Passione Gourmet Ristorante Jean Georges – Chef Jean Georges Vongerichten, New York City di Fabio Fiorillo - Passione Gourmet

Ristorante Jean Georges – Chef Jean Georges Vongerichten, New York City di Fabio Fiorillo

Ristorante
Recensito da Presidente

Valutazione

14/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

Difetti

Visitato il 04-2024

Recensione Ristorante
Chi non ha mai sognato, o quantomeno auspicato, di godere delle creazioni dei cucinieri prediletti senza far soffrire il portafogli? Magari spendendo, a pranzo, un terzo del corrispettivo serale? Certo, sarebbe bello, in Italia. Eppure i grandi nomi si ostinano a mantenere i prezzi invariati, con l’ovvia conseguenza che a mezzodì sono più vuoti di Milano il 15 agosto.
Un sogno che negli Stati Uniti da tempo è realtà.
Immaginate di essere a New York, Central Park, di aver fatto una rilassante passeggiata mattutina tra laghetti e scoiattoli e di avere un impellente languore. Andare al Mac all’angolo? Meglio digiunare. Avete voglia di qualità, certo, chi non ce l’ha, ma un po’ di sana economia non guasta.
Varcate, allora, senza indugio la porta a vetri del Trump International Hotel a Columbus Circle, all’angolo inferiore sinistro del parco. Lì al piano terra c’è Jean Georges. Jean Georges? Il ristorante preferito di Annie Feolde e Giorgio Pinchiorri nella Grande Mela? Uno dei cinque 3 stelle Michelin di New York? Meno male che si doveva fare economia. Ma si, entrate. Attraversate prima un ambiente informale, bancone bar, tavoli e popolo del lunch break rumoroso, poi una gentile commis vi aprirà il varco di accesso al ristorante principale. Toni sul grigio ed ampie vetrate che danno su mini giardino alberato.

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Una piccola oasi nel bel mezzo di una megalopoli. Menu ampio, c’è la possibilità di scelta di due piatti qualsiasi alla carta per 29 dollari. Ventinove dollari. Avete letto bene. Ed ancora più incredibile è il fatto che ogni piatto aggiuntivo (ne potrete scegliere a decine, come noi) costa soltanto 14,50 dollari in più. Non sembra vero. Ci si può sedere, rilassarsi un paio di ore e mangiare in uno dei ristoranti più acclamati d’America per l’equivalente di una pizza e una birra sui Navigli.
Ovviamente i 29 dollari alla fine saranno molti di più perchè è facile farsi prendere la mano, ma che prezzi signori.
Ciò che strabilia è che a pranzo c’è praticamente lo stesso menu della sera, non portate semplificate o insalate veloci e variopinte. La differenza? Costa un terzo. Ventinove contro novantotto per il prix fixe.
Il servizio è giovane e informale ma professionale, anche se un paio di ragazzi appaiono un po’ spaesati. La carta dei vini è mastodontica sia nel volume che nei ricarichi. Vien voglia di bere acqua.
Jean Georges Vongerichten è acclamato, quasi idolatrato negli Stati Uniti. Decine di locali direttamente o indirettamente sono a lui riconducibili. Comprendiamo, quindi, che, diventato a tempo pieno imprenditore, non si affanni più in cucina, anche in quella della sua creatura, la primogenita, che porta il suo nome. In tal caso, però, sarebbe opportuno che vegliasse sulle sue brigate, che impartisse dei dettami precisi.
Nel corso della nostra visita, infatti, abbiamo notato, in alcuni casi, approssimazione, sia nella concezione che nell’esecuzione dei piatti, troppo spesso squilibrati.
Tendenze velatamente orientali, con uso, a volte poco moderato, di peperoncino e spezie rendono a volte difficile terminare le portate.
Certo, alcuni sprazzi di “classe” ci sono ( e ci mancherebbe..siamo pur sempre al cospetto di un mostro sacro), ma non sufficienti a rendere la nostra esperienza rimarchevole, anzi.
Inizio rinfrescante con succo di lampone e creme fraiche e morbidi blini con ciliegie caramellate.

