Passione Gourmet In De Wulf, Chef Kobe Desramault, Heuvelland (Be) di Alberto Cauzzi - Passione Gourmet

In De Wulf, Chef Kobe Desramault, Heuvelland (Be) di Alberto Cauzzi

Recensito da Presidente

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Difetti

Visitato il 12-2024

Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione Ristorante

“Senti il profumo di sterco, l’aria serena e fredda del nord. Senti un rumore sperduto, quel trattore che incrocia la tua stretta via con a bordo una signora provata dalla fatica e dalla vita. Che ti sorride. Paradossale ? Una vita di duro lavoro, magari di stenti, ma una vita felice. Per l’aria pura, per l’anima profonda delle persone che la circondano, perché qui si lavora la terra, e con la terra a contatto delle mani la mente è più salda, più forte, più vicina a Dio. E’ qui, nella campagna belga, che ho ritrovato la mia anima, il mio amore, la mia vita.

No, non voglio perderla più questa sensazione, questa serenità interiore, questa sintonia d’animo, questo profondo ed intenso amore. E’ lei è qui, non è un caso.

Proprio qui, in un mondo puro, profondo, apparentemente freddo ma estremamente caldo, vigoroso e intenso, pervasivo. Lei è così

Non è un caso, è lei, qui, ora! Questo è il suo luogo, così è la sua anima”


Kobe Desramault è nato e cresciuto in questa piccola e sperduta fattoria nelle campagne vicino a Lille. Qui sua madre gestiva una piccola guest house/brasserie. Kobe è rimasto folgorato da un suo precursore, quel Sergio Herman che, poco distante da qui, ha creato il suo paradiso proprio nello stesso modo, partendo da una modesta farm house di Famiglia. Kobe è un cuoco in grado di farti sognare … Kobe è un genio, Kobe ti fa rinascere. In un luogo in cui non puoi non trovare pace e serenità, in un luogo magico, perché pieno di energia positiva. Si sente, si percepisce, ti entra nel profondo, sino al cuore.

Anche qui arrivo con la pioggia ed una leggera foschia all’imbrunire. Proprio come a Torriana, 4 anni fa. Un Caso ? Forse. Che coincidenza però respirare la stessa sensazione di allora, l’impressione istantanea, ancor prima di sedersi a quel tavolo, di trovarsi in un luogo magico. Un luogo pieno di amore e di gioia di vivere. Un luogo voluto con forza e con volontà tenace. Un luogo che lo veste a pennello, come un effimero abito di Caraceni, ma che lo espone ad un effetto straordinario, ad una carica vitale rara ormai. Qui Kobe è a casa, si sente. E qui Kobe esprime una cucina intensa, vibrante, emozionante come da tempo non mi capitava di trovare.

I titoli di miglior ristorante al mondo, di cuoco del secolo lasciamoli pure fuori dalla porta. Qui si parla di emozioni signori, non di coccarde e medaglie affibbiate nel tempo, forse in un tempo in cui anche questi signori erano così, o forse no, ma che ora appaiono coccarde e medaglie sbiadite di fronte al talento dell’amore, del pathos, così profondo ed intenso.

Kobe Desramault, segnatevelo, sarà un grande. O forse no, meglio di no. Perché anch’io rischio di cadere nel vorticoso circolo mediatico, l’ego fa brutti scherzi. No, non segnatevelo. No, non premiatelo. No, non dite a tutti che Kobe è un genio. Portatevelo dentro di voi, nel cuore. E andateci con chi amate, davvero, per vivere una emozione profonda. Cercate lo sguardo e la sensazione dell’anima senza raccontarla troppo. Rendete prezioso questo luogo e questo momento e condividetelo solo con chi stimate, con chi amate, con chi merita.

Ecco, si, Kobe bisogna meritarselo, non è per tutti, non deve esserlo.

Ecco a voi l’elenco dei piatti, con qualche appunto sparso e disordinato, perché oggi mi va così. Acidità vegetali secondarie, nulla di primario, ruffiano, scontato, semplice. Kobe Desramault, Grazie !

Croccante con testina di maiale, crema di formaggio acido e cetriolo in salamoia

Bignè di mimolette (formaggio a pasta arancione della regione di Lille) alla polvere di cipresso

Ostrica con cialda croccante e erbe

Barbabietola, yogurt, petali di rosa

Popcorn di maiale (grasso soffiato ripieno di crema di maiale)

Anguilla affumicata in casa, cocomero grigliato, la sua crema, germogli

Sgombro, mela, nocciola, pimpinella e granchio del nord

Ostrica di Grevelingen, salsa di siero di latte di capra condensato, foglie di mostarda (foto saltata, il piatto del viaggio)

Seppia del mare del nord, cenere, fieno

Cappesante, rafano, tapioca, foglie di cavolo cappuccio, bisque di crostacei

San pietro, capperi di sambuco, cavolo rapa

Salsifi, crema e formaggio di capra

Fagioli rampicanti, brodo di midollo, uovo, noci fresche

Anatra selvatica cotta nel fieno, variazione di zucca arrosto

San pietro, salsa all’acetosa e schiuma di capra con germogli

Gelato al maiale, parfait croccante al bacon, polvere di pancetta (wow!!!)

Pera, verbena, avena

Acetosa, sedano, mela, sedano di montagna

390

il pregio: Un luogo per l’anima.

il difetto: Un luogo non per tutti.

In De Wulf
Wulvestraat 1
8950, Heuvelland (Dranouter)
Tel +32 (0)57 44 55 67
Fax +32 (0)57 44 81 10

www.indewulf.be
info@indewulf.be
Chiuso il sabato a pranzo, lunedi e giovedì
Menù degustazione da 45, 75 (a pranzo) 95 e 115 Euro (la sera)

Visitato nel mese di Ottobre 2010
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Alberto Cauzzi

70 Commenti.

  • Il Guardiano del Faro19 Ottobre 2010

    Cazzo Cazzo Cazzo, ma l'hai scritto prima o dopo? Ma oggi ho scoperto che il massimo Calvados mai nato " lo fu " per grazia di sterco di quelle bestiole figlie del nord. E questo, e questo te l'ho mandato io, tu lo sai che te l'ho mandato! E tu hai messo freccia a sinistra, tutti fermi, tutti a guardarsi i propri coglioni dallo specchietto messo male, e allora via a destra, saluti e baci, in pace tutti, innamoramento certo e fanculo a tutti! Sto correndo con il braccio in alto verso il Belgio!

  • velavale19 Ottobre 2010

    grazie per la rece @gdf ??????????

  • Il Guardiano del Faro19 Ottobre 2010

    Ma fammi vedere, cucina bianca, ma si è quello là, è intelligente , non buttare niente prima di avere nuove prospettive, ma la prospettiva là in alto è sempre bassa, si ma c'è poco colore là, c'è verde, c'è bianco, c'è tanto bianco, c'è pulizia e bellezza, sintesi e freschezza/freddezza e intimità. Posti per pensare in bianco e nero.

  • roberto19 Ottobre 2010

    Recensione da brivido lungo la schiena!! Complimenti

  • Luca C19 Ottobre 2010

    Ne parlavamo proprio domenica sera a Torriana, dove confermano che e' veramente un grande, ma ci siete andati insieme?

  • Orson19 Ottobre 2010

    E arrivare a charleroi con i low cost costa zero... Mi sa che i c.d. Gourmet anziché stare a fare polemiche qua e la' faranno meglio a partire...;)

  • azazel19 Ottobre 2010

    forse la tua scheda più bella Alberto, sincera, meravigliata, appassionata. Certo se quei piatti, con nomi diversi, fossero usciti da una cucina di Torriana non mi sarei meravigliato.

  • Gml19 Ottobre 2010

    Ragazzi, questo lo V O G L I O Alberto saresti forse così gentile da fornire un minimo di supporto logistico... eh? eh? eh? Che dire, grazie. E' il mio primo colpo di fulmine con un cuoco solo guardando i piatti. M.

  • Gio20 Ottobre 2010

    super rece Alberto! A gennaio sono li'..... magari pure prima :)

  • alberto cauzzi20 Ottobre 2010

    L'ho scritta prima :-) E' la terza o quarta volta che succede, tu pensi qualcosa e io la scrivo, o viceversa. Si, me l'hai mandato tu !

  • Alberto Cauzzi20 Ottobre 2010

    No Luca. Giorgio mi ha telefonato e, dopo Redzepi e L'Arnsbourg è approdato qui, un mese fa, e mi ha detto di aver fatto la miglior cena tra le 3. Io ho immediatamente prenotato ... Sai, sentire parlare bene un cuoco di un collega è cosa rara :-)

  • alberto cauzzi20 Ottobre 2010

    Da Bruxelles Chareroi, secondo aereoporto di Bruxelles, voli low cost da Roma e Bergamo (Ryanair). Poi auto in affitto e un'ora e mezza di strada affascinante, in mezzo alla campagna Belga, sconfinando spesso nella vicina Francia. In due con 5/600 Euro fai tutto, cena e pernotto compreso. La carta dei vini è scarsa e con poca profondità. Però un Egly Ouriet brut tradition a 70 Euro c'è, o un La Closeire di Prevost a 100 :wink:

  • massisol20 Ottobre 2010

    cazzarola... ricordo di una bottiglia datami (con autografo in pennarello argento) direttamente da Jerome Prevost... al costo di OTTO euriiiiiiiiiiiii!!! :o) ahhh è il destino di noi grandi...

  • breg20 Ottobre 2010

    Complimenti Alberto, bella ed appassionata ( appassionante) recensione!

  • Alfonso Isinelli20 Ottobre 2010

    Se hai intenzione fammi sapere... piena disponibilità...

  • Orson20 Ottobre 2010

    Una mezza idea c'è. Ti tengo aggiornato (in realtà ci sarebbe da fare un'abbinata...).

  • velavale20 Ottobre 2010

    grande giorgio in giro per farine, erbe, piccioni e grandi chef!! MITICO

  • velavale20 Ottobre 2010

    MA KOBE è QUELLO SUL SITO CON QUELLA FACCIA LI? li vedrei bene a cucinare insieme

  • Gml20 Ottobre 2010

    Grazie grazie grazie. Ci vado in primavera, fine marzo, così lo abbino ad un concerto a Brussels. Piena disponibilità a condividere la tavola, se qualcuno fosse così, per caso, da quelle parti. BTW, qualcuno accennava forse ad un possibile ambo interessante in zona...?:-D

  • raffo20 Ottobre 2010

    il maestro che segue una (non solo)mia indicazione,che grande emozione...!!! aldilà delle battute,grande kobe e grandissimo il dolce ai ciccioli (il gelato non era alla birra??). Così a occhio il menù nel giro di un mese soltanto pare già cambiato... PS: com'era la stanzuccia?? :D

  • alberto cauzzi20 Ottobre 2010

    Allievo, dopo questa ormai sei pronto per diventare maestro Jedi ... La tua forza è immensa, il tuo palato incommensurabile, non farmi la fine di lord dart fener però :wink: Il gelato era alla Birra, hai ragione ...

  • alberto cauzzi20 Ottobre 2010

    Giorgio è un grande anche per questo. Appena può investe tempo e denaro per vedere cosa fanno i suoi colleghi, con modestia e attenta curiosità.

  • davide20 Ottobre 2010

    è molto diverso dal bulli? molte foto sono quasi uguali?

  • azazel21 Ottobre 2010

    bella la modalità random

  • Alfonso Isinelli21 Ottobre 2010

    Se non è per il ponte dell'Immacolata, sono a Berlino in quei giorni (a proposito, consigli..) va bene. Fammi sapere, anche dell'abbinata (Herman?)

  • gianni revello21 Ottobre 2010

    Una bella recensione che ha il merito di porre l’attenzione su un grande ristorante e un giovane ma già grande chef. Significativa la sua biografia. Kobe Desramault inizia a 17 anni a lavorare nella cucina del ristorante Picasso non lontano da casa sua, passa poi al tre stelle michelin Oud Sluis di Sergio Herman (il quale, al pari di Adrià, ha conosciuto la cucina di Gagnaire a St.Etienne, ed è stato inoltre per uno stage a El Bulli, ecc ecc, fino a diventare autore di una cucina innovativa, inventiva e ricca di sapore, che utilizza tecniche d’avanguardia). Qui Kobe resta per due anni, fondamentali per la sua formazione culturale e per la solidità del suo mestiere, della sua tecnica. Si sposta quindi a Barcellona per dieci mesi al Commerç 24 di Charles Abbelan, scuola El Bulli, quindi idee e tecniche Adrià e loro applicazione in preparazioni per lo più in stile tapas. Che si tratti degli Aduriz o dei Redzepi ecc ecc per filiazione diretta, o di molti bravissimi giovani chef ad es. del tipo Parini o Desramault ecc ecc, per svariate differenti correnti di superficie o carsiche, lo spirito di Adrià (e ..Gagnaire!!) aleggia su tutta la cucina contemporanea, attuale grande cucina francese inclusa. Nel 2003 Kobe torna a casa e crea un suo ristorante rimodernando quello di famiglia e ottenendo giovanissimo nel 2005 la stella michelin. Aderisce al movimento The Flemish Primitive. A questo proposito, che movimenti del tipo The Flemish Primitives, o la scelta di nomi come the Flanders Taste Foundation, siano filiazione diretta dello spirito del Noma e di Redzepi sono ovvietà nel mondo della critica e dei blogger internazionali, che da non meno di due anni recensiscono, nella filosofia generale ( ..ho trovato invece sì suggestiva ma un po’ d’antan la poesia ‘Pascoli ..e deiezioni’ :) .. ) e nella specificità dei piatti, dei prodotti e delle tecniche ‘In de Wulf’, spesso definendolo il Noma delle Fiandre (..e non certo il Noma come il De Wulf di Copenhagen :) e amandolo intensamente al pari di Alberto come luogo unico e ‘magico’. Appare insomma a tutti evidente che questo pur giovanissimo ma già grande chef sia in grado di compiere un percorso suo proprio e aperto al futuro. Tornando ai Flemish Primitive (..che sembra anche il nome di un gruppo rock!), il senso del movimento fa esplicitamente e dichiaratamente riferimento al distacco della pittura fiamminga delle origini dalla tradizione italiana della prospettiva lineare centrica, come ora qui in parallelo si allude al distacco di questi chef fiamminghi dalla tradizione francese in cucina. Nei loro congressi (come già in precedenza Aduriz) questi chef si mettono in stretto rapporto con scienziati, produttori, esperti di cibo, chef stranieri (quali ad esempio i fratelli Roca), esponenti della cultura. Sono 10 i punti stilati nel loro Manifesto, in sintesi: 1. Uso di ingredienti locali 2. Uso di ingredienti di alta qualità 3. Feedback coi produttori creando un indotto 4. Feedback coi consumatori 5. Inventiva e apertura mentale verso nuove tecniche e nuovi prodotti 6. Innovazione e tradizione, non viste come in opposizione 7. Gusto e salubrità 8. Responsabilità morale, nella scelta di una catena etica per i prodotti e per il lavoro 10. Gusto multisensoriale. Come si vede una filosofia del cosiddetto ‘naturale’ molto ben articolata. Ho letto di In de Wulf la prima sul sito Verygoodfood 7/08, ma molti altri ne hanno scritto. L’autrice di Verygoodfood, Trine, è la biografa semiufficiale del Noma. Guardate il suo sito, ma ce ne sono anche diversi altri, per farvi un’idea non banale e un po’ circostanziata di cosa sia la cucina di Redzepi. Infine, dal sito del ristorante di Kobe Desramault cito un passo che dice molto sulla sua cucina, nella quale, riecheggiando la qualità della partecipazione analitica e multicentrica che ha caratterizzato nei secoli passati la pittura fiamminga, non c’è spazio per l’improvvisazione: FR: “Nous n’intégrons un nouveau plat au menu que s’il est ‘au point’ et nous a convaincus à 200%.” EN: “Only when a new dish is completely ‘ready’ and we are 200% behind it, do we include it on the menu.”

  • alberto cauzzi21 Ottobre 2010

    Tutti, caro Gianni, hanno padri ispiratori. Il punto è che Kobe, a mio parere, è molto meglio di Redzepi, ormai ridotto ad una catena di montaggio industriale, che fa dell'assemblaggio a freddo la sua caratteristica principale. Qui invece c'è temperatura, ci sono salse, fondi, concentrazioni, c'è cucina per dinci ! Sarà per la vicinanza così stretta con i cugini francesi, forse ... Sta di fatto che se io dovessi scegliere dove tornare sarebbe qui, non a Copenaghen, non a Roses.

  • Il Guardiano del Faro21 Ottobre 2010

    In Belgio troppe minkiate non gliele puoi mettere nel piatto, ti mandano a scopare il mar del nord, è certo che... "ci sono salse, fondi, concentrazioni, c’è cucina" e certo, qualche belìnata adrià si vede, ma si intuisce che questo è più vicino ad un francese moderno piuttosto che ad uno spagnolo alterno. Ho visto da non molto Renaut e Vieira, mi sembra quella la vena espressiva, sempre che Revello acconsenta :-)

  • Giovanni Lagnese21 Ottobre 2010

    Passi preferirlo a Copenaghen, ma preferirlo a Roses, suvvia, non scherziamo! Guarda, se uno vuole farmi incazzare, deve mettere nel piatto salse e fondi. Viva Adrià! Giovanni

  • Pat Garrett21 Ottobre 2010

    Vai pure a Cala Montjoi caro Lagnese che noi ce ne andiamo a Roanne fra salse e fondi, sicuramente non sentiremo la tua mancanza.. ;-)

