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Uva

di Erika Mantovan

Da e in tavola

L’Italia, oltre ad avere il primato in termini di quantità prodotta, di uva e di vino poi, vanta anche un numero di cultivar che supera il migliaio. Diventa dunque complessa una classificazione di questo frutto che, nella vita quotidiana, in stagione, vanta una molteplicità di dimensioni, colori e sapori e, soprattutto, destinazioni d’uso. Già, perché l’uva si presta come dessert, a fianco ai formaggi o come ingrediente in cucina. Anche nelle cucine stellate. 

Con Sergio Fessia di Ortobra parliamo delle uve che troviamo, soprattutto in questo periodo, sulle tavole italiane: uve dolci, con o senza semi. Dai grappoli grandi e gli acini turgidi, dorati, bianchi, neri, rossi e rosa.

Colori e forme, l’uva nella storia e nei mercati

Se in Italia l’uva da tavola più commercializzata, e popolare, resta quella denominata, appunto, Italia, c’è da sottolineare come la il suo colore verde-oro sia uno degli aspetti su cui più puntano i consumatori, almeno nel nostro Stivale. La buccia è spessa e croccante, l’uva è dolce e gustosa. Da godere a fine pasto o merenda. A Taranto la si raccoglie anche prima del Natale ma, al suo fianco, e con la paritetica popolarità, prosperano l’uva Vittoria e la Regina.

In tutti i casi si potrebbe dire “nomen omen”: la prima è una bacca più precoce e che infatti si inizia a raccogliere tra luglio e agosto, di colore giallo molto intenso con bacche piuttosto grandi e compatte, mentre la Regina rientra nella classificazione delle uve antiche, dalla buccia secca una carica aromatica importante, è tra le più coltivate nel Mediterraneo, molto diffusa in Puglia e in Sicilia, due regioni in cui si concentra invero la maggior produzione di uve da tavola della nostra penisola. In Puglia, Adelfia (BA) è una vera e propria capitale dell’uva. Sempre al sud, c’è l‘uva Panse, un’uva precoce bianca che si trova sugli scaffali già ai primi di settembre.

Non ultima, tra le varietà bianche italiane che riscuotono un grande successo c’è la Luisa, bacca dai semi più croccanti, gradevoli anche da masticare. Al gusto non infastidiscono affatto, non si percepiscono sensazioni amare o aspre, forse più erbacee e acide. 

Quanto alle bacche rosse, due sono quelle che riscuotono maggior successo: il Moscato d’Amburgo e l’Uva fragola.  La prima, nata dall’incrocio del Moscato d’Alessandria e Schiava grossa, vanta una produttività più che soddisfacente e, nonostante l’aspetto del grappolo, che potrebbe risultare irregolare, grazie alla sua dolcezza e piacevolezza è coltivata con successo anche in Francia, California, Grecia e Gran Bretagna. L’uva fragola, invece, è quanto di più goloso e nobile non ci possa essere per gli amanti delle uve rosse. Assai celebrata in cucina, è una varietà statunitense con un sapore dolce e chicchi di grandezza medio-piccola, che rilasciano un quantitativo di dolcezza e tannicità ineguagliabili. Chicchi che, s’è detto, la rendono particolarmente cara agli chef che la impiegano come ingrediente o come accompagnamento, ad esempio a un plateau di formaggi. In Italia viene coltivata soprattuto al Nord, e da sempre si appezza la sua solidità, anche nei confronti delle malattie. 

A influenzare la domanda, la cromia in primis, che ci si aspetta essere più gialla che pallida, almeno in Italia, ove il mercato predilige uve con un colore giallo acceso a differenza del resto d’Europa, che apprezza bacche più neutre, bianche, con un profilo che riporta alla panna o al bianco carta. Un’uva gialla più gourmet, dunque, saporita in contrapposizione ad altre varietà, nate anche da incroci, che hanno richiesto tempo per la loro materializzazione. Incroci riusciti e ricercati per ottenere bacche senza semi, uno dei più importanti marker, oltre il colore, che più determinano il successo nei consumi dell’uva da tavola. 

Senza semi

Ci sono voluti vent’anni! – spiega Sergio Fessia – Si è partiti da uve con pochi vinaccioli e dopo incroci si è poi arrivati all’ottenimento di uve senza i semi, sebbene questi siano fondamentali per la comprensione del livello di maturazione dell’uva. Non c’è analisi che tenga infatti, l’assaggio del chicco d’uva è una delle pratiche più antiche ancora usate soprattutto dai produttori di vino. Il consumatore di uva da tavola si aspetta chicca grandi e saporiti e, soprattutto, senza semi.”  A ciò si lega anche un altro aspetto merceologico, quello del prezzo, che “si basa sul costo della manodopera e dei tendoni posti sopra i filari. Tendoni che vanno cambiati almeno una volta all’anno e il cui smaltimento è importante. Durante il ciclo vegetativo, prima della vendemmia, sono poi necessarie numerose operazioni manuali per garantire un livello qualitativo ottimale.”

La questione del prezzo

Come detto, il prezzo finale dell’uva non può prescindere da fatto come questi, che chiameremo “umani”. In Puglia, dove il suolo è costituito da rocce d’origine calcarea, si deve innanzitutto “trasformare” il terreno per renderlo coltivabile, operazioni che arrivano a costare anche fino a 14.000€ all’ettaro. Oltre a questo, si aggiunge il costo della realizzazione della struttura del tendone e relativi materiali necessari atti a proteggere le uve da agenti atmosferici o dagli insetti. E senza dimenticare che in un allevamento che separa la zona produttiva da quella vegetativa i grappoli maturano lontano dall’irraggiamento del sole.

L’uva nel piatto

L’uva può fungere da acceleratore del dolce oppure, per contrasto, come punto di rottura, in una salsa in cui a dare l’equilibrio, del tutto nuovo, possono concorrere l’astringