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Gli Svitati

Vino
Recensito da Angelo Sabbadin

Perché scegliere il tappo a vite?

Lo scorso 6 marzo 2023 a Villa Sorio a Gambellara, si è tenuta una giornata didattica e di confronto organizzata e voluta da un gruppo di produttori amici, cinque aziende del nord Italia, che hanno scelto il nome di “Gli Svitati”; un nome emblematico che vuole evidenziare il tema prevalente di questo “movimento”. Quante volte ci è capitato di fare i conti con bottiglie difettate per colpa della chiusura, difetti dovuti al sughero, TCA (il classico odore di tappo) o un tappo troppo secco che ha lasciato traspirare aria rovinando irrimediabilmente il vino? Purtroppo le bottiglie possono essere qui alle porte di casa o dall’altra parte del mondo con problemi che vi lascio immaginare minando anche l’immagine dell’azienda. Ecco perché questi 5 importanti produttori hanno scelto da tempo l’unica alternativa che salvaguardia i loro vini e le loro fatiche, il tappo a vite.

Ma perché scegliere il tappo a vite? Ecco le risposte: perché è migliore per la conservazione del vino e mantiene le sue qualità organolettiche, perché garantisce una maggiore omogeneità qualitativa delle bottiglie e perché è rispettoso dell’ambiente in quanto realizzato in alluminio, un materiale completamente riciclabile. Il tappo a vite è preferito perché è pratico: si apre e si chiude facilmente e consente al vino di mantenere la sua qualità anche dopo la prima apertura, garantendo un sapore eccellente fino all’ultima goccia. Franz Haas, Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Vigneti Massa, si sono unite per condividere la loro esperienza nell’utilizzo dei tappi a vite per le loro bottiglie di vino. Questo perché il processo di selezione del tipo di tappo è complesso e richiede una valutazione attenta di molte variabili, poiché il tappo ha un impatto significativo sull’invecchiamento, sul valore e persino sull’ambiente. Sebbene il mercato offra una vasta scelta di tipologie di tappi, non sempre è facile scegliere quello giusto. In ogni caso, durante l’incontro, i produttori hanno sottolineato il ruolo fondamentale della tradizione nella scelta del tappo, in quanto i cinque produttori, insieme ad altri protagonisti del mondo del vino, hanno contribuito alla rivoluzione del settore vinicolo in Italia negli anni ’80 del secolo scorso e continuano a perseverare nella ricerca della qualità e della precisione. “Tradizione” ha infatti un significato profondo, ovvero il patrimonio culturale trasmesso attraverso il tempo e le generazioni, e deriva dal termine latino “tradere“, che significa trasmettere oltre, ovvero la volontà di raggiungere e mantenere questo patrimonio nella costante ricerca della qualità.

Il professor Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, ha presentato i risultati delle analisi condotte dall’Australian Wine Research Institute già nel 1999. Queste sperimentazioni hanno riguardato quattordici diverse tipologie di chiusure del vino, tra cui il tappo a vite. È stato dimostrato che quest’ultimo ha una permeabilità all’ossigeno molto più bassa e variabile a seconda del rivestimento utilizzato all’interno del tappo e ha bisogno di una minor quantità di solforosa in bottiglia. Inoltre, a distanza di anni, le bottiglie con tappo a vite avevano ancora un colore brillante e presentavano delle caratteristiche organolettiche ideali, sia per i vini rossi che per quelli bianchi. Secondo il professor Mattivi, durante le degustazioni, le bottiglie con tappo a vite erano uguali alle migliori bottiglie con tappo di sughero. Durante il tour degli interventi, è stato interessante ascoltare i punti di vista dei cinque protagonisti del gruppo, a partire da Maria Luisa Manna, moglie del compianto Franz Haas. Ha sottolineato l’importanza del primo incontro in pubblico dei “Svitati” (i produttori di vino che utilizzano il tappo a vite), evidenziando il loro carisma, la perspicacia e la lungimiranza. Secondo la signora Manna, una buona divulgazione è stata fondamentale soprattutto nei confronti del cliente finale: “Le nostre prove in cantina sono iniziate nel 2005/2006 e nel 2012 eravamo già sul mercato a comunicare questo”. Inoltre, ha evidenziato che non è tanto il tappo netto che crea problemi, ma il sughero che può tralasciare sentori che rovinano il vino.

Silvio Jermann ha poi preso la parola, riconosciuto da Maria Luisa come il precursore del tappo a vite in Italia. Egli ha raccontato come abbia iniziato circa vent’anni fa, utilizzando un tappatore manuale poiché le macchine imbottigliatrici erano ancora inesperte e poco adatte alle produzioni di piccole cantine. Nel 2007, ha poi acquistato una macchina di imbottigliamento dedicata al tappo a vite, nonostante all’epoca il mercato fosse scettico e lo considerasse solo una scelta economica piuttosto che di qualità. Silvio ha scelto di utilizzare il tappo a vite nelle sue produzioni più importanti, poiché non voleva rovinare tutto il lavoro svolto in vigna e in cantina con qualcosa che non fosse di sua produzione. Secondo lui, il tappo a vite assicura una chiusura valida per l’ossigeno ma soprattutto neutra, che non altera l’evoluzione del vino e ne garantisce la qualità. In seguito, è stato Graziano Prà a parlare, descrivendo la sua folgorazione per il tappo a vite dopo aver assaggiato una bottiglia di Cloudy Bay negli Stati Uniti. Nonostante all’epoca ci fosse ancora un pregiudizio legato alla burocrazia, che impediva di tappare il Soave in questo modo, Prà ha iniziato a utilizzare il tappo a vite nel 2010 e non ha fatto sconti al sughero: per lui c’è un abisso tra i due.

Durante l’incontro, Walter Massa ha sorpreso il pubblico leggendo un testo di Adam Smith della fine del XVIII secolo invece di esibire la sua abituale e mai banale loquacità. Il testo citato sosteneva che nonostante i vigneti venissero coltivati con maggior cura rispetto ad altri, il prezzo elevato del vino sembrava essere la causa piuttosto che l’effetto di questa cura. Massa ha poi affermato che il vino è così immenso e immaginifico da aver portato cinque ragazzi degli anni ’50, cinque enologi, cinque imprenditori che si sono sempre divertiti nella loro vita e nella loro vigna a trasmettere un passo, perché il vino è importante per l’umanità poiché ci ha accompagnato nella gioia e nel dolore fin dall’esistenza dell’uomo. Infine, ha concluso dicendo che il mondo del vino è umano e che il tappo a vite ci porta in questo mondo. Mario Pojer ha invece sottolineato che il loro utilizzo del tappo a vite è recente e che ci sono ancora problemi di mercato in Italia, dove l’80% dei vini viene ancora venduto con il sughero per la ritualità dell’apertura. Mario, che ha quarant’anni di esperienza nel settore, ricorda quando beveva i suoi primi vini con il tappo a vite in Svizzera: il suo sogno era di poter imbottigliare il vino in una fiala di vetro per preservare il prodotto originale della vigna. Per mantenere il potenziale del vino, è importante controllare l’entrata di ossigeno, e il tappo a vite consente di farlo con scienza e tecnologia, evitando l’ossidazione del vino e permettendo una maturazione lenta e completa.

Durante l’incontro con i cinque produttori, è stato possibile notare come il mercato globale stia mostrando sempre più interesse per questo tipo di chiusura. Infatti, secondo i dati di Stelvin e Guala Closures, quattro bottiglie su dieci oggi vengono chiuse con il tappo a vite, con una percentuale che in Europa Occidentale, tradizionalmente più conservatrice, è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021 (con un 22% in Italia).

La degustazione

Per dimostrare queste differenze, durante la giornata a Villa Sorio è stata organizzata una degustazione comparata di alcuni vini della stessa annata, chiusi con tappi in sughero e tappo a vite. I cinque “Svitati” hanno presentato il loro:

Vintage Tunina 2013 di Jermann

Sughero: soffre di riduzione, lascia uscire poi delle note di frutta surmatura, note di pietra focaia, un olfatto che non brilla per precisione. Sul palato vino piacevole, ancora integro, acidità ancora avvertibile.

Tappo a vite: Rispetto al sughero sembra che il tempo si sia fermato,  il naso è sciolto e ampio, frutta a polpa gialla, pesca, susina, melone, note agrumate e soffio minerale. La bocca non è da meno brillando per succosità, sapore ed armonia. Alla cieca difficile pensare che l’annata sia uguale.

Alto Adige Pinot Nero DOC “Schweizer” 2015 di Franz Haas

Tappo a vite. È un’effusione scintillante al naso di piccoli frutti neri sotto spirito, erbe aromatiche, spezie dolci. Sul palato ha energia e carattere.

Il Soave Classico di Prà, il “Monleale” 2016 di Vigneti Massa e il “Sauvignon” 2007 di Pojer e Sandri, per permettere ai partecipanti di apprezzare le effettive differenze tra i due tipi di chiusura.