  • gianni revello21 Ottobre 2010

    Ah Ah :) fantastico! ..i cugini francesi, i belgi! :) Ma qui (come anche il citare Renaut e Vieira, certamente bravi peraltro) questo non c’entra proprio niente di niente, ed è piuttosto l’esatto contrario! Kobe Desramault ha volutamente evitato con cura ogni esperienza francofona nella sua formazione (ma davvero, mi parlate di francofoni, di belgi, e mi dite che non avete mai sentito parlare di identità fiamminga? non è che vi siete persi qualche passaggio?). Questi sono i fatti: Desramault è andato prima da un cuoco d’avanguardia olandese e poi in Spagna da un seguace di Adrià (piaccia o non piaccia, il Commerç 24). E’ poi universalmente riconosciuto che il suo punto di riferimento per In de Wulf è stato Redzepi, ma certamente non ne è la copia, questo è un cuoco che sa quello che vuole, radici fiamminghe e maniera Noma (ed anche per Redzepi, figura complessa, uno dei diretti maestri è stato guarda caso Adrià), o anche, come ancora è stato detto per Desramault, radici fiamminghe e ispirazione spagnola. In rete su In de Wulf c’è qualcosa che va oltre il gurmandese Lineare A ..Pascoli e deiezioni ..Emozioni ..Emozioni ..Coro: oohh! :) e va un po’ meglio addentro al suo modo di lavorare, ai suoi piatti. Questo è un grande, sono convinto, spero di andarci appena possibile. Avevo già organizzato per settembre, poi invece, altrettanto felicemente, sono andato al Sud. E se vi va cercate i Flemish Primitives, i loro congressi, sul modello San Sebastian, Aduriz ecc. ecc. Ma che scegliere e scegliere, Adrià, Redzepi, Desramault, non facciamo invenzioni, mica si tratta di cose in antagonismo. Sicuramente da conoscere tutti e tre, sapendo nello specifico da dove vengono e cosa sono. E poi Alberto, sul Noma, al di là delle questioni di gusti, liberi tutti, quello che dici tranchant come lo dici, è secondo me della pura disinformazione. Consiglio a tutti col Noma di mettersi in lista d’attesa, andarci e prendere assolutamente il menù ampio, meglio ancora in due volte tutta la carta, e farsi un’idea da soli, può piacere o no, essere capito o no, ma questo è un altro discorso. Niente e nessuno con un grande chef può mai sostituire l’esperienza diretta della sua cucina.

  • alberto cauzzi21 Ottobre 2010

    Appunto gianni, forse è meglio che leggi un pochino di meno su internet e prendi un aereo e ci vai a mangiare da in de wulf. Io non pretendo di avere la verità in mano, esprimo solo una opinione e ho tutto il diritto di farlo, come te del resto. Al noma ci ho mangiato, da Adria pure, da in de Wulf anche, da Troisgros pure ... credo quindi di parlare con cognizione di causa. Poco importa che non sia condivisa da te come da molti altri, non è il caso di sbeffeggiare chi ha opinioni differenti, come spesso ti capita di fare, tra le righe, e con parole ricamate.

  • gianni revello22 Ottobre 2010

    Giusto Alberto, ognuno dice la sua, e comunque i miei erano argomenti e non battute. Sul Noma ad esempio ci sarebbe molto da discutere senza liquidarlo in due battute in base a stereotipi del passato, e questo porterebbe al cuore della cucina contemporanea. Ovviamente non di tutta la cucina, le storie, le linee fortunatamente sono tante e tutto è continuamente in movimento. Passione Gourmet è una delle tante voci che ci sono in rete, non tantissime a questo livello, e a parte qualche battuta che ogni tanto può scappare, e con alcune cose sulle quali non la penso allo stesso modo, la mia stima e considerazione per il vostro lavoro l’ho ripetutamente espressa in tutte le sedi. Per cui W Passione Gourmet!

  • Giovanni Lagnese22 Ottobre 2010

    Alberto, tu semplicemente non hai capito Adrià e Redzepi. Anch'io su Redzepi ho delle riserve (ma di segno opposto: trovo la sua cucina troppo primitivamente orientata alla piacevolezza), ma quanto si parla di Adrià si possono dire solo due cose: "immenso" e "non ho capito, sono tonto, non ci arrivo, devo riassaggiare". Giovanni

  • raffo23 Ottobre 2010

    Peraltro,se non erro, il primo punto del manifesto citato da Gianni (uso esclusivo di prodotti locali) è una precisa filosofia dell'Od Sluis

  • raffo23 Ottobre 2010

    Il punto nodale che Alberto solleva,mi par di capire, è essenzialmente quello della temperatura. Ovvero,specie in certe stagioni e a certe latitudini (Heuvelland e Copenaghen non sono proprio Ragusa Ibla..),appare un po riduttivo e rischioso fare cucina fredda d'assemblaggio. Inoltre la cucina "vera",quella di fondi e salse a cui alludeva,è la cucina cucinata. E credo sia un tema molto importante,su quale molti (io per primo) spesso glissano,rimanendo incantati dal piatto e da ciò che c'è dietro ("non ho capito,son tonto,riassaggio" come diceva Lagnese). Per fare un esempio,alla mia prima visita da Uliassi mangiai il tutto crudo (ne sono un amante..) così come alla seconda e alla terza.Uliassi ristorante preferito,Uliassi genio assoluto, Poi quando ho incominciato ad andare sui piatti caldi,pur trovandoli meravigliosi,ho comunque scoperto i limiti dello chef (che rimane grande,sia chiaro) come la celebre "scostante sapida". Parlando poi con Puccio del mio viaggio lui mi ha sottolineato questa cosa ed in effetti ha ragione. Ecco,io credo che un conto sia la cucina d'assemblaggio,un conto la cucina cucinata. In questo senso l'allievo Skywalker concorda col maestro Yoda.

  • alberto cauzzi24 Ottobre 2010

    Bravo Skywalker, centrato ! Difatti sarebbe interessante condividere un tavolo così siffatto : io, te, il gdf da una parte e Ravello, Lagnese dall'altra. Quella sarebbe la sede opportuna per i nostri discorsi, magari in un'osteria :-) se Lagnese non si incazza troppo ... P.S. Luke, più che Yoda facciamo che sono Obi one kenobi, eddai! :-)

  • gianni revello24 Ottobre 2010

     L’Oud Sluid di Sergio Herman (riferimenti decisivi per la sua formazione Gagnaire Adrià Blumenthal, chiaro no?) si trova in Olanda, anche se fa notare un amico che Sluis è il paese più fiammingo dell’Olanda e che è un’ironia della storia che il nome della famiglia dello chef, da molte generazioni in Olanda, sia di chiara matrice spagnola, riportando la memoria ai tempi dell’occupazione asburgica di quelle terre. Al punto 1. il Manifesto The Flemish Primitives dice così:“Ingredienti locali. Lavorare con prodotti della regione.” Lo stesso è per Redzepi, esteso a più regioni e più nazioni nordiche. Tornando ai Flemish mi permetto di far notare ancora una volta alcuni altri punti da non dimenticare: 5. Inventiva e apertura mentale verso nuove tecniche e nuovi prodotti 6. Innovazione e tradizione, non viste come in opposizione (e questo tanto per Redzepi che per i Flemish vuol dire anche rispettare la tradizione locale e integrarne elementi e influssi nella loro cucina) 10. Gusto multisensoriale. Comunque Sergio Herman, orientato decisamente al rinnovamento della cucina, questo dichiara sul suo sito: “L’evolution de la cuisine ne s’arretera jamais. Chaque jour, nous nous employons à encore perfectionner ce que nous avons rèalisè la veille. C’est ainsi que vous èvoluez constamment vers quelque chose de nouveau et de refraissant.” e ancora, per la sua cucina: “..les meilleurs produits zélandais et les dernièrs technique culinaires”. A parte le tre belle recensioni su Identità Golose 2009 2010 2011, in italiano non ho mai letto altro su di lui. Spero di riuscire ad andarci o di leggere presto una recensione di Pg sull’Oud Sluis.