Buonissimo il crudo di Madai con emulsione piccante di fragole e limone alla verbena. Equilibrato, preciso, delicato. Perfetto per un pranzo estivo. Il gusto leggermente piccante, questa volta (e solo questa) conferisce una marcia in più alla preparazione.

Con il tonno pinna gialla, sempre crudo, avocado, ravanelli piccanti e marinata allo zenzero iniziamo a storcere il naso. La materia prima indubbiamente è di elevata qualità, ma rapidamente il palato viene annichilito dal succo in cui è immerso il tutto, eccessivamente sapido e piccante. Tonno, purtroppo, mortificato.

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Non va meglio con il sashimi di trota e le sue uova, aneto, limone e rafano. Qui è l’acidità estrema unita al piccante ad infastidire. Un cazzotto in pieno volto. Siamo quasi al tappeto.

Si risale un pochino con la polpa di granchio dal carapace morbido con lattuga e “maionese” allo yuzu. Oramai è chiaro, in cucina non c’è la ricerca dell’equilibrio, ma solo dei contrasti, delle esplosioni irriverenti di sapori, tutte le sensazioni sono portate agli estremi.

Buono, invece, e più accomodante, l’halibut arrostito, brodo di spezie aromatiche e verdure di stagione. Sul fondo una crema agrodolce a dare rotondità.

Discrete anche le capesante alla plancia con cavolfiori caramellati ed emulsione di capperi. Ritorna vigorosa la sapidità, ma oramai siamo pronti a tutto.

Parlavamo di sapidità? Gli gnocchi di caprino della fattoria Coach con carciofi fritti, limone e olio di oliva possono esserne l’emblema. Se ne mangi due esclami “che buoni!”, al quinto chiedi al commis di sala di portare un’altra bottiglia d’acqua. Interessante comunque il ruolo del limone, che contrasta ma rinfresca.

Semplice e di buona qualità il salmone, ma della vinaigrette (più una salsa in realtà) al bacon ne avremmo fatto volentieri a meno. Eccessiva per gusto e quantità, sovrasta la materia ittica.

Tenera la coscia di pollo in crosta di parmigiano, con carciofi, basilico e burro al limone. Nulla da dire stavolta.

Finalmente un gran piatto: il dentice in crosta di noci e semi su succo agrodolce è buonissimo. Cotto alla perfezione e fantastico in abbinamento al fondo sweet and sour con scalogni pomodorini e fave. Si inizia a rivedere la luce.

Buono anche il filettone di manzo con zucchine gialle arrostite e salsa al parmigiano. Ottima la carne, è vero, ma non siamo in una steakhouse.

E giù di nuovo con le anonime e poco “crispy” animelle impanate e fritte con insalata di patate alsaziane, radicchio e tanto, tanto pepe.

Siamo confusi, è come essere stati sulle montagne russe senza essersi mai alzati dalla sedia. Un sali scendi tra acidità e sapidità come raramente ci era accaduto altrove.
Confidiamo nei dolci, il sale, il pepe ed il peperoncino speriamo di averli salutati. Per oggi ne abbiamo avuto a sufficienza.
Le proposte sono quattro e non lasciamo nulla di intentato.
“The garden” con cremoso al cioccolato, mirtilli, nocciole, macaron alle mandorle amare, gelato ai piselli e mandorle verdi è interessante. Contrasti di consistenze e di gusto si fondono armoniosamente. Indovinato il curioso ice cream.

“Strawberry”, ovvero fragole su fragrante tart ripiena di crema ai pistacchi, dragoncello, gelato alle fragole e vino rosso, cocco croccante. Più semplice ed immediato, ma di buona fattura.

“Chocolate”, tortino al cioccolato fondente, gelato alla vanglia, ganache al miele caramellato, semi di amaranto e streusel (dolce di origini teutoniche). Un classico ben eseguito.

“Cherry”, tart calda alle ciliegie (buonissima), nocciole, crema di mandorle, pecan affumicata, crema chantilly al caffè e cicoria, brioche tostata. Senza dubbio il migliore per concezione ed esecuzione.

Chiusura con piccola pasticceria degna di questo nome, marshmallows e cioccolatini ottimi.