Una migliore conservazione del vino

In conclusione, il tappo a vite non è solo un simbolo di considerazione verso coloro che degusteranno il vino, ma anche per tutti i professionisti del settore, grazie alla sua sostenibilità. Infatti, questo tipo di chiusura viene prodotto in alluminio, un materiale amico dell’ambiente. Le statistiche sembrano confermare questa idea, specialmente dopo che molti operatori del settore, soprattutto australiani, americani e sudafricani, ma anche vignaioli austriaci e tedeschi, hanno iniziato ad abbandonare il tradizionale sughero per il tappo a vite. Ciò perché quest’ultimo garantisce una migliore conservazione del vino, sia per i vini bianchi che per molti vini rossi. Tuttavia, il fascino di aprire una bottiglia con il tradizionale “botto” è un’esperienza a sé stante, così come l’emozione di aprire una bottiglia di Champagne o uno spumante metodo classico italiano. Il punto di vista pionieristico degli Stati Uniti e della Nuova Zelanda ha influenzato queste cantine italiane a guardare alle nuove frontiere del vino. Anni di viaggi, degustazioni e confronti hanno portato alla scelta del tappo a vite come soluzione ottimale per preservare il lavoro svolto in vigna e in cantina. Grazie alle proprietà di questo tipo di chiusura, una micro-ossigenazione costante viene garantita, mantenendo la qualità del vino e permettendo un’omogeneità anche in annate più vecchie, favorendo un’evoluzione corretta del prodotto. Grazie alle sue peculiarità, questo tipo di chiusura consente una micro-ossigenazione costante, che protegge il vino e garantisce l’omogeneità qualitativa, anche nel caso di vecchie annate, favorendo una corretta evoluzione.

Siamo cinque aziende che lavorano con cura estrema: scegliamo i vitigni che meglio ci rappresentano e le uve di maggior pregio, in cantina abbiamo tutto ciò che ci serve per produrre un vino di altissima qualità. Ma soprattutto, abbiamo a disposizione il tappo ideale per preservarla. Ecco perché non possiamo fare a meno di sfruttarne le potenzialità. La precisione che abbiamo sempre cercato oggi diventa un dovere nei confronti del pubblico e del vino stesso“, hanno commentato all’unisono i produttori.

Sia per i vini rossi che per quelli bianchi, in queste degustazioni, le bottiglie con tappo a vite hanno dimostrato di essere all’altezza delle migliori bottiglie con tappo di sughero. Il tappo a vite rappresenta quindi un gesto di attenzione nei confronti di coloro che lo degusteranno e verso tutti i professionisti coinvolti nella produzione del vino. La scelta di utilizzare una chiusura in alluminio, oltre ad essere rispettosa dell’ambiente, è stata fatta anche dal gruppo “Avvitati” in considerazione della sostenibilità ambientale.

Durante l’evento a Villa Sorio, è stata analizzata l’attenzione sempre crescente che il mercato globale ha dedicato a questo tipo di chiusura negli ultimi otto anni. Secondo i dati riportati da Stelvin e Guala Closures, oggi quattro bottiglie su dieci sono chiuse con tappo a vite, con una percentuale che in Europa Occidentale, storicamente più legata alla tradizione, è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021 (con un 22% in Italia). Il lavoro di squadra del gruppo “Avvitati” vuole rappresentare l’inizio di un nuovo “movimento” nel mondo del vino, un gruppo di produttori che si sono uniti spontaneamente per soddisfare un pubblico sempre più esigente e anche per condividere la loro scelta con altri produttori amici, sempre più numerosi, pronti a diventare “Avvitati” come loro.