  • gianni revello24 Ottobre 2010

    Ciao Raffo, invece noi, nessun problema, non concordiamo. Con tutto il rispetto per il grande professionista che è senz’altro Uliassi, la tua formulazione “Uliassi genio assoluto” è un’iperbole che mi lascia di ..sale! Passati in due a luglio nel suo ristorante, sera affollata, qualche intoppo iniziale non di poco conto nel servizio, poi bene i quattro antipasti che abbiamo avuto in comune, nel complesso di valore, benché solo uno si elevasse sul resto (il sandwich di triglia, l’unico, isolato, piatto notevole di tutta la cena), ma a seguire nei due primi e nei due secondi alla carta è emersa una tendenza al sapido e al greve davvero sconcertante, cosa che all’uscita delle guide mi ha fatto toccar con mano il livello di zagattizzazione nel gusto, in una delle due anche in parte rivendicato, raggiunto dalle guide in diverse valutazioni. La mia personale valutazione per quella specifica cena: 15.5 / 20. E’ molto probabile che Uliassi in altri casi e contesti sappia far di meglio. Ma nella particolare occasione ho trovato una cucina che, pur distaccandosi, specie negli antipasti, nettamente dalla media, complessivamente per me non è neppure arrivata ad essere piaciona. Avevo altre aspettative, ci tornerò sperando in miglior fortuna, anche se è proprio lo stile che mi ha lasciato non poche perplessità. . Sul Noma ancora una volta, considero alla stregua della disinformazione la definizione della sua cucina come “fredda d’assemblaggio”, né peraltro l’ho sentito dire da alcuno. Del tutto fuorviante. Nel mio caso su venti piatti ho avuto un’incredibile ricchezza di fondi, brodi, salse, creme, spume, nevi, di grande originalità, finezza e persistenza. E uno specifico gioco di consistenze e di contrappunti gustativi mai provati in alcun altro ristorante. In un nuovo rapporto tra mondo vegetale e mondo animale che è uno dei segni distintivi della nuova cucina. Non più la vecchia sberla proteica e le verdure a contorno, come centro di un pasto. Un genere di cucina, quest’ultimo, che è, in via di scomparsa o ridefinizione, un episodio di breve periodo nella storia dell’alimentazione e della cucina, neppure mondiale, bensì occidentale. Passando poi al tema della modulazione delle temperature, se si vuole andare al ristorante per scaldarsi o, suppongo, in alternativa, per rinfrescarsi, non è necessario cercare l’alta cucina per ottenere lo scopo. E’ uno spreco di energie, economiche e mentali. In effetti se leggiamo verso la fine dei commenti alla rece di Alberto sul Noma, l’anno scorso su PG, una considerazione di Lucien, alla quale Alberto aderisce, illuminante, dopo il Noma invoca, ma certo, certo, per scherzo, ..un brasato con polenta fumante. Che novità e novità, largo al vecchio! Mi ricorda molto da vicino quelli che anni ’80 dicevano che usciti dal ristorante di Gualtiero Marchesi fosse necessario andare a farsi una pizza. Questa non è una novità, molti le cose le capiranno dopo, spesso quando avranno perso energia, o quando saranno diventate consuetudine (basta vedere quanto è cambiata la ristorazione negli ultimi decenni), e molti invece non le capiranno mai. Ma buono il brasato con polenta, come no, lo facevano ottimo mia nonna, mia madre, le mie zie. Senza niente eccepire con chi tranquillamente il brasato al ristorante se lo fa (magari non dopo il Noma :) , penso che al ristorante si possa anche cercare altro, con libertà di pensiero, senza ideologie ‘avanguardiste’ o ‘passatiste’. Tutto cambia continuamente, fissarsi su una cosa, come ad esempio “una” idea di cucina, non ha senso. Dunque non concordo affatto con la rozza formulazione: “Inoltre la cucina “vera”, quella di fondi e salse, è la cucina cucinata.” Nè credo, come peraltro ripete ogni grande chef contemporaneo di ogni parte del mondo, nella contrapposizione tradizione/innovazione, cucinato/assemblato, vecchi prodotti/nuovi prodotti, vecchie tecniche/nuove tecniche. Questi metri manichei e antiquati valgono, ripeto, per “una” idea di cucina, non in assoluto per “tutta” la cucina contemporanea, per cui sono inconsistenti se usati per dare un giudizio di valore sulla cucina odierna, tanto per quella nazionale che per quella assai variegata di tutto il mondo. In ogni caso, ovvio che l’opinione di Alberto sul Noma, se pur nettamente minoritaria, è perfettamente legittima. Ma caro Raffo ti suggerisco, senza cercare le classifiche o le innumerevoli recensioni su giornali, riviste, guide, siti web di tutto il mondo, peraltro facilmente reperibili in rete, di cercare per l’Italia i testi di Paolo Marchi e di Andrea Petrini sulla guida Identità Golose 2009 e 2010; quello sulla Guida Gourmet 2009; quello di Bob Noto; quello di Fabird (con interventi di Barbaresi, Orson, ecc) sul forum del Gambero Rosso http://www.gamberorosso.it/grforum/viewtopic.php?f=7&t=62732 . Magari ce ne saranno altri che non conosco.

  • gianni revello24 Ottobre 2010

    Alberto, non mi sono ancora trasferito sulla costiera amalfitana, Ravello comunque proprio niente male come alternativa.. . Bene, facciamo l’appello: Tu Obi 1, Gdf Yoda, Raffo Luke, io Ian Solo, Giovanni ce lo dirà lui. Per la tavola assieme sono d’accordo, ma solo se ci siamo tutti, e pellegrini sulla via francigena ceniamo in una certa certosa. Lo priore ci darà sicuro rifugio e ci proteggerà dall’Impero Stellato. . ‘’ Quel ragazzo è la nostra unica speranza.’’ (Obi-Wan Kenobi di Luke) . ‘’ Ragazzo... Io ho girato questa galassia in lungo e in largo, ho visto un sacco di cose curiose. Però non ho visto niente che mi abbia convinto che esiste un’unica ‘’Onnipossente Forza’’ che comanda tutto quanto “ (Ian Solo) . ‘’ Giudichi forse me dalla grandezza? Non dovresti farlo infatti, perché mio alleato è la Forza. Ed un potente alleato essa è: la natura essa crea, ed accresce. Illuminati noi siamo, non questa materia grezza! ‘’ (Il Maestro Yoda) . ‘’ La Forza è quella che dà al Jedi la possanza. È un campo energetico creato da tutte le cose viventi. Ci circonda, ci penetra, tiene unita tutta la galassia…’’ (Obi-Wan Kenobi) . P.S.: siete forti! ;)

  • alberto cauzzi24 Ottobre 2010

    Raffo ha fatto quello che andrebbe fatto. Invece di leggere c'è andato al noma, lo scorso settembre. E dopo qualche giorno in de Wulf ... con un passaggio all'Arnsobourg. Così si fa, bravo raffo !

  • gianni revello24 Ottobre 2010

    Consiglio a tutti di andarci. Noma e Arnsbourg chiari. In de Wulf al più presto. Sul leggere capisco che è fatica. Foto e un po’ di retorica e vai col liscio..

  • emanuele barbaresi27 Ottobre 2010

    Ristorante interessante (ovviamente da provare quanto prima) e anche dibattito interessante. Peccato non avervi potuto partecipare, per mancanza di tempo. Solo una precisazione (a Gianni): almeno una recensione in italiano sull'Oud Sluis di Sergio Herman c'è stata, sulla Guida Gourmet 2009 (pag. 488, valutazione 18/20).

  • gianni revello27 Ottobre 2010

    Giusto Emanuele, dimenticanza grave, ero anche andato a rileggerla, utilissima, nel contesto del dibattito. Ha il pregio di spiegare, molto meglio e in modo più esteso di quelle, pur pregevoli, di Identità Golose, tanto nel senso generale che nello specifico delle varie portate, il carattere della cucina di Herman. Alla fine hai individuato anche quella che è una 'influenza Gagnaire' su Herman relativamente alla complessità dei suoi piatti. Ne abbiamo già parlato, ma vale in ogni campo, dell'arte, del design, dell'artigianato, e, sia quel che sia, anche della cucina. Né la tendenza alla riduzione minimalista, né quella alla classicità, né quella alla ripresa di elementi dello stile barocco, sono in sé un valore o un disvalore. Sono semplicemente questioni di stile. Che si relazionano poi con le differenti soggettiva dei fruitori e col vario spirito di un'epoca. Bisogna innanzitutto vedere se il risultato finale funziona. E in Gagnaire eccome se funziona, anzi il suo stile è stato uno dei motori primi del cambiamento della cucina moderna, ante e parallelo ad Adrià, altro che difetto. Per me è un pregio. Purtroppo l'ho conosciuto (soprattutto alla carta, ancora grande! ma non più allo zenith) solo a Parigi e non a St.Etienne (ma Herman sì). In senso generale lo stile di Gagnaire deriva da un geniale incrocio del servizio alla russa (diventato assolutamente dominante in Occidente, ma in Oriente ad esempio no) con il vecchio servizio alla francese, e con la creazione di piatti 'costellazione' dove i 'treni gustativi' dei vari elementi corrono su binari sia paralleli che indipendenti. C'è poi il discorso delle tecniche ecc. Cosa ha a che fare tutto questo con In de Wulf? Molto, perché vedo in Desramault fondersi tutte le tendenze principali che hanno cambiato e stanno cambiando l'alta cucina mondiale. Tramite il suo principale maestro (Herman, appunto) Gagnaire e Adrià (approfondito poi da un seguace a Barcellona), tramite Redzepi (basta vedere la prima foto delle portate in questa rece, evidente iniziale omaggio al maestro danese) a tutto un movimento successivo che sta ispirando la cucina moderna, qui nella specifica versione Flemish Primitives e secondo la spiccata personalita di questo chef.

  • emanuele barbaresi27 Ottobre 2010

    In effetti la cucina di Herman può essere stata influenzata sotto molti aspetti da quella di Gagnaire. Non arriva però al punto di utilizzare il sistema dei piatti satellite in modo strutturale. Sono comunque entrambe due cucine molto complesse. E se quella di Gagnaire ha senz'altro più carattere, quella di Herman prevale sotto il profilo della finezza, elemento a tratti singolarmente carente nei piatti dello chef francese. Concordo poi sul fatto che né la tendenza alla riduzione minimalista, né quella alla classicità, né quella alla ripresa di elementi dello stile barocco sono in sé un valore o un disvalore. Tutto dipende, appunto, da come vengono interpretate. Anche se sono sempre più convinto che nella cucina contemporary style, fondamentalmente minimalista, il che non significa necessariamente poco complessa, molto spesso si finisce per perdere la centralità del gusto. Il che non è poco. Naturalmente non mi riferisco ai primattori, agli Adrià, agli Aduriz, ai Dacosta, ai Redzepi, ai Klein. Ma a molti, moltissimi chef di seconda fascia, con i quali si è spesso troppo generosi, solo perché ci si fa confondere le idee da tre o quattro cosettine impiattate con grazia. Dimenticando la centralità del gusto.

