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Le Calandre

Il favoloso mondo di Massimiliano Alajmo 

Entri in sala e c’è “profumo di memoria”. È un profumo di quelli che a poco a poco non senti più ma che appunto si fissa nella memoria, e che difatti si ritrova in ciascuno dei poli della costellazione Alajmo dove rappresenta non solo la declinazione olfattiva di quella che, in marketing, chiamano “immagine coordinata” ma anche l’inoculazione di un ricordo e non è un caso che, tutto, rimandi qui all’infanzia. 

Accomodandoci carpiamo i frammenti di una conversazione: seduta al tavolo accanto al nostro c’è una coppia che a Le Calandre ci viene tutte le settimane… Il locale, già gremito, è saturo di un’energia tangibile, collettiva, contagiosa.

Su ciascun tavolo, poi, c’è un gomitolo di lana: il nostro, di colore azzurro, viene prelevato dal maître Andrea Coppetta Calzavara e, dopo l’ordine, attaccato al muro. È il gioco il filo conduttore di questa storia nonché dell’identità più intima di Massimiliano Alajmo che, non a caso, permette a tutti di pizzicare tra i piatti dei tre menu generando quello che, a guardarci bene, è uno degli aspetti più divertenti, più intelligenti e finanche più misteriosi de Le Calandre: perché è un mistero come siffatta complessità (41 piatti, in tutto) venga amministrata tanto semplicemente e tanto più che non ci sono chef’s table, qui: il biglietto è uguale per tutti, ci sono tre menu che, come tre storie, possono intrecciarsi in qualunque momento facendo di ogni tavolo un potenziale chef’s table.

Un posto dove tornare bambini

E così, seduti al nostro, ci ritroviamo bambini al mare. Mar Mediterraneo e Cappuccino murrina sono due piatti coloratissimi: iridato e naïf il primo, quasi un test di Rorschach il secondo, a tratteggiare due tipi di mare completamente differenti, un fondale di coralli, colori, profumi e dolcezze, quasi una tropicalizzazione del Mar Mediterraneo il primo, lagunare, anche nel rimando alla murrina, il secondo, golosissimo nella componente amidacea della patata che tutto avviluppa, anche gli spigoli della spirulina e quelli, più dolci, del nero di seppia. 

Quindi, altri due giochi: la reminiscenza, nei giorni di festa, del brodo donde da bambino andavi a pescare, oltre al raviolo, la crosta del Parmigiano ormai gommosa con le dita delle mani e il deliquio del cannellone, invece, da inzuppare, sempre con le mani, in una salsa di pomodoro che è quasi un sugo, tanto è denso e coeso.

Le mani sono, a Le Calandre, un elemento ricorrente: sia la cucina che la sala di questo 3 stelle Michelin esortano all’uso delle mani sia nella fruizione che nella realizzazione del piatto. E ciò è lapalissiano nel risotto che,  difatti, arriva a tavola coi nostri nomi scritti sul piatto: è un risotto goloso ma anche delicatissimo, mantecato all’olio d’oliva e rinfrescato dal rush balsamico di un gelato di carciofo realizzato ad acqua, senza latte. 

Giochi d’acqua e reminiscenze

Ecco dunque l’altro elemento ricorrente di questa storia. Tutto si serve, e si risolve, rigorosamente e giocosamente nell’acqua. Perfino il rognone, che devi andare a cercartelo tra gli umori della senape e quelli dell’estragone, è nascosto in un anfratto boschivo, balsamico e clorofilliano al punto che tutto profuma, irrora e irretisce. Ma a ben vedere l’acqua è presente in ciascuna delle preparazioni di Massimiliano Alajmo: la componente lipidica, se c’è, proviene sempre dal mondo vegetale, olio extravergine d’oliva o olii essenziali estratti dai semi.

Come accade, oltretutto, anche nei dolci. È qui che alberga, crediamo, tutta la felicità espressiva dello chef e, soprattutto, nella mozzarella di mandorle, un piatto storico dove il guscio spezzato deflagra in un soffio, una nuvola, un sospiro di vapore di latte di mandola a contenere, a veicolare tutti i profumi più archetipici del Mediterraneo: basilico, origano, olio extravergine d’oliva e oliva nera.

Un sapore indimenticabile che fa sorridere, peraltro, come un ricordo ritrovato. 

