Torre

VALUTAZIONE

Cucina Moderna

16,5/20

PREGI
La bellezza del luogo.
Una cucina autoriale e con personalità.
DIFETTI
Il capitolo pasticceria che potrebbe osare di più.

Sulla sommità della Torre

“Il cibo non è mai stata la vera ragione per cenare qui”.

Questa la frase lapidaria che apriva il catalogo della casa d’aste americana Wright. Sul volume erano raccolti gli oggetti all’incanto, dal design unico e che avevano caratterizzato, sedie, suppellettili e mobili di quello che da molti è stato considerato come il ristorante più bello del mondo, il Four Season Restaurant di New York progettato da Philip Johnson nel 1958. Questo ristorante non esiste più ma i suoi pezzi unici, si possono ancora scovare tra le grandi collezioni di design in tutto il mondo. Ebbene alcuni tra questi, oggi rivivono magnificamente in quel di Milano, tra le mura della Fondazione Prada. Tra un’istallazione e l’altra al sesto piano, si cela Torre, la gemma culinaria cesellata con mani e tecnica da Lorenzo Lunghi. Il locale come già scritto, si caratterizza per un colpo d’occhio estetico già di per sé notevole. L’ascensore in onice rosa che trasporta al sesto piano è opera del regista francese Jean Luc Godard, tra i padri cinematografici della nouvelle vague. Una salita/discesa dove sono trasmessi frammenti sonori sulla storia del cinema, che sembrano preconizzare al cliente il racconto, una volta seduti al tavolo di Torre. Nel ristorante tra le diverse acquisizioni dal Four Season Restaurant, la parete di fondo è punteggiata vivacemente dalla serie di piatti – a rimando “del buon ricordo” – realizzati da nomi come Thomas Demand, Elmgreen & Dragset, Tobias Rebherger e Francesco Vezzoli. Oggetti del passato ma dal gusto attuale. Di fatto con la loro bellezza, sono già essi stessi in grado di acclimatare allo spirito di accoglienza che innerva tutto il locale.

Le ispirazioni di Lorenzo Lunghi

Pierangelini in primis, ma anche Aizpitarte e Chartier sono i mentori creativi di Lorenzo Lunghi. La mano in cucina espressa da Lunghi non è solo fine algido della dimostrazione, ma è vera e propria concezione febbrile, quasi passionaria nell’interpretare il prodotto nelle sue diverse nuance che ne possono scaturire. Il Cardoncello alla brace, burro allo Jerez, pioppino in tempura e salvia fritta. È saltimbocca vegetale, inno alla succulenza (spesso perduta nella versione carnivora) e al contempo alla forza sapida del pioppino fritto, mimetico del prosciutto crudo, una volta cotto. L’intensità aromatica dell’aceto dona al piatto nuova verve, destandolo dal consueto torpore della versione canonica. Rem Koolhaas, architetto della Fondazione Prada in un’intervista sul polimorfismo degli spazi progettati ha chiarito: «L’insieme di queste diversità produce un’estrema varietà spaziale all’interno di un volume semplice, in modo che l’interazione tra gli ambienti e i singoli progetti o opere d’arte offra un’infinita serie di possibili configurazioni». Questo si manifesta anche nei piatti di Lorenzo Lunghi. È il caso del Cardo arrosto, riccio bretone, anguilla e salsa olandese. Il riccio è qui tanto (a) supporto come ciotola, quanto (di) supporto in degustazione per l’opulenza dell’olandese prima e in stratificazione successiva dopo, con l’anguilla e il cardo. Strato su strato, sulla superficie porosa e ricurva del riccio fino a chiudere in acidità vegetale con acetosa ed erba cipollina intere. Mutate in consistenza, ma non nella loro freschezza erbacea, poiché appena toccato dal calore. Volume semplice con il tondeggiante guscio del riccio. Stratificazione complessa per ciò che il cucchiaio incontrerà nella sua discesa. L’Agnolotto di zucca, rum, foglia di capperi e tartufo nero, amplifica suadente il sentore minerale del tartufo, creando nuovi spazi per questo piatto caratterizzato sovente da una dolcezza spesso ottundente. Il San Pietro, scarola, arancia sanguinella e lardo è piatto tecnico nella scelta di quest’ultimo come viatico amplificativo per la salsa di crostacei precisamente diluita in accoppiata. Golosa la guancia del pesce arrostita, qui maritata al fiore di sambuco sia in veste fermentata, sia alla dolcezza floreale sviluppata in abbinamento ai piselli.  

Il capitolo della pasticceria, ancora come nella nostra ultima visita, patisce quel cambio di marcia decisamente più basso rispetto alla parte salata. Un buono, ma ancora troppo didascalico, Castagna, fiordilatte affumicato e cioccolato non tiene il passo con ciò che si è visto in the previous episodes sulla parte salata! Tuttavia ci sentiamo di alzare la valutazione di questo ristorante, per come questo cuoco stia definendo una precisa sintesi di tecnica e prodotto.  Riconoscibile dal gusto nostrano, ma con mano e conoscenza internazionale dello spazio che lo ospita. Il cosiddetto “splendore del vero”, inseguivano i registi di quella nouvelle vague. Tra la bellezza di Torre e le idee culinaria di Lorenzo Lunghi, siamo convinti che da queste parti, lo splendore lo si possa davvero trovare.

Piatto migliore: Cardo arrosto, riccio bretone, anguilla e salsa olandese.

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Giacomo Bullo

Prima come cuoco, annoverando esperienze nel campo gastronomico fino al foraging nostrano, oggi come narratore amante del buon cibo in tutte le sue forme ed espressioni. E’ convinto sostenitore dell’esistenza, in qualche dizionario sconosciuto, della gastrofilia: nei suoi racconti, il tentativo di definirla. Let’s do it!

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VALUTAZIONE

Cucina Moderna

16,5/20

PREGI
La bellezza del luogo.
Una cucina autoriale e con personalità.
DIFETTI
Il capitolo pasticceria che potrebbe osare di più.

INFORMAZIONI

PREZZI

Menu degustazione: 120€. Alla carta sui 90€

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