Valutazione
Pregi
- Cucina decifrabile e non cervellotica.
- Servizio di sala sorridente, snello e gentile.
Difetti
- Alcune consistenze borderline.
- Certe temperature di servizio da rivedere.
La brezza marina del rione xx
Nel quartiere storico di Testaccio, preso d’assalto da turisti e fanatici della cucina romana popolare, Acquasanta rappresenta un unicum. Il nome del locale ne è già il manifesto. Qui, mare e materia ittica sono una cosa seria, velate di un’aura quasi sacrale, come suggerisce l’insegna. D’altronde, l’elemento dell’ichthýs (“pesce” dal greco antico) ritorna a più riprese nella cultura cristiana: dagli apostoli pescatori alle vigilie di magro. Giocando sulla suggestione, la proposta dello Chef Enrico Camponeschi non può che poggiare sul pescato del giorno e su freschissimi esemplari d’acqua salata provenienti dall’asta di Anzio, località d’origine dei titolari. L’atmosfera elegante (ma non austera) viene riprodotta in larga misura dall’arredo di contrasto e dall’ambience tipici del fine dining contemporaneo e minimalista. Uno sguardo curioso va riservato alla carta dei vini che strizza l’occhio ai trend attuali, polarizzatasi sui bianchi macerati e sulla produzione “naturale”, con qualche rifermentato in bottiglia.
Tra sacro & profano
La storia di quest’area della città, rievocata anche dall’antistante Fontana delle Anfore, che in epoca romana giungevano cariche nel limitrofo porto fluviale, non sembra condizionare l’offerta. Non c’è spazio quindi per la “tradizione” (men che meno per il garum). I piatti di Camponeschi sono piuttosto espressione di una cucina di mare creativa ma schietta che mette al centro l’ingrediente, senza sottoporlo a trasformazioni eccessive nel tentativo di preservarne proprietà e caratteristiche originarie. Non mancano incursioni di terra nel menù di Camponeschi. Fra queste, nel caso del Tortello ripieno d’anatra, è da apprezzare lo sfogo concesso a uno dei sapori più impopolari di sempre, l’amaro, esaltato dalla presenza generosa di chips di radice scorzonera in un prezioso lavoro di liaison tra le altre componenti: callosità della pasta, ricchezza della sua farcia, intensità dello scampo crudo, freschezza del gel di pompelmo intervallata dalle sue spunte aspre. Squisito poi il Tonno alla catalana che, lungi dall’essere un mero assemblaggio insapore e modaiolo, trova come crudo il suo senso in carta sotto un’aioliLa salsa aioli (dal catalano allioli, dall'occitano alhòli, dal provenzale aiòli, cioè ai-oli, alh-òli, "aglio ed olio") anche chiamata in spagnolo ajiaceite o ajoaceite, è una salsa tipica dell'area mediterranea composta prevalentemente da aglio, olio di oliva e limone e dal sapore molto forte. La versione classica prevede l'uso di aglio, macinato in un mortaio al quale viene aggiunto a... Leggi calibrata e in armonia con le note vivaci del pomodoro bruciato. L’esperienza viene perciò scandita da una sequenza culinaria dal gusto forte, che non vuole filtri e che scansa forme di mediazione. Eppure, scomodando Van der Rohe, less is more. In effetti, l’impressione di fondo è che talvolta qualche spigolo andrebbe smussato. Ne è emblema il risotto, realizzato con il meraviglioso Risotto carnaroli Riserva San Massimo: ben eseguito tecnicamente ma sbilanciato verso il dolce, sensazione che non lascia mai il palato e che non si giova di alcuna sterzata (attesa invece dalla spuma di erborinato). Portata golosa per alcuni, statica per altri.
L’esito complessivo certifica comunque una cucina di buona qualità seguita dalle creazioni audaci della pastry chef Giulia Fusillo che non teme di lambire il profano reinterpretando alcuni grandi classici in chiave dessert. L’Acquasanta c’è, le potenzialità anche; non resta che attendere la definitiva benedizione.
IL PIATTO MIGLIORE: Tortello d’anatra, scampi, scorzonera, pompelmo.