La Galleria Fotografica:

Una “giovane vecchia” conferma

Un passaggio a Le Calandre è sempre un momento di taratura fondamentale per il gourmet errante. Un po’ come il tagliando annuale dell’auto o il cambio gomme: un controllo per ricalibrare i giudizi e capire dove potrebbe andare, e dove forse sta andando, la cucina italiana. Massimiliano Alajmo, a dispetto della giovane età, è ormai un veterano nell’olimpo dei grandi e da anni segna la sua strada. Una strada che in tanti decidono di seguire.

Il paradosso è che Le Calandre, uno dei migliori ristoranti in Europa, non è necessariamente un ristorante per soli appassionati, ma è frequentato anche dalla clientela locale, in gran parte habituè, motivo per il quale il menu varia di pari passo con la stagionalità. Quest’aspetto si è rafforzato sempre di più nel corso degli anni tanto che, nella nostra visita di Novembre, non abbiamo trovato altro che l’autunno nei sapori, nei ricordi e negli stimoli: colori caldi, tartufo, vino rosso e morbide rotondità.

Una cucina dalle mille facce

I punti di connessione tra il mondo kaiseki e il mondo degli Alajmo sono tanti. Non certamente nei rituali ma, oltre alla citata stagionalità, nella scelta delle stoviglie, che qui assumono un valore tattile fondamentale: provare la Zuppetta di cime di rapa con ovetti di cipolla e tartufo per conferma. Quella pietra, al tatto e nel rumore del cucchiaio sul fondo, è ingrediente protagonista pur non essendo edibile. Le letture multiple di ogni portata sono un timbro marchiato a fuoco Alajmo. Il Fior di latte croccante può essere apprezzato per la sua golosità o per le sfumature di una preparazione superlativa. Una mozzarella disidratata e fritta in abbinamento alla polenta, il croccante e il morbido che si uniscono in un viaggio tutto veneto nelle case di campagna, tra la polenta sul paiolo e il formaggio alla piastra.
Un altro capolavoro è la Sogliola al vino rosso con zuppetta di legumi, tartufo bianco e crema soffice di funghi e semi di girasole, perfetta negli ingredienti, nelle cotture e nelle consistenze. Massimiliano Alajmo lo si può sentir parlare godendo dei suoi piatti sempre più rotondi, oppure si può decidere di ascoltarlo davvero, ammirando il modo in cui riesce a tenere in equilibrio dieci ingredienti in un piatto o lasciandosi rapire dalle sfumature, dal perfezionismo tecnico, dal coinvolgimento mirato di tutti i sensi.
A tutto ciò aggiungiamo un servizio di sala che da anni ha rivoluzionato il modo di servire in un ristorante di lusso.
Una critica a questo menu? Forse un filo troppo impegnativo, non certo in termini digestivi, ma per la mancanza di un pizzico di freschezza e colore. Ma d’altra parte siamo in autunno, cosa pretendiamo?

La galleria fotografica:

Abbiamo speso fiumi di parole su Le Calandre, ma soprattutto su Massimiliano e Raffaele Alajmo. Una grande famiglia della ristorazione italiana di qualità, non dimenticando i due genitori senza cui nulla sarebbe stato. Talento sì, ma anche abile e pragmatica capacità imprenditoriale. Che gli ha consentito di entrare a pieno titolo nella cerchia ristretta dei protagonisti della nostra cucina, la cucina italiana, nel mondo.

Oggi però vorremmo cercare di dare un punto di vista, forse più tecnico-analitico, che questa realtà merita. Perché questa cucina è un’ottima cucina, personale, pensata e cerebrale, ma al contempo molto diretta e limpidamente golosa, perchè questo cuoco è un cuoco di grande profondità e pensiero e ultimo -ma non per importanza- perché continuiamo a considerare Massimiliano Alajmo uno dei più personali, vividi e limpidi talenti italiani.

Il suo percorso, che seguiamo ormai da molti anni, ci sembra sia giunto quasi al suo culmine, intraprendendo la tortuosa strada che porta verso la Maestria. Quella profonda, viscerale, che emerge da una quasi sacralità del gesto e della sua ripetizione, dalla profonda religiosità di pensiero che sottende tutti i gesti e i movimenti di ogni giorno, anche i più semplici.
Ed ecco quindi tratteggiare questo percorso negli anni, fino a giungere a una cucina a cui si può muovere qualsiasi rilievo, ma non il difetto di personalità. Una cucina profondamente riconoscibile, come quella di nessun’altro, profondamente e radicalmente sua.