  • gianni revello28 Ottobre 2010

    Che ci sia differenza tra gli originali e le copie, tra chi inventa e chi copia, è senz’altro vero. La differenza sta nella forza e unicità di uno stile, nel non valere in quanto appartenente ad una ‘scuola’, ma nel valere in sé. Pensa però che, ad esempio in arte, ma ovviamente in tutti i campi, ci sono ampie fasce che agli originali preferiscono le copie. Specie quando l’idea originale è forte, nell’accettarla non senza riserva la preferiscono in forma diluita, o almeno in veste più familiare. Le copie però non sono sempre e solo un minus rispetto all’originale. Quando non sono scadenti ne veicolano l’idea, la ibridano, la variano, la diffondono, spesso con risultati tutt’altro che disprezzabili. E siccome ogni avanguardia finisce col diventare ‘melodica’, se la novità regge agli urti a cui viene sottoposta, prima o poi tutti ne seguono l’aria. Allora quello che era innovativo, in dialettica con la vecchia tradizione, diventa a sua volta tradizione, in un’inerzia che tende a conservare il sistema affermato, che entrerà poi di nuovo a sua volta in dialettica con l’innovazione che lo soppianterà, e così via Questo schema vale anche storicamente per la cucina e in genere s’accelera se i tempi sono epocali Non è un caso che Gagnaire e Adrià siamo emersi con la fine di un certo ordine mondiale al termine del secolo scorso. Il mondo intero è entrato in mobilità, anche la cucina ha via via perso dei punti fissi per andare per strade diverse ad acquisirne di nuovi. Tu cosa intendi per ‘centralità del gusto’?

  • emanuele barbaresi28 Ottobre 2010

    Intendo una cosa particolarmente banale: il fatto che l'aspetto più importante di un piatto è il suo gusto, il suo sapore, i suoi sapori. E questo al di là delle cortine fumogene innalzate da presentazioni accattivanti (per quanto nell'alta cucina la vista abbia un ruolo significativo), da apparati pretenziosi, da appartenenze a "filosofie" culinarie vere o presunte, da inseguimenti o scimmiottamenti delle ultime mode, da fiumi di parole rilasciati da chef più attenti ai rapporti con la stampa e con i blogger che a quanto realizzano in cucina. Parlavo di centralità del gusto, perché in realta il gusto molto spesso, alla fine dei fini, non c'è o, a seconda dei casi e degli interpreti, è scialbo, eccessivo, grossolano, coperto da altro, eccessivamente omogeneo nel susseguirsi delle preparazioni. Come da quel famoso chef che (quasi) tutti lodano, senza rendersi conto che usa sale a palate (o forse se ne rendono conto, ma al soi-disant gourmet piace così). O come da quelli con la mania della destrutturazione, quasi sempre fine a se stessa. O da quelli dai quali non sarebbe neppure necessario mettere in tavola una forchetta, bastano cucchiai e cucchiaini. Ecco, devo dire che queste cadute di tono, questa perdita della centralità del gusto, si trovano soprattutto nei nostri ristoranti. In quelli francesi molto meno, forse perché Oltralpe in cucina, prima di improvvisarsi improbabili geni, imparano a padroneggiare come si deve le basi tecniche del loro lavoro. Magari non ti sfoderano il piatto ultra-creativo, quando geni non sono, ma almeno le salse, in genere, le sanno tirare come si deve. E se una carne dev'essere cotta al giusto rosa, poi è davvero al giusto rosa, non quasi cruda e sanguinolenta come da noi può capitare, e in effetti capita, forse per un malinteso senso della ricerca di cotture estreme, anche in certi stellati. Quanto all'avanguardia che diventa tradizione, allargando le sue basi e la sua influenza, beh, non mi sembra che sia questo il caso e neppure la tendenza dei giorni nostri nel mondo della gastronomia. L'avanguardia crea a macchia di leopardo molti scopiazzatori, appunto, spesso improvvisati e deleteri. Ma non si diffonde in modo sistematico, non trasmette davvero i suoi insegnamenti su larga scala. Al contrario, si nota una frattura sempre più netta fra la cucina d'avanguardia, fra la cucina davvero alta e quella di tutti gli altri ristoranti, compresi quelli medio-alti o presunti tali, che molto spesso, come dicevo, sono in realtà sopravvalutati. Nella ristorazione l'ultima vera rivoluzione, i cui effetti nel tempo si sono davvero estesi e consolidati, molto al di là di quanto all'epoca si sarebbe potuto immaginare, l'ha portata negli anni 70 la nouvelle cuisine. Infatti i suoi principi più importanti - attenzione al mercato e alle stagioni, alleggerimento dei piatti, riduzione delle cotture, spinta all'innovazione, cura nella presentazione - sono tuttora quelli che regolano, al di là della differenza di stili, tutte le cucine di qualità, o che ricercano la qualità, del mondo occidentale. Oggi l'avanguardia in cucina non è convogliata da un movimento di questo tipo e di questa portata, ma da singoli, bravissimi, straordinari chef, che hanno qualche epigono e innumerevoli, oscuri, impotenti scopiazzatori.

  • gianni revello30 Ottobre 2010

    Quando uno dei suoi giornalisti si accingeva a scrivere un editoriale, Montanelli lo istruiva così: “Se il tuo soggetto è una persona, scrivi che è un incapace; se è un Paese, scrivi che è un Paese allo sbando. Parlare male è sempre più efficace che parlare bene”. Bene, io non la penso così. E penso invece che questa modalità sia, al pari di problemi ben più gravi sotto gli occhi di tutti in questi momenti difficili, ma lo stesso guardando al più lungo periodo, già in sé una delle sventure del nostro paese. Per fare un esempio ed entrare nello specifico, non sono, direi quasi da ogni punto di vista, d’accordo con generali visioni fosche, che hanno a corollario lo sbandieramento di mai ben specificati presunti terribili cloni che s’aggirerebbero per le cucine del paese. Al contrario, a proposito della buona cucina che si pratica in un gran numero di buoni ristoranti, sostengo che in Italia non si sia mai mangiato così bene come in questo momento. Penso inoltre che da noi negli ultimi anni siano giunti o si siano stabilizzati nella fase della maturità creativa una serie di grandi cuochi di valore assolutamente mondiale, il cui valore ormai solo in pochi si ostinano a non riconoscere. Penso che con loro e dietro di loro ci siano bravissimi giovani che conoscono e amano il mondo intero senza per questo essere più prigionieri di un provincialismo culturale che vede il bello, il buono, il giusto prevalentemente all’estero. Detto a grandi linee, se andiamo a vedere nella cucina a livello mondiale esistono ormai due scuole di pensiero, non c’è più il pensiero unico come fino a non molto tempo fa. C’è chi sostiene che la cucina francese sia ancora il centro del mondo e chi dice invece che questa cucina sia in crisi e abbia perso questa centralità. Di questa crisi, di questa sensazione di non essere più la cucina che riflette il proprio tempo, gli stessi francesi hanno ormai consapevolezza. In quanto alla “nouvelle cuisine”, un movimento mai accettato in quanto tale da nessuno degli chef coinvolti, ma creato come fenomeno mediatico da due giornalisti, è stato solo un restyling, non ha cambiato il nucleo del discorso, è solo una variante, tra l’altro attivata nel Novecento innanzitutto da Point, che ciclicamente si ripresenta nel tempo, dello schema alla francese. Basta leggere di storia della cucina su questa ciclicità che periodicamente gonfia/sgonfia la complessità di una grande tradizione. E’ stata poi presto ripudiata dagli stessi che l’avrebbero fatta. Uno degli aneddoti più ripetuti e per cui è più noto Bocuse, che di questa cucina nell’immaginario collettivo è l’emblema, è quello in cui lui si rivolge irridente a Loiseau e dice, indicando l’acqua che scorre in un ruscello: “Che peccato, quanta buona salsa sprecata!”. E ancora Bocuse: “La cucina francese? Del burro, del burro e ancora del burro”. Una parola piuttosto per Gagnaire e per la sua cucina d’arte, già consegnata alla storia della cucina, innovativa dal punto di vista tecnico e culturale, poi dovuta scendere a compromessi per ragioni economiche. La vera rottura epocale dello schema francese (basato su un centro proteico animale, salsato, attorno al quale ruota la struttura del pranzo; e finale glucidico) e l’inizio di un futuro diverso della grande cucina si sono invece attuati in modo del tutto inedito con Adrià, che tra l’altro ha poi decisamente influenzato tanto quella francese che ogni altra alta cucina. I medesimi amanti dell’antica maniera hanno visto, subito e nel tempo, con chiarezza, pur senza capirlo, che era lui la novità, se non altro per combatterla, o cercare di lateralizzarla, di sminuirla. Novità che si è diffusa attraverso varie scuole, influenze e movimenti in tutto il mondo, adattata ad esigenze pratiche, a contesti nazionali, ma anche arricchita di via via nuovi spunti. Se un movimento può dirsi figlio di qualcosa che è nato in Francia è piuttosto quello di una sorta di cucina con un più diretto legame “naturale” (Bras, Passard) che vada all’essenza degli alimenti e che estenda al mondo vegetale uno statuto di coprotagonista, movimento che oggi nel mondo è ibridato con lo stile di Adrià. Per concludere, una parola in merito a quello che viene indicato da alcuni, certo non da tutti, come modello d’alta gamma che sarebbe da prendere ad esempio nell’alta ristorazione. Su questo, e non sono certo il solo, penso che oggi non ci sia più senso nel frequentare i musei delle cere del gusto, i relésciatò, consimili e affini, francesi, o pure quelli in copia. Musei delle cere intanto nell’ambientazione, nelle due varianti per così dire ‘rustico raffinato’ e per così dire ‘nobiliare’, prive queste sì di centralità e autenticità estetica, in quanto di natura composita, ridondante e strarifatta, e naturalmente per questo apprezzate da nuovi ricchi e piccola borghesia, i quali nel gusto hanno sempre hanno preferito le copie del passato agli originali della loro epoca. In parallelo a questo stile sta il tanto decantato pomposo servizio francese e, ormai buona ultima, la cucina. Siamo nel periodo tra le due guerre del secolo scorso. Sceso al Savoy Hotel di Londra col fido Pasquale, il principe napoletano Giovanni Serra di Gerace nel vestirsi prima di uscire dice al famiglio: “Pasqua’, va’ un po’ a vedere come sono vestiti oggi gli inglesi”. “Subito eccellenza”. Pasquale scende in strada e torna veloce annunciando: “Eccellenza, qui, oggi, vestiti come gli inglesi, siamo solo voi ed io”. E poi, ..l’esperienza! Ma tu, gran gummé, quanti tre stelle ti sei fatto? Ma bisognerebbe anche stare un po’ attenti ad accampare l’esperienza, perché più il mondo che è continuamente mutevole nel tempo inevitabilmente s’allontana da quello che è stato lo stampo del nostro gusto (che concorre in maniera decisiva a definire quello che ciascuno di noi chiama “centralità gustaviva”) più l’esperienza che s’accumula tende ad irrigidirsi in questo ‘centro’ rischiando d’assumere la forma della paralisi, culturale e gustativa. E allora può diventare via via sempre più difficile capire e sempre più facile indignarsi stupirsi lanciarsi in invettive essere contro, perché in realtà si comincia a non seguire più un mondo che prende direzioni incognite. Ars longa, vita breve. Dove c’è posto per tutte le idee, magari anche queste. E grazie a Passione Gourmet che le ospita.

