Valutazione
Pregi
- Tre chef e sei mani che vanno parecchio d’accordo.
Difetti
- La partenza un po’ claudicante con gli appetizers.
Indole sovversiva e spazio al gusto. La tradizione futuristica di tre giovani cuochi-moschettieri nel centro turistico di Lucca
È proprio vero che il futuro non sia prevedibile? È certo che il destino non si possa controllare né decidere? La strada di ognuno di noi è definitivamente scritta? L’arte della divinazione, la mantica, tanto cara a Platone, crea spunti di riflessione ancora oggi.
A Lucca, in Piazza del Giglio, tre amici si sono ritrovati, scoprendosi cuochi, dopo le personali peregrinazioni verso le proprie mecche gastronomiche. Lorenzo Stefanini, Stefano Terigi e Benedetto Rullo sono oggi i tre chef del ristorante Giglio.
Numerosi gli spunti di riflessione osservando i tre all’opera. Il confronto quotidiano, ritagliato nelle ore di pausa lavorativa, dà vita ad una concezione del menù sui generis in grado di destare interesse anche nel più navigato dei gourmet. La moquette d’antan, che accoglie sedie e tavoli di legno massiccio, accarezza e mitiga lo stupore distratto dei turisti avvicinandolo e facendolo convivere con il desiderio di ricerca dei viaggiatori che qui troverà appagamento. Senza sbiadire l’indole turistica del locale, due concezioni di cucina viaggiano parallele, una più tipica e una più innovativa, sovvertendo le regole della tradizione come viene socialmente intesa e stimolando l’attesa del pubblico di gastronomi. Il trio sviluppa un gioco tecnico-psicologico complesso che crea punti di contatto tra il classicismo francese, il rigore giapponese, l’avanguardia della fantasia personale e la tradizione italiana.
Stile brioso, che riabilita la tradizione italiana con sguardo contaminato
Come nella camera degli specchi dove la propria immagine viene riflessa in mille sfumature diverse fino al punto di domandarsi se la figura che si stia guardando si riferisca a noi stessi o a qualche altra sagoma sconosciuta, “Agnello, salsa d’ostrica e colatura di aliciÈ una salsa di alici fermentate prodotta a Cetara, sulla Costa Amalfitana. Si pensa che la ricetta derivi dal Garum, condimento con intestini di pesce usato dagli antichi Romani. La preparazione: le alici pescate in primavera e in estate sono disposte a strati all'interno in botti di castagno o rovere alternate a strati di sale marino. La botti vengono quindi... Leggi” crea un mirabile inganno grazie alla viscosità assunta dall’agnello che richiama la consistenza dell’ostrica cruda, per poi, durante la masticazione, riallineare i neuroni palatali rendendo il passaggio netto e rassicurante. “Rognone di coniglio, burro bianco all’olivello spinoso, frisa e insalata riccia” riconcilia l’ambiente ai fasti della grandeur francese, in un percorso di affreschi, dettagli dorati e giochi d’acqua su cui lieve si diffonde un malizioso zefiro burroso.
Ma è entrando nello specifico dell’italianità culinaria che Stefanini, Rullo e Terigi dimostrano di non piegarsi di fronte alla restrizione territoriale, creando una sequenza tra tortello lucchese e tortellini alla panna che abbatte le barriere regionali dimostrando l’imperfettibilità della cucina tricolore, evidenziandone allo stesso tempo i limiti estetici, ma pure l’esuberante piacevolezza di gusto che colpisce nell’immediatezza e che, unita alla poetica della cucina della memoria, non lascia scampo. Al Giglio accade ogni giorno ciò che per la maggior parte del mondo gastronomico sembrerebbe inattuabile. Tre chef coesistono in perfetta armonia, fondendo eleganza, creatività e un pizzico di follia.
La cantina, studiata e alternativa, lascia sugli scaffali le bottiglie Supertuscan a favore di piccoli produttori naturali, locali e non, che accompagnano il desco di circa duecento clienti quotidiani. La cucina non sembra seguire alcun dettame, né nazionale né mondiale. Si va oltre al concetto di local e global, richiamando il valore più importante che spesso viene dimenticato: la libertà. Che non è licenza.