, 1984
“La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L’ignoranza è forza.”
Veleno in polvere
Chi ha seguito i podcast Veleno e Polvere si sarà reso conto a spese del proprio equilibrio nervoso, del grottesco assurdo che sostiene i meccanismi processuali in Italia. Un’atmosfera funesta da Processo di Kafka.
Polvere la serie audio a cura di Chiara Lalli e Cecilia Sala, riguardo l’omicidio di Marta Russo (1997) la ragazza ammazzata in pieno giorno all’Università di Roma da un colpo presumibilmente partito da una delle aule della Sapienza. La scrupolosa ricostruzione sonora dagli archivi rileva un ammasso disarmante di pedanteria giuridica, sopraffazione militaresca da parte dei procuratori poliziotti e solite implicazioni coi servizi segreti che invischia l’adulterazione delle prove e le testimonianze plausibilmente false tanto da incolpare individui innocenti.
Veleno invece è il podcast di Pablo Trincia & Alessia Rafanelli che ricostruisce il caso inquietante dei «Diavoli della Bassa Modenese» sempre alla fine degli anni 90. È un reportage audio concepito con la serietà di un giornalismo d’inchiesta sempre più raro dalle nostre parti. L’incubo dei 16 bambini manipolati nei ricordi e nelle confessioni di abusi in famiglia e di riti satanici inventati da zero da cui s’innesca un colossale pasticcio giudiziario causato sia da isteria collettiva che da un conflitto di interessi economici infernale con la connivenza implicita tra i servizi sociali, gli psicologi, i giudici, i ginecologi, le famiglie affidatarie che hanno devastato per sempre la vita a intere famiglie.
Cioè, giudici-ginecologi-psicologi-assistenti sociali proprio quelli che avrebbero dovuto proteggere e tutelare questi bambini sono stati i colpevoli principali, i manipolatori satanici di un abuso fisico e psicologico inimmaginabile. Un sopruso immane fatto di cialtroneria, ignoranza, calunnie, mistificazione, ingordigia. Veleno, appunto.
La vita nei boschi…nell’inferno della città
Ho vissuto per alcuni anni a Londra subito dopo la laurea. Sfuggivo l’Italia come si sfugge un boia che prima o poi sai benissimo ti giustizierà.
In quegli anni randagi il sentimento più forte che provavo era un mischione astratto d’angoscia e incapacità d’agire. Guardavo il traffico della vita passarmi davanti agli occhi dalle vetrate unte di una gelateria rinomata dove lavoravo a Chalk Farm. Una mosca ingabbiata sotto a un bicchiere. Questo mi sentivo di essere. Non vedevo barriere eppure sbattevo su pareti trasparenti di vetro. Apparentemente libero eppure in trappola.
Nelle pause dal lavoro alla gelateria-ristorante mi rifugiavo in una libreria nascosta in uno dei vicoletti di Camden Town. Era un piano terra impilato di libri usati ma in verità entravi in casa di David che la gestiva. David, uomo di silenzi più che di parole. Viveva al piano superiore. Appena entravi David ti offriva sempre una o due tazze di tè bollente. Scambiavamo poche ma intense chiacchiere sui nostri interessi principali: letteratura filosofia jazz. C’era sempre qualche personaggio strambo nella libreria-casa di David che giocava a scacchi da solo o altri tipi solitari in cerca di libri introvabili di matematica, musica medioevale, esoterismo, cosmologia, metafisica. Walden si chiamava la libreria di David in omaggio al capolavoro di Thoureau che invitava a vivere in solitudine nei boschi. Chissà se ancora esiste, sono passati più di vent’anni. Walden era l’unico approdo di quiete e mezza felicità in quell’inferno di città narcotizzata tra il Ministero della Verità, il Ministero dell’Amore e quello dell’Abbondanza.
La Londra orwelliana dove avveniva l’alterazione continua delle opinioni, la falsificazione scientifica del passato e dei fatti storici. La Londra che puzzava di piscio, birra acida e gin Vittoria putrido dei prolet non mi sembrava poi tanto lontana dalla Londra che ho vissuto io.