  • raffo30 Ottobre 2010

    ne sarei solo che onorato...

  • emanuele barbaresi31 Ottobre 2010

    So che non è di moda parlar bene dei ristoranti francesi e se lo faccio è solo perché, capitandomi di andare abbastanza spesso in Francia, mi tocca registrare questo spiacevole fatto, e cioè che all'ora di cena mi trovo quasi sempre meglio lì che in Italia. Naturalmente non mi riferisco ai ristoranti top, ai bistellati e tristellati, che fanno storia a sé, da una parte e dall'altra della frontiera, ma alla grande massa dei locali medio, medio-alti, quelli che per intenderci si potrebbe inserire nella fascia 13-15/20. Certo, può darsi che la mia percezione possa essere influenzata dal fatto che per gran parte dell'anno vivo in quel deserto gastronomico che è Milano (non mi sembra, però, che la tua Genova sia messa meglio). Comunque così, mio malgrado, è. Sul fatto che in Italia non si sia mai mangiato bene come oggi: sono d'accordo. Ai vertici della nostra cucina ci sono ristoranti e chef molto migliori di quelli di anche appena una decina di anni fa. Sulla nouvelle cuisine, infine, non intendo dilungarmi, anche perché è quasi sempre fonte di equivoci, specie in Italia. Il fatto che si tenta a considerare Bocuse - e non, come sarebbe più sensato, Guérard - il suo esponente guida, la dice lunga sulla disinformazione totale che c'è sull'argomento. Naturalmente io non mi riferivo alla nouvelle cuisine come fenomeno mediatico (sul quale lo stesso Bocuse aveva messo le mani, salvo poi cambiare idea), ma all'influenza reale che i suoi principi base - li ripeto: attenzione al mercato e alle stagioni, alleggerimento dei piatti, riduzione delle cotture, spinta all’innovazione, cura nella presentazione - hanno avuto e hanno tuttora sulla cucina del mondo occidentale. Gli stessi Adrià e Gagnaire non esisterebbero per come li conosciamo, se a suo tempo non avessero condiviso questi principi.

  • enrico malgi31 Ottobre 2010

    Ciao Alberto, sono passato un attimo di qua. Vedo che sei in ottima compagnia. C'è persino il GdF. Complimenti per il post e per le sensazioni trasmesse. Vorrei sapere gentilmente due cose ,perché sono stato poco attento: cosa c'entra Lille con il Belgio e quali vini consigli, a parte quelle due bottiglie. Grazie. Vediamoci a Gallarate, a Milano o a Busto Arsizio se vuoi a cavallo di novembre e dicembre prossimi, tanto i miei recapiti te li ho dati, va bene? Abbracci.

  • gianni revello1 Novembre 2010

    Mi sento cittadino del mondo, o italiano, o del nord-ovest, sono nato a ponente, che dire altro? qui nel capoluogo mi resterebbe soltanto la resa :) Una delle mie ultime, e tra le più strane che mi siano mai capitate, in un locale nella provincia recensito da più guide: entro, mi siedo, quasi immediatamente arriva una signora con una magnum per “offrirmi” l’aperitivo (un niente di che), non solo declino, ma qualcosa mi fa alzare le antenne, non ordino la cena, bocce ferme, chiedo prima la carta dei vini, me la portano, bene, come la ricordavo, passabile, da cavarci anche qualcosa di buono, ordino una bottiglia, la signora torna quasi subito, mi dice che quella bottiglia non c’è, chiedo allora se per caso non ne manchino anche altre, mi risponde che di tutte quelle della carta non ce n’è ..nessuna! Non avrebbe dovuto neanche portarmela, s’è sbagliata, dice. Manifesto stupore. Cosa c’è, chiedo, posso vedere coi miei occhi? No, non si può. Ma cosa c’è allora? Mi mostra la magnum dell’aperitivo in fresco, c’è quella, ma, prima intanto ha chiesto “di là”, e, se voglio, ci sarebbe anche un Krug! Caspita!! Ma voi vi sareste fidati? Avreste escluso la possibilità che quel Krug non fosse ormai diventato un Gurk, o un Gruk, o chissa cosa? Declino di nuovo. La signora si gioca l’ultima chance e mi butta lì: ma se “di là” ci fosse ancora qualche altra possibilità, sul ”mosso” o sul “fermo”? E’ troppo, mi alzo, gentilmente saluto e me ne vado (a dire il vero, non bastasse, ci si era messo anche l’odore di un qualche kurtt-bouillon di pesce proveniente dalla cucina). La signora non ne è stupita. Il tutto è avvenuto come le cose fossero sotto l’influsso di una qualche fatalità incombente. Non dico il nome del locale perché non vorrei che davvero ci fossero dei problemi seri, salute o altro, dietro ad un simile tanto bizzarro comportamento. Su Milano invece non molti giorni fa Trussardi alla Scala. Le due volte precedenti 15.5/20 e 16/20. Stavolta 17/20 bello pieno. Significativo per numero e tipologia di piatti, alla carta, con alcune mezze porzioni. Tecnica e stile, buona originalità e finezza, in accordo come mai prima. In questo caso rispetto alle prove precedenti nei miei piatti superate la maggior parte delle cose in passato problematiche, scatto di qualità nella cucina di Berton. Ti mando poi foto e dettagli. Già, in questo nostro campo (e in altri) in Francia lo Stato c’è, da noi gioca il fai da te. Là l’istruzione per la cucina è altra cosa. Ma da noi cominciano ad esserci realtà come l’Alma e Pollenzo, e ci sono ormai schiere di giovani che nelle cucine degli chef più bravi si stanno facendo una grande esperienza, che va diffondendosi poi a cascata. Giusto, gli stessi Gagnaire e Adrià non esisterebbero per come li conosciamo senza i precedenti della “nouvelle cuisine”. Ma questa formula inizio anni ’70 del secolo scorso mette insieme un gruppo molto composito di chef. E’ teorizzata da due giornalisti, Gault e Millau, loro sono i famosi 10 punti. Invece sono di Adrià, autore di una svolta ben più radicale, i 23 punti relativi alla sua filosofia. E non a caso è Bocuse ad essere emblema nell’immaginario collettivo, segno di un taglio conservatore perdurante. Guérard sono d’accordo, molto più significativo, ricordo di aver letto non meno di venti anni fa una bella recensione di Raspelli e di aver visto l’eleganza dei suoi piatti in più di una pubblicazione, ma se vai a vedere adesso il suo menu noterai che l’impianto è sempre molto classico. E l’ambiente, per me terribile. Le terme, per di più. Per tutti comunque niente a che fare con le novità di Gagnaire e ancora di più di Adrià. La così definita “nouvelle cuisine” è nei secoli un termine storicamente ricorrente in Francia nel pendolo tra complessità e semplificazione di una cucina dai caratteri forti. Nel Novecento a iniziare il discorso è Point, da lui tutto fresco ex novo ogni giorno. E poi altri, oltre a Bocuse (solo per un po’) anche Outhier e Senderens (i quali tra l’altro per primi introducono l’ “esotico” da oriente nell’alta cucina occidentale). Da Senderens non dimentichiamo poi la grande discendenza: Passard (a parte la tua deludente esperienza, di lui ho sentito dire di recenti ancora eccellenti pranzi) – Barbot. Infine i Troigros (da cui si è formato Marchesi, altro grande, e grande la sua scuola), una vera spina dorsale. Mi diceva Lopriore di aver avuto la fortuna di vivere tutto il passaggio da Pierre a Michel.