Le aziende

Franz Haas non è solo una cantina, ma una grande famiglia formata da molte persone che hanno ereditato la forte passione di Franziskus alias Franz, scomparso prematuramente nel febbraio dello scorso anno. La moglie Luisa, il figlio Franz e l’enologo Stefano Tiefenthaler sono solo alcuni dei membri della famiglia che stanno portando avanti il suo lavoro e la sua eredità. La continua e perseverante ricerca della perfezione è diventata una filosofia di vita, che Franziskus alias Franz ha tramandato alla squadra che ora continua ad applicare i suoi insegnamenti. La moglie Luisa Manna è stata fondamentale nella crescita della Franz Haas dagli anni ’80 in poi. Il figlio Franz lavora a stretto contatto con lui, mentre in cantina la sua attività è seguita da una giovane squadra guidata da Stefano Tiefenthaler, un figlio d’arte in cui Franziskus aveva riposto grande fiducia. Il suo spirito innovatore ha portato la cantina ad esplorare nuovi orizzonti del “fare vino”, come la sostituzione delle pergole con i primi impianti a guyot negli anni ’80 e l’allevamento di vitigni a 1.150 metri di quota, tra i più alti dell’Alto Adige, riconoscendo l’unicità delle caratteristiche che avrebbero portato nel bicchiere. L’introduzione del tappo a vite, frutto di trent’anni di ricerca, è stata un’altra innovazione significativa. L’eredità lasciata da Franz VII è un Alto Adige costantemente alla ricerca della perfezione, che vede nel tappo a vite la chiusura ideale per assicurarsi che “tutto il nostro lavoro, i giorni e le notti che dedichiamo al nostro lavoro, si concludano sempre con un vino all’altezza del nostro impegno e delle nostre aspettative. Questo è il mio cerchio perfetto, dalle viti fino all’ultimo giro di vite“.

Graziano Prà è un vignaiolo bio che ha deciso di dedicarsi al mondo del vino con passione, impegno e sincerità, partendo dai primi ettari tra le colline del Soave e arrivando fino ai terreni più alti e freschi della Valpolicella. Ha scelto di dedicare la sua viticoltura alla celebrazione e valorizzazione del territorio, perché “un vino non può essere grande se non racconta il terroir in cui nasce“. Come un vero amante del territorio, Graziano Prà ha sempre prodotto i suoi vini esclusivamente con uve autoctone, allevate con cura in regime biologico, lavorando con basse rese e con grande attenzione a ogni fase del processo produttivo, dal vigneto al calice. Il risultato sono vini pregiati che celebrano la cultura della convivialità e della condivisione, destinati ad accompagnare i momenti speciali di ogni appassionato. Per garantire la massima longevità alle sue eccellenti etichette, Graziano ha lungamente sperimentato diverse soluzioni e tra i primi ha compreso il grande potenziale del tappo a vite. Oggi imbottiglia in questo modo tutta la sua linea di Soave, compresi i grandi Cru, e il Valpolicella, puntando ad estendere l’utilizzo del tappo a vite anche al Valpolicella Superiore, perché, come afferma con determinazione, “credo nella vite, anche quando si tratta del tappo“.

Silvio Jermann è invece un vignaiolo visionario che non accetta compromessi, che ha saputo rivoluzionare la viticoltura italiana con il suo blend unico “Vintage Tunina“, nato negli anni ’70 e composto da uve di Sauvignon, Chardonnay, Malvasia Istriana, Ribolla Gialla e Picolit. La sua azienda storica, fondata nel XVIII secolo, ha subito una vera e propria svolta epocale grazie alla sua genialità e alla sua passione per l’innovazione. Il produrre vini di alta qualità con uve autoctone allevate con cura e in regime biologico, lavorando con basse rese e in modo scrupoloso dal vigneto al calice, è stata la scelta di un autentico enologo fin dal principio. La sua passione per la convivialità e la cultura della condivisione si esprime nei suoi vini pregiati, che celebra come veri vini gastronomici, nati per essere degustati insieme ad amici e famiglia. Grazie alla sua ricerca costante per migliorare la longevità dei suoi vini eccellenti, ha deciso di utilizzare il tappo a vite, già utilizzato nei suoi Soave e nei suoi grandi Cru e, in futuro, anche per il Valpolicella Superiore. La tenuta Jermann, fondata nel XVIII secolo, ha subito una svolta epocale negli anni Settanta grazie al nipote Silvio Jermann, un vignaiolo innovatore che, dopo un’esperienza in Canada, ha deciso di creare vini secondo la sua indole avanguardista. Il Vintage Tunina è il risultato della sua capacità di immaginare e creare un uvaggio inedito di Sauvignon, Chardonnay, Malvasia Istriana, Ribolla Gialla e Picolit. Nel 2016 è stato giudicato il miglior vino bianco italiano nel mondo.

L’azienda agricola Pojer e Sandri, fondata da Fiorentino Sandri e Mario Pojer, è il frutto di una grande passione per la purezza assoluta del vino, senza l’utilizzo della chimica. La loro attenzione maniacale fino all’imbottigliamento si riflette anche nell’uso del tappo a vite, scelto per la sua performance, neutralità, sostenibilità e praticità. Oggi, la tenuta coltiva vigneti di montagna nel pieno rispetto della natura, tra Cembra e Grumes, in un luogo unico caratterizzato da lunga irradiazione solare, terreni calcarei e dalla brezza dell’Ora del Garda.

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