Il percorso, dicevamo, cominciato molti anni or sono attraversando il manierismo delle forme, degli impiatti precisi, dei pochi ingredienti, delle millimentrie e delle fitte ma precise trame elementari. Cammin facendo questa cucina, attraversando anche periodi di caos apparente e alquanto evidente, si è spostata su un piano molto più materico, vivo e carnale.
E’ oggi compiuta perchè divenuta complessa, ma si badi bene affatto complicata. Complessa nelle tessiture, nel numero di ingredienti che concorrono alla formazione del piatto. Ricca, opulenta, a tratti finanche apparentemente ridondante. Parallelamente sviluppando un caos, è il caso di dirlo, negli impiatti. Sempre più diretti, vivi, pulsanti e sempre meno manieristi e apparentemente precisi.

L’esempio per noi fulminante è stato (ma ne citeremo molti altri nelle didascalie delle foto) il riso giallo con gremolata di anguilla. Un riso mantecato al latte di mandorla e zafferano -connubio portentoso- arricchito da una gremolata all’anguilla affumicata, impreziosito dal tocco del sugo e gelato alla barbabietola. Sapori, consistenze e temperature che diventano un inno alla goduria più estrema.

Abbiamo usato il termine “apparentemente”, ce ne rendiamo conto, parecchie volte. Ma non è un errore. O meglio non è l’errore che pensate a prima vista. E’ come un piatto di Massimiliano, che può apparire difettante, con errori di impiatto, di eleganza, di sovrastrutture gustative.
Ma questo solo ad un occhio poco attento e superficiale. Perché in profondità, in quella più nascosta, questo tripudio di ingredienti e questa apparente confusione genera una linearità ed una pulizia di gusto, una golosità ed una sazietà per tutti i sensi davvero tremendamente straordinaria. E’ il primo ribaltamento di un dogma, il manierismo che lascia il passo al vero senso di un piatto, il gusto. Che ci fa pensare inoltre -altro dogma ribaltato- come questa cucina sia l’ideale rappresentante della nuova rivoluzione dell’Haute Cuisine, quella costruita attorno alla degustazione di qualche piatto a tavola, contro lo strapotere dei menù degustazione di interminabile lunghezza.

E proprio a dimostrare che questa profondità di pensiero è nascosta, ma neanche troppo, nella filosofia di questo luogo ecco comparire una gerarchica sovversione del menù a favore di una proposta trasversale di 3, 4 o 5 piatti molto interessante e accattivante, ben più del menù stesso di cui ne segna il netto e preciso superamento.

Geniale qui, come geniale questa cucina per addizione che, non dubitiamo, vi sorprenderà per la sua profondità.

Lo stupendo pane in accompagnamento: nulla qui è lasciato al caso.
Le Calandre: Pane
Fu Mare, primo colpo ben assestato: gelatina di brodo di sgombro, gelato alla ventresca di tonno, caviale, bottarga di muggine.
Le Calandre: gelatina di brodo di sgombro, gelato alla ventresca di tonno, caviale, bottarga di muggine
Nudo e crudo di carne e di pesce. Tonno nappato alla barbabietola, caviale e maionese di alghe, scampi panati e finti fritti con carciofi e salsa pistacchio, spaghetti di soia e funghi, brodo di funghi, dentice, calamaro e bottarga, carne cruda salsa curry radicchio e scampi crudi.
Le Calandre: Nudo e crudo di carne e di pesce 1
Le Calandre: Nudo e crudo di carne e di pesce 2
Le Calandre: Nudo e crudo di carne e di pesce 3
Le Calandre: Nudo e crudo di carne e di pesce 4
Le Calandre: Nudo e crudo di carne e di pesce 5
Fagioli e banana. Fagioli di lamon, granita di dragoncello, spuma di acqua di cottura dei fagioli, crema di fagioli, banana, radicchio e sedano (due aceti, uno balsamico di fondo e peperoncino). Nulla qui è pleonastico, tutto ha una funzione precisa e utile per il completamento di un piatto molto ma molto interessante. Fagioli e banana hanno connotati aromatici e texturiali sorprendentemente simili, che giocano a rincorrersi, sapientemente calibrati e dosati tra loro. Un piatto che, con questi ingredienti, in mano ad altri sarebbe stato un disastro annunciato.
Le Calandre: Fagioli e banana
Cappuccetto rosa. Crema di patate alla barbabietola, caviale, chips di riso, anguilla, ostrica. Un inno al cappuccino di seppia, qui migliorato e addirittura superato.
Le Calandre: Cappuccetto rosa
Spaghetti con latte di razza e canocchie. Oliva nera, ricci di mare, pane tostato, canocchie crude, con una punta di dragoncello e prezzemolo fondamentale.
Le Calandre: spaghetti con latte di razza e canocchie
La scarpetta.
Le Calandre: scarpetta
Gnocchi di patate e topinambur con spremuta di pastinaca e tartufo bianco.
Le Calandre: Gnocchi di patate e topinambur con spremuta di pastinaca e tartufo bianco
Riso giallo con gremolata di anguilla.
Le Calandre: riso giallo con gremolata di anguilla
Pasta al forno con lepre, salsa di zucca e tartufo bianco.
Le Calandre: Pasta al forno con lepre, salsa di zucca e tartufo bianco
Rombo con finta maionese di pastinaca e carciofi fritti.
Le Calandre: Rombo con finta maionese di pastinaca e carciofi fritti
Castrato abruzzese al limone con purè di liquirizia.
Le Calandre: castrato abruzzese al limone con purè di liquirizia 2
L’ottimo pre-dessert.
Le Calandre: Pre-Dessert
Sorbetto di melograno, hibiscus e rosa.
Le Calandre: Sorbetto di melograno, hibiscus e rosa
Bufala di mandorle, capperi, olive, olio.
Le Calandre: Bufala di mandorle, capperi, olive, olio
Mont Blanc.
Le Calandre: Mont Blanc
Il vino che ha accompagnato la cena: Moet & Chandon Grand Vintage 2008
Le Calandre: Moet & Chandon Grand Vintage 2008