  • emanuele barbaresi1 Novembre 2010

    La rivoluzione operata nella seconda metà degli anni 70 dalla nouvelle cuisine è molto sottovalutata, come dimostrano anche le tue parole. Di solito si percepisce quel movimento solo come un fenomeno mediatico (e infatti gli si pone al vertice Bocuse, che paradossalmente, al di là delle sue dichiarazioni di comodo dell'epoca, poi rinnegate, ha sempre proposto una cucina... anti nouvelle-cuisine, se si esclude in parte la sua aderenza alla cucina di stagione, quello sì concetto già introdotto un quarto di secolo prima dal suo maestro Point), addirittura con connotati in prevalenza negativi. Ma la realtà, difficilmente contestabile, è che la frattura operata dalla nouvelle cuisine è stata la più importante dai tempi di Escoffier o forse, addirittura, degli ultimi 240 anni, da quando cioè esistono i ristoranti. Persino visivamente è facile distinguere un piatto pre-nouvelle cuisine da un piatto post-nouvelle cuisine. Per non parlare del fatto che l'alta cucina, per lo meno al livello di ristorazione pubblica (e non di chef al servizio di grandi casate o dell'alta borghesia), oltre al cambio di passo fatto in Francia, si è sviluppata ed è esplosa in Italia (con caposcuola Marchesi), in Spagna (con caposcuola Arzak) e in Germania (con caposcuola Witzigmann) precisamente negli anni 70, trascinata da chef che hanno fatto propri, appunto, i principi-guida della nouvelle cuisine. Tutto quello che è nato dopo, Adrià incluso, rappresenta un'evoluzione di quei principi, ma non certo un'ulteriore frattura. Mi fermo qui, perché mi sembra siamo andati decisamente OT, rispetto all'argomento del post...

  • Giovanni Lagnese1 Novembre 2010

    No, quella di Adrià è un'ulteriore frattura. Più radicale delle precedenti. Adrià rompe col dogma che la cucina debba ricercare sempre la piacevolezza. È una frattura epocale, di cui si coglierà l'importanza in futuro. Giovanni Lagnese

  • gianni revello2 Novembre 2010

    Non mi pare che stiamo parlando di qualcosa che non dovrebbe interessare, e a volte il discorso è andato molto più OT. Sulla prospettiva storica non siamo d’accordo. Comunque come te lo stesso concludo qui. Non sono certo io quello che identifica Bocuse con la "nouvelle cuisine". Io non lo penso affatto. E’ però assai significativo che sia Bocuse, e questo indiscutibilmente, lo chef simbolo della cucina francese del Novecento. Questo sì che vuol dire, eccome! La rivoluzione di Adrià non è ancora in prospettiva storica, ma è imparagonabilmente più importante dell’opera dell’eterogeneo gruppo di grandi cuochi francesi che pure hanno avuto molti meriti nell’opera di adattamento della cucina ai modi di vivere e di pensare del Novecento. E che, certo, hanno fatto anche da apristrada a Gagnaire e Adrià. Ma la loro cucina, nouvelle quando più quando meno, come ho detto più volte è rimasta tradizionale nell’impianto. Se si legge di storia della cucina si vede che dall’Illuminismo in poi era già stata percorsa in passato altre volte nella cucina francese questa via dell’ ‘alleggerimento’ e dell’ ‘adattamento’ a tempi nuovi. La “nouvelle cuisine” tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso pur nella sua indubbia azione di modernizzazione risulta tuttavia essere alla fine una sorta di canto del cigno della cucina francese. Dopo di che la stessa è andata via via perdendo, con un processo ancora in atto, la centralità, lo statuto di sicuro se non unico riferimento nell’alta cucina in tutto il mondo. La rivoluzione di Adrià riguarda, in modo assai più radicale, diversi aspetti: quello della composizione gustativa, quello delle tecniche, e infine quello della concezione strutturale dell’insieme del pranzo. E’ già evidente, ma ancor più lo sarà preso un arco di tempo adeguato. Nella storia della cucina di sicuro non si parlerà di un prima e di un dopo nouvelle cuisine, che resterà come importante fenomeno di transizione, ma certamente in modo ben più significativo si parlerà di un prima e di un dopo Adrià. P.S.: ieri pranzo di grande qualità e interesse a Villa Crespi con il carta bianca “Fuori Pista” di Cannavacciuolo. 17.5 / 20

  • alberto cauzzi2 Novembre 2010

    Ciao Enrico! Che piacere averti qui da noi ... Heuvelland è al confine tra Belgio e Francia. Lille è molto vicina, e forse influenza non poco lo chef, che con la sua filosofia a km 0 mica si formalizza se passa una frontiera per rispettarla :-) A breve ti mando un sms, così avrai anche i miei recapiti. Teniamoci in contatto, ciao

  • emanuele barbaresi4 Novembre 2010

    Non vorrei essere noioso, ma a mio parere le due rivoluzioni non sono paragonabili. Non nel senso che una è più importante e l'altra meno, ma in quello che si tratta di due cose strutturalmente diverse. La prima ha cambiato per sempre - o almeno per ora - la cucina del mondo occidentale. La seconda non può farlo per definizione, per il semplice motivo che non si propone neanche di farlo, anche perché non è riproducibile. Quello di Adrià è un irripetibile one man show di un talento assoluto, anzi "il" talento assoluto, non certo l'espressione di una "filosofia gastronomica" che possa diffondersi su larga scala. PS. Mi fa piacere per Villa Crespi. Per me lì l'unico 18 italiano di quest'anno, superiore, per quanto riguarda le mie cene 2010, anche a Bottura, Scabin, Alajmo e Crippa. Il che non significa, ovviamente, che Cannavacciuolo sia uno chef migliore di Bottura, Scabin, Alajmo e Crippa (ma di un paio di loro, adesso, forse sì)