Sono stati anche anni leggermente alcolici, anni sradicati, anni svaniti in un mondo di ombre, ma nel medesimo clima di paranoia e controllo della realtà, inconsciamente ho sempre associato David al rigattiere dove approda Winston Smith il protagonista di 1984 “può anche darsi che i libri non dicano la verità.” Appunto per questo perciò è di fondamentale importanza conservare la propria integrità mentale e magari dare forma scritta ai pensieri.
Ora, così come i magistrati, i procuratori, i commissari di polizia, gli psicologi, gli uomini d’ordine e disciplina che sfilano in Veleno e Polvere come tante comparse di un ballo in maschera grottesco di cui dovremmo fidarci ma che sono i primi fautori del male che pretenderebbero di debellare, per inquietante associazione d’idee penso che tanti tecnici del vino, professoroni universitari ed enologi in primis, siano loro stessi ad aver innescato un meccanismo perverso d’utilizzo (abuso) di prodotti correttivi e tecniche invasive di vinificazione smerciati come necessari quando invece sono deleteri alla bontà del vino in sé oltre alla salute dei bevitori che già di loro devono fare i conti con l’alcol.
Terre sospese
Mi è capitato ad esempio di assaggiare tanti vini Liguri che nonostante un territorio così incredibilmente frastagliato ed eroico – terrazzamenti vertiginosi sulla costa, vigne quasi impossibili da lavorare, terre dilavate dai nubifragi – nel bicchiere non riflettevano nella maniera più assoluta questa meraviglia agronomica e anche angustia paesaggistica, ma solo piattume, grigiore, anonimato dovuti all’utilizzo di lieviti selezionati ed altre scorciatoie enologiche che standardizzano in maniera irritante il gusto di tutti i vini i vitigni i vignaioli i territori rendendoli anemici nei casi migliori.
Terre Sospese.
Il Terre Sospese 2019 di Andrea Pecunia, proviene da mezzo ettaro su 3 parcelle a strapiombo sui terrazzi di muri a secco delle Cinque Terre. Mille bottiglie prodotte. Terre Sospese è un blend di uve varietali del territorio e della tradizione: Bosco, uva rustica con bucce spesse, tannino, rese alte; Albarola, maturazione precoce buona acidità; Vermentino, vitigno semi-aromatico. Le uve assemblate assieme sono macerate per una decina di giorni sulle bucce in vasca poi affinate 6 mesi in anfora di terracotta. Il vino riverbera nel bicchiere la macchia mediterranea, la vegetazione spontanea che germoglia tra le rocce salmastre inaridite dal sole e dal vento. Terre Sospese è fuori moda. Vino di estrema austerità, profondamente tirrenico sostenuto più dal sale che dall’acidità che in effetti latita ma sorseggiandolo capisci pian piano che è un vino denso e severo, un vino lento da bere con lentezza, perciò non merita di essere giudicato troppo severamente. Ho provato a tenerne un fondo di bottiglia per un mesetto chiuso in bottiglia col proprio tappo. Nel bicchiere i riflessi aranciati hanno ceduto a gradazioni più scure. L’acidità, che come dicevamo non era il suo forte, è sopraggiunta con un accenno vibrante di volatile in maniera tale da acuirne la beva oltre ad equilibrare cioè raddrizzare l’opulenza di fondo.
Fare vino nelle condizioni impervie delle Cinque Terre anche con un solo mezzo ettaro, al netto di nessun genere di compromesso enologico come ha fatto Andrea per alcuni anni fino all’annata 2020, comporta molti sacrifici, dubbi, delusioni, false speranze. Purtroppo Andrea smetterà di fare vino a Riomaggiore, lo troveremo forse tra qualche anno a fare formaggi di capra in un’isoletta dell’Egeo.
Ad Andrea Pecunia, via George Orwell lanciamo un messaggio nella bottiglia verso la sua isoletta greca al sole:
“Noi siamo impegnati in un gioco che non possiamo vincere. Alcuni fallimenti sono migliori di altri, questo è tutto.”