Si puo’ cominciare il racconto di una cena in mille modi. Dal viaggio necessario, ad esempio, dalla difficoltà di parcheggio o dall’architettura della sala. Dalle osservazioni sulle sedute piu’ o meno comode, dalle luci, dalla carta delle vivande o addirittura dal finale, da quella addizione sulla carta come ultima portata. Ma qui a Rubano, nella periferia senza storia di Padova, dopo una cena ai tavoli delle Calandre dei fratelli Alajmo, puo’ capitare di essere innanzitutto folgorati dalla perfezione del servizio, dalla mirabolante squadra di sala capitanata da Andrea Coppetta Calzavara, da quella sensazione che quei piatti, tutti, senza il loro lavoro non sarebbero conclusi. Allora si puo’ cominciare a raccontare una cena anche da qui.

Del locale si è parlato già tanto. Forse troppo. Di come sia perfetta la luce che illumina il tavolo e null’altro al punto che puoi pensare di essere solo anche con la sala piena. E anche di come ogni orpello sia bandito al punto che si è osato eliminare la tovaglia. I tavoli poi. Già, i tavoli. Il legno naturale, nudo, con le vene come rughe, eppure lavorato dal tempo e poi dall’artigiano con maestria e tecnica impensabili. Non è lasciato a vista per caso, è filosofia, la semplicità come frutto della complicazione. A pensarci bene è proprio come un suo piatto. Uguale.

I tre menù degustazione sono come lunghe interviste, lo svolgimento di quel gomitolo di lana sul tavolo in una successione di piatti -precisa- che prima sollevano domande poi puntualmente ne contengono la risposta, anticipando le parole dello chef quando alla fine della cena si appoggia alla parete vicino l’ingresso e ricalca a voce ogni passaggio, affinchè sia luce sui dettagli e nulla si possa ritenere casuale. E’ la perfezione la sua cifra, una foga integralista inseguita senza paura, con una tecnica attenta a non rubare l’anima degli elementi anzi a restituirla integra, paradossalmente primitiva.
Così gli antipasti, quelli del menu Max, sono assoluti nella giustezza delle consistenze e delle temperature, con l’immensità degli spaghettini freddi con i gamberi crudi e quel fondo di salsa al pistacchio a rincorrere o ancora con la impudica passata di datterini crudi protagonista della scarpetta verde nell’orto. Così i dettagli, perché quelle chips, che compaiono qua e là nelle loro variabili, non sono ornamento, ma il croccante reso arte, da insegnare nelle scuole, inarrivabile. Così, infine, il filetto di pesce, quel dotto come laccato nel fumetto di scorfano, sembra fissare le regole della cottura e contemporaneamente rappresentare in maniera definitiva il mare, i suoi umori. C’e’ davvero tanto in una cena qui, certezza e divertimento, applicazione e ricerca, solo che ad un certo punto hai -improvvisa- come la paura di dimenticare, perchè alla memoria occorre il brivido, il fuoripista, lo spiazzamento, ecco, qualcosa che somigli ad una scena finale di un film che lasci qualcosa sospeso, sul quale tornare, discutere, litigare.

