Passione Gourmet Relais Le Jardin - Passione Gourmet

Relais Le Jardin

Ristorante
Chef Massimo Viglietti
Recensito da Eugenio Marini

Valutazione

17/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

  • Una tavola che sa catturare l’attenzione.
  • Servizio esperto e accomodante.
  • La cantina, costruita negli anni ’80, conta ancora alcune verticali nostrane di pregio.

Difetti

  • Uno stile culinario a tratti eccentrico che rischia di essere travisato.
  • Migliorabile la comunicazione fra sala e cucina.
Visitato il 06-2023

Ritorno al passato

Scorre inesorabile il tempo, trascina nell’oblio figure e ricette che pure hanno segnato l’orizzonte gastronomico moderno. Così, nel presente ormai incurante della memoria storica, sfugge ai più quello che a fine anni ottanta fu il primo indirizzo di Roma a essere premiato con due stelle Michelin: il Relais Le Jardin del Lord Byron Hotel. Oggi, il fine dining della “Bomboniera Bianca” è oggetto di una renovatio ambiziosa che punta a rivivere i fasti dell’haute cuisine di successo. Con quest’idea, l’ultima parentesi gestionale della famiglia Ottaviani ha rispolverato nome e progetto del vecchio Relais per affidarne le sorti al navigato cuoco ligure Massimo Viglietti, già noto in città quale unico (ex)interprete stellato dell’enoteca Achilli al Parlamento.

Il nuovo capitolo ha visto il salotto-bar di una volta diventare palcoscenico peculiare, quasi surreale, onirico: in un ambiente raccolto e ovattato, dal glamour stravagante in Art Déco, il “Pirata di Alassio” — epiteto assegnato allo Chef — sfoggia comanda dopo comanda la sua playlist di musica rock.

Prospettiva punk-dadaista

Il cuciniere del Savonese è uno spirito libero che non si lascia trascinare dalle correnti culinarie recenti, esprimendo una visione più che personale, sospesa nel tempo e priva di connotazioni spaziali circoscritte. Mette quindi a dura prova chiunque tenti di etichettarlo. Eppure, un asse di gastro-ispirazione cosmopolita emerge in superficie: Francia-Liguria-Giappone. Ne suggerisce il richiamo un piatto che racconta dei trascorsi di Viglietti (Marchesi, Bocuse e Vergé) e del suo omaggio alla “Cucina Bianca”(per il colore dei viveri che i pastori portavano in transumanza sulle Alpi Liguri e Marittime); si tratta del Cremoso di brie, oro, lievito croccante, lardo e pepe Asakura Sansho, che con la sua vulcanica opulenza offre un caleidoscopio di gusto che ben rispecchia lo Stile 1925 degli interni. A seguire, del menu “Viaggio” di sette portate, i primi sanno davvero toccare le corde giuste: le Conchigliette di pasta, francesi nella “forma” ma senza sovrastrutture nella sostanza, riescono a scovare il fanciullino nascosto di ognuno, sedotto da una burrosità avvolgente, sostenuta nel suo passo agrumato e temperata solo dalle spinte sapide e affumicate dello speck d’anatra; oppure, il Riso al brodo di legno che, tostato a secco e non mantecato, si rivela austero ma elegante, aggraziato nella sua essenza amaricante dalla dolcezza dell’agnello, sfoderando qui una cifra stilistica più contemporanea. Dunque, “essere e non apparire”. In tutte le sue manifestazioni. Senza se e senza ma. È questo il principio guida dell’alassino. Una pressoché sfrontata dimensione autoriale viene poi messa ulteriormente in luce sia dalla rivisitazione del McChicken (in tal caso petto e raviolini di faraona con popcorn al posto delle patatine) sia dallo “Snupuz”(un “sorbetto-non sorbetto” dato in realtà da un barattolo vuoto che dona un apporto aromatico-retrolfattivo di preparazione al dessert). Ecco irrompere quel profilo culinario controverso che richiede sensibilità ma anche di “stare al gioco”, il suo. Con verve dissacrante, mette allora in discussione i canoni classici e le logiche convenzionali (il pomodoro viene qui proposto come un dolce); respinge alcune categorie (“la piccola pasticceria è diventata puro orpello”), come rifugge dal feticismo dell’estetica e della tecnica. In una certa misura, la cucina contro la cucina stessa. Non è da escludere pertanto che in alcuni piatti al Relais Le Jardin l’idea fagociti l’esecuzione.

Poco importa”, direbbe l’artefice volendo parafrasare il titolo colorito di una canzone del C.S.I. a lui cara. D’altronde, the show must go on; nella sala borghese, si accendano i riflettori: la provocazione punk-dadaista è servita.

IL PIATTO MIGLIORE: Risotto al brodo di legno amaro e agnello.

La Galleria Fotografica:

Lascia un commento

La tua email non sarà pubblicata. I campi obbligatori sono contrassegnati *