  • gianni revello4 Novembre 2010

    Mi spiace se qualcuno ci può trovare noiosi, stiamo solo esponendo alcune nostre opinioni. . Se parliamo di Cannavacciuolo parliamo di alta cucina e di uno dei migliori chef italiani, non c’è dubbio, ma per me finora tra singoli pranzi e cene del 2010, in generale in Italia e in Europa, Villa Crespi è al 15° posto. E in Italia migliori di lui, quando più quando meno, a mio parere sono stati, anche in più prove: Bottura, Lopriore, Crippa, Alajmo, Scabin, Romito. In Europa: Gagnaire, Pacaud, Klein. E se teniamo conto di altri ristoranti, per dire, francesi, spagnoli e nord europa, negli ultimi tre anni ci sono stati per me almeno altri otto chef che mi sono piaciuti di più. E altri ancora, Italia e Europa, più o meno allo stesso modo. . Migliore o peggiore è soggettivo e frutto dell’idea di cucina di cui è portatore tanto ciascuno di noi quanto un proprio gruppo ideale di riferimento. E tutto dipende intanto dall’ottica temporale in cui ci si pone. Questo vale per qualsiasi cosa. Per molti ad esempio Picasso è un artista ancora quasi o del tutto incomprensibile, lo stesso vale, che so, per la struttura dell’atomo, o cento altre cose che risalgono a cent’anni fa, cioè a circa quattro generazioni fa. E lo stesso per elementi ancora più antichi o più moderni. In realtà ciascuno di noi, come pure ogni gruppo sociale, vive di volta in volta su uno spaccato di diversi tempi stratificati che coinvolgono usi, gusti, conoscenze, modi di pensare, credenze di svariate generazioni passate, che si perpetuano e permangono, con nuove strutture che vengono via via a sommarsi alle vecchie e che vanno in qualche modo poi a sostituirle. Naturalmente per vivere non è affatto necessario conoscere Picasso o la struttura dell’atomo, come lo stesso per nutrirsi, anche adeguatamente o bene, non è necessario conoscere l’opera dei grandi cuochi, né nel gusto, né nella tecnica, né nel pensiero. Se per progredire, o semplicemente per adattarsi ai mutamenti, occorre la volontà di approfondire e di cambiare, non si può né è necessario farlo sempre e con tutto. Logico dunque che per molti, e quanti ne conosco, la “nouvelle cuisine” (qualsiasi cosa essa sia, e non è affatto un fenomeno univoco se non per linee piuttosto generali), benché risalga a trenta, quaranta anni fa e benché a molti livelli abbia in qualche modo segnato la ristorazione in tutto il mondo, debba, in quanto elitaria e sconveniente, ancora essere rifuggita come il demonio (unochesamhadettomangipocospenditanto), o per altri un poco più evoluti, come pure per alcuni ex nouvelle cuisine, sia da considerarsi un accidente in fondo poco più che decorativo. Si potrebbe dire che per molti (già ben avanti nella schiera dei più fortunati, s’intende) la “centralità del gusto” sta in primis ad esempio in un piatto di pasta condito ad arte, o in bel brasato al vino rosso, o in un’ottima lepre à la royale, o in una fragrante torta di mele ecc. (che se buoni, buoni, e ce ne fossero, chiaro). C’è chi comunque con soddisfazione si ferma lì e dintorni, in sostanza ad una cucina che ha le proprie radici come minimo nell’Ottocento, e chi pure considera il resto poco più che orpello, se non addirittura abominio. Tanti. C’è invece chi attiva uno switch, e apre a questa cosa di 30-40 anni fa (siamo ormai sull’ordine delle due generazioni), la cosiddetta “nouvelle cuisine” e dintorni, magari più o meno emendata, più o meno orientata ad una propria “centralità gustativa” (la quale, anche per chi non sa d’averla, e come, implica sempre una ben determinata ‘filosofia’). Con questo sostituisce vecchie o aggiunge nuove modalità al proprio gusto. Ne modifica, attualizza il quadro. E, visto che nessuno è obbligato a farlo, non ho mai capito chi critica e condanna chi questo aggiornamento persegue. Il problema è che chi critica coloro che aggiungono nuove modalità al gusto in realtà s’accorge che neanche lui potrà poi in qualche misura farne a meno. Infatti ad esempio molte delle idee della nouvelle cuisine sono diventate o via via diventeranno sempre più ‘tradizione’. La schiera a questo punto s’assottiglia, ma c’è chi vuole proseguire, e aziona un ulteriore switch e si porta anche su gusti, idee che risalgono a dieci-venti anni fa, diciamo ad Adrià (e Gagnaire che è/era ancora un’altra differente cosa). Un Adrià che per primo, come ho detto più volte, cambia, come mai accaduto, tutta una serie di elementi tecnici, gustativi, strutturali, su una scala temporale che in futuro si estenderà ben oltre quella della nouvelle cuisine. Tanto che c’è chi arriva a dire che Adrià sì, bene, ma “mangiare” (virgolette, che implicano una ‘filosofia’) è un’altra cosa, certo un’affermazione mai fatta, anzi impensabile, relativamente alla nouvelle cuisine. Naturalmente come si sa le critiche indirizzate ad Adrià sono ben altre, volte a demonizzare (..deiezione spagnola, no buona) o delimitare (grande, potrebbe essere così bravo, cioè fare tutte cose che mi piacciono o che capisco, ma perché invece fa anche cose che non mi piacciono o non capisco?) o marginalizzare (è un unicum, finisce lì). Veniamo a quest’ultima. Nessuno si sogna di essere o di replicare Adrià. Non è questo il punto. Fuorviante, insensato, metterla in questo modo. Il punto invece, che tutti hanno molto chiaro, è che Adrià ha avuto un numero incredibile di persone di talento che sono passate alla sua scuola, nella sua cucina, che ne sono state profondamente ed in vario modo influenzate, che sono diventate a loro volta grandi chef e che stanno facendo la storia della cucina contemporanea (siamo finalmente arrivati ai giorni nostri). Si provi un po’ a negarlo questo. Non solo, sue influenze per osmosi di idee si sono estese in tutto il mondo, arrivando anche a chi mai è stato a El Bulli, è evidente. Non solo, siamo ormai alle terza generazione di cuochi che da lui hanno ricevuto un’impronta. Grandi chef che sono stati influenzati in maniera decisiva da Adrià hanno avuto a loro volta nelle proprie cucine altri giovani (da Aduriz ad esempio ne sono passati molte centinaia). Senza contare l’allargamento agli svariati ambiti di ricerca e culturali a cui ha dato il via l’opera di Adrià. Un’incredibile università del gusto, mai vista prima. Altro che caso irripetibile. E questo è solo l’inizio. Vedo ad esempio in un prossimo futuro per Adrià plausibile un allargamento ed uno scambio più diretto con l’Oriente. . Ma se devo dire qual è la frontiera attuale della grande cucina vedo quella che è stata definita linea ‘tecno-emozionale’ passare alla vulgata, detto con opportuno ossimoro, ‘tecno-naturale’ (Aduriz, Redzepi, Flemish Primitives, altri in Francia, e così via), come se una linea Bras-Passard e una linea Gagnaire-Adrià si fossero fuse. . Ma ad esempio, tra gli altri grandi, due tra i più nitidi esponenti della cucina italiana contemporanea, di valore mondiale, quali sono per me attualmente Bottura e Lopriore, si trovano su una linea di grande indipendenza. . In conclusione, cos’è importante? Non assumere un pensiero unico. Essere liberi dunque di poter mangiare, o “mangiare” come più piace e lasciare che gli altri facciano altrettanto. Ovvio che Piano non vive sempre in edifici di Piano, né che Einstein pensasse costantemente alla velocità della luce, così né Adrià né chiunque altro apprezzi le meraviglie del mondo del cibo può pensare di mangiare sempre ‘Adrià’ o ‘nouvelle cuisine’ o la cucina contemporanea o la cucina della propria formazione gustativa o la cucina degli antenati. Ma tutte queste modalità, per chi ha l’immensa fortuna di averle a disposizione, possono di volta in volta, per chi le ama, per chi le capisce, essere attivate per renderci col cibo felici.

  • emanuele barbaresi5 Novembre 2010

    Continuiamo a parlare di due cose diverse, ecco perché non ci capiamo. Tu parli dell’influenza, certo decisiva e innegabile, che Adrià sta avendo sull’alta cucina di oggi. Io parlo dell’importanza decisiva - direi quasi più culturale e antropologica che gastronomica - che il movimento della nouvelle cuisine ha avuto da una parte sulla creazione stessa dell’alta cucina, nella forma in cui la conosciamo oggi, dall’altra addirittura su pressoché tutta la cucina del mondo occidentale. Nel senso che persino l’approccio alla cucina di ristoranti non particolarmente significativi (intendo decine di migliaia di locali, per intenderci sull’ordine di grandezza), ma quantomeno non alieni dal desiderio di proporre cucina di qualità, è oggi diverso da quello che sarebbe se la nouvelle cuisine non fosse mai esistita. Quanto a Cannavacciuolo, se il pur bravo chef campano è quello che quest’anno – in Italia, intendiamoci – mi ha convinto di più, vuol dire per forza di cose, dato che certo non si tratta di un genio assoluto, che quelli a deludermi sono stati molti... L’elenco è così lungo che non vale la pena di farlo.

  • Giovanni Lagnese5 Novembre 2010

    Non sei stato al Don Alfonso, però... Giovanni

  • De Jonkman, Bruges, Chef Filip Claeys, di Norbert | Passione Gourmet3 Maggio 2011

    [...] [...]

  • raffo5 Maggio 2011

    questa mi era sfuggita! Caro Gianni,io veramente ho affermato il contrario di ciò che tu mi contresti. Innanzitutto ho subito citato la "celeberrima scontante sapida" che un po tutti coloro che hanno visitato Uliassi con una certa costanza hanno riscontrato. Inoltre per il sottoscritto il buon Mauro è tutto tranne che un genio assoluto,anzi trovo la sua cucina al limite del rassicurante. Non ci siamo proprio capiti,quindi. Sul fatto delle guide ti ha risposto bene Alberto,nei ristoranti ci si va. E detto da chi stila-a mio parere- forse l'unica guida veramente affidabile,alla quale ho l'onore di apportare il mio modesto contributo,credo ci sia da crederci.

  • Carlo23 Agosto 2011

    Visitato venerdì scorso: "il pregio: Un luogo per l’anima. il difetto: Un luogo non per tutti." sottoscrivo in toto. Grazie ad Alberto Cauzzi per la mignifica segnalazione.

  • Carlo23 Agosto 2011

    magnifica, ovviamente. :-)

  • Carlo (TBFKAA)23 Agosto 2011

    d'ora in poi per evitare accuse d'obliquità mi firmerò così :-)

  • Norbert23 Agosto 2011

    Un dubbio mi attanaglia rendendomi inquieto. Tbfkaa è un acronimo o è un semplice termine ad minkiam?

  • Orson23 Agosto 2011

    Immagino sia The Blogger Formerly Known As Azazel. ho vinto quagghecosa? Niente? Niente

  • Carlo (TBFKAA)23 Agosto 2011

    troverai la risposta dentro di te, o dalle parti di Minneapolis...

  • Carlo (TBFKAA)23 Agosto 2011

    un gol a porta vuota. I know my chickens..

  • Norbert23 Agosto 2011

    Ottimo Orson.

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