Diciamo la verità, assegnare un voto ad una esperienza come quella descritta è quantomai arduo.
Troppe le differenze tra una portata e l’altra, tanti i piatti mal concepiti, pochi quelli davvero buoni.
Un’altalena che, selezionando i classici tre piatti alla carta più dessert, può essere felice per coloro che “indovinano” le giuste portate e particolarmente infelice per chi non ha la medesima fortuna. Noi che, invece, abbiamo degustato diciotto piatti random dalla carta, siamo incorsi in gioie (poche) e dolori (tanti).
Vongerichten è un cuoco che non ama le mezze misure, in particolar modo nelle portate salate. Gioca, forse troppo, sugli eccessi, sullo sconvolgere le papille gustative, spesso in modo non propriamente piacevole.
Molti lo amano forse proprio per questo. Al cuor non si comanda, tantomeno al nostro.

il pregio: L’incredibile costo del lunch menu.

il difetto: L’uso smodato di spezie e piccante.

Jean Georges at International Trump Tower
1 Central Park West, New York, NY 10023
at 60th St.
(01) 212-299-3900
Costo: 29 dollari per due portate a pranzo (14,50 dollari per ogni portata aggiuntiva), 98 dollari per due portate più dessert la sera, 148 e 168 dollari i tasting menu (solo la sera)

www.jean-georges.com
info@jean-georges.com

Visitato nel mese di Agosto 2010

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Fabio Fiorillo

10 Commenti.

  • stefano bonilli18 Ottobre 2010

    Strano, io che ci sono stato tre giorni fa devo avere frequentato una nuova gestione tanto il mio pranzo è stato perfetto e di basso prezzo, ma io non ho ordinato 18 piatti ma tre, come qualunque cliente che si siede all'ora di pranzo :-))

  • The Dark Knife18 Ottobre 2010

    Anche io ordinai 3 piatti qualche anno fa. Ma il voto non andava oltre il 15. A New York, escluso Daniel e Masa, i tristellati sono realmente sopravvalutati. Ci sono parecchi monostellati (restando in tema di Michelin) che valgono di più di Jean Georges o di Per Se. Ma sui gusti, ovviamente, non si può discutere.

  • Presidente18 Ottobre 2010

    I 18 piatti il nostro Fiorillo non li ha mica mangiati da solo :-) Era grazie a dio in compagnia di amici

  • fabio fiorillo18 Ottobre 2010

    appunto Bonilli :) nella scheda l'ho specificato, se si mangiano tre piatti e sono quelli giusti si può rischiare di fare il pranzo qualità-prezzo dell'anno..ma su 18 portate non si può avere 'fortuna'.

  • fabio fiorillo18 Ottobre 2010

    si, vero, ma i piatti li ho assaggiati tutti :D

  • Nicola Cavallaro18 Ottobre 2010

    Come fa uno che conosco :)

  • stefano bonilli19 Ottobre 2010

    Anche io ero in compagnia e ognuno di coloro che hanno preso i tre piatti è stato contento del cibo e del prezzo ed essendo in 4 persone abbiamo mangiato 12 piatti tutti buoni quindi come si vede già siamo a un confronto impari perché se 12 piatti nostri il 13 ottobre a pranzo erano tutti buoni forse il tuo giudizio di agosto riguardante 18 piatti era squilibrato verso la negatività. Comunque ognuno ha i suoi gusti e la pensa come vuole, osservo solo che a New York credo sia il migliore qualità prezzo, non per il vino, però.

  • The Dark Knife19 Ottobre 2010

    Secondo me già Bouley (36 $ per 5 piatti) a pranzo è migliore dei 29 $ di Jean Georges.

  • fabio fiorillo19 Ottobre 2010

    certo Bonilli, ma se qualcuno di voi ha mangiato i piatti da me descritti sarei curioso di verificare nello specifico le differenti impressioni. Come detto non mi è piaciuto l'eccesso dello speziato/piccante nei condimenti. Tutto virato verso un disequilibrio difficile da decifrare.

  • andrè19 Ottobre 2010

    il menù lunch lo trovo bassissimo agli stessi livelli di Oldani come fascia prezzo... Complimenti

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