Qui forse questo si sta perdendo lentamente.

L’ingresso. Il logo sulla lastra di cor-ten. Introduzione alle complessità risolte di Alajmo. Apparente semplicità, ricerca e modernità.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Gli oramai famosi tavoli in frassino olivato ultracentenario.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
La seconda sala con il tavolo conviviale.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Si comincia. Gondola di mais con baccalà, polpo e schia. Oltre alla tartelletta di pane carasau con crema alla bottarga e il cuscinetto di rapa rossa con crema alle mandorle. Ma è solo un riscaldamento…
benvenuto, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Il cornetto al parmigiano. Un classico per chi frequenta questa tavola. Già si comincia ad avere il sospetto che con le cialde, le chips, il croccante in generale, Alajmo è di un altro pianeta.
cornetto di parmigiano, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Carpaccio di zucchine e frutta. Un prologo alla cena ma già con gli indizi da cominciare a raccogliere… Consistenze e temperature sono oggetto di precisione impressionante e contribuiscono in maniera determinante al ritmo del piatto. La zucchina è solo marinata, la melenzana in crema, il sorbetto -salato- di kiwi e menta introduce la frutta. Contrappunti come solo la musica si pensava potesse esprimere.
Carpaccio, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Carpaccio, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Scarpetta verde nell’orto. Altro indizio: la perfetta sequenza dei piatti nella degustazione. Un vero racconto dove questo sembra concluderne la prefazione. Le incursioni del crescendo di amaro dei fagiolini, delle fave e delle olive nere come pungoli alla dolce rotondità di una straordinaria passata di datterini.
scarpetta verde, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Il pane, unico ma sufficiente. Una scelta di essenzialità per un menù già molto complesso.
pane, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Nudo e crudo di carne e pesce. Intanto il compendio necessario al tavolo nudo. Scompare anche il piatto per rimarcarne l’essenzialità. Stratosferici gli spaghettini freddi, notevole il carpaccio di ombrina dove rivaleggiano le estremità di zenzero e pesca, buono l’astice con una maionese (altro must dello chef) di mandorle, bottarga con un’acqua di pomodoro in gelatina. Chiude la braciola cruda di vacchetta piemontese con il segreto del crudo di pesce e un’altra maionese questa volta al curry.
nudo e crudo, carne di pesce, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Lisca fritta. Esercizio di stile in modalità giapponese. La lisca è prima cotta sapientemente per domarne la consistenza, poi fritta. Cucina con gli scarti per dimostrare che può esistere il paradosso: fritto di pesce senza pesce.
lisca, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Grissini.
Grissini, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Linguine integralmente integrali. Un cimentarsi estremo con materie minime. Salsa di semi di papavero, foglie, polvere e briciole secche di capperi, semi per una pasta di grano duro integrale lasciata più che al dente per limitarne il rilascio di amido.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Ravioli a colori. Piatto della memoria e forse per questo virato sul dolce. Ravioli ottenuti senza farina, solo patate e caratterizzazione con diversi ortaggi e verdure. Cottura in due tempi, a vapore prima poi grigliati. Il brodo vegetale speziato a base di rapa rossa diluisce l’impasto, di consistenza importante, il sorbetto di cipollotto sgrassa e fredda il boccone rendendolo fluido. Chips da fantascienza.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Risotto bianco con polvere di alloro e caprino fresco. Con lo storico risotto alla zafferano e polvere di liquirizia ha fissato uno standard. Qui si propone in una variante dall’approccio sicuramente più semplice e riconoscibile. Una piccola pausa. Solo un ottimo risotto.
risotto, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Dotto scottato con zuppetta di scorfano. Il pescato secondo Alajmo.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Cuore di costata con crema di tartufi di mare e caviale. Piatto poco convincente. Sebbene la crema di tartufi è come abitudine dello chef molto magra, l’impatto gustativo del caviale e della foglia d’ostrica sembra essere già imponente, conclusivo. La carne non si limita al solo supporto, non ne rappresenta la continuità e nel contempo neanche l’elemento di contrasto.
crostata, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Frutta marinata. Il piacevole intermezzo. La frutta è caratterizzata con le essenze artigiane di agrumi e spezie spruzzate in un gioco di contrasti e profumi molto potente.
frutta, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Bellini margarita. Indulge alla piacioneria, fusion-cocktail di gradevole impatto e calibro preciso.
bellini, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Dolce far niente. Epico e didascalico. A metà strada tra esperimento e divertissement. Un percorso di 16 tappe -troppo impegnativo a fine pasto- che potrebbe essere snellito con qualche eliminazione di ridondanza.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano

Perché andare al Calandrino se facendo gli stessi chilometri, perché il paese è lo stesso, Rubano, si può fare l’esperienza tristellata delle Calandre? A meno che non si arrivi in loco intorno alle 12/13 e, in virtù del fatto che le Calandre siano chiuse in quella fascia oraria, si debba ‘ripiegare’ e prendere, per così dire, ciò che passa il convento.
In molti potrebbero pensarla così.

In molti continueranno a pensarla così, se non abbandoneranno il pregiudizio o la facile associazione mentale che spesso fa collegare un diminutivo all’idea di una prestazione inferiore, e sceglieranno di non varcare la soglia di quello che dall’esterno sembra un bel bar-bistrò affacciato sula strada, con tavolini di legno, un ambiente luminoso e un’atmosfera confortevole eppur di stile, poltrone comode, un banco di pasticceria ben assortito e invitante e il personale sorridente.

Certo non vogliamo dire che cenare alle Calandre o mangiare al Calandrino sia la stessa cosa. Ma ci si consenta il paragone automobilistico: chi avrebbe pensato che una Smart avesse senso quando è stata concepita e immessa sul mercato, in un mondo pieno di utilitarie (in primis Mercedes Classe A)? Eppure, bella esteticamente, tecnologia Mercedes, facile da parcheggiare (anche verticalmente rispetto agli spazi appositi), piacevole da guidare per via dello sprint e comoda (per non dire assai spaziosa, considerando che si tratta di una biposto), la piccola auto ha mantenuto fede al nome che porta, e ha conquistato in breve tempo il pubblico più variegato per il riuscito e inossidabile connubio di design ed efficienza.
Insomma il Calandrino non è figlio di un dio minore; è, in scala, lo specchio della casa madre. Considerandone la natura di bar-bistrò, c’è tutta una cura per gli ingredienti, un pensiero d’autore nella costruzione della ricetta, del gusto e dell’impiattamento che non ci si aspetterebbe, ma che ha personalità e rimanda immediatamente una firma inconfondibile: Alajmo.

Traspare ad esempio nelle sorprendenti, quanto appetitose, patate al carbone con acciughe bottarga e crema alle erbette, nelle rassicuranti tagliatelle con asparagi, burro affumicato e salsa di tartufo nero, dove la pasta è un velo di nerbo insolito, l’affumicatura è perfetta per intensità e finezza, la mantecatura precisa e la salsa al tartufo nulla di più lontano dalla banalità o dalla pretestuosità. Il numero misurato di piatti in carta, la loro essenza consente di realizzare un percorso più o meno articolato che rivela una sintassi di fondo impeccabile, così da spaziare nel mondo dei sapori nelle geometrie, temperature e consistenze delle pietanze e degli ingredienti, con grande piacevolezza e invidiabile leggerezza con piena soddisfazione per il palato. Ciò grazie anche a uno staff, di cucina e di sala, assai preparato, concentrato nel portar al tavolo al meglio, anche in fatto di tempistiche, ogni proposta, pronto a metter a proprio agio gli ospiti con un’attenzione e una cordialità mai ‘impostate’.
Una vera sorpresa (ma, pensando che nulla dagli Alajmo è lasciato al caso… bisognava aspettarsela), provare per credere!

Pizza al vapore, con piselli e prosciutto .
pizza, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Patate al carbone con acciughe, bottarga e crema alle erbette.
Patate al carbone, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Merluzzo di fresca salatura con salsa all’origano e pomodoro fresco.
Merluzzo, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Tagliatelle con asparagi, burro affumicato e salsa di tartufo nero.
tagliatelle con asparagi, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Carré d’agnello al tartufo nero con patate saltate alla cipolla.
Carrè d'agnello, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
La tartara del Calandrino.
tartare, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Brioche con gelato di nocciole e crema (eccezionale).
brioche, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Crema bruciata all’orzo Santoleri e fava di Tonka con gelato al caffè, anice e liquirizia.
crema bruciata, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
I vini che hanno accompagnato il nostro pranzo.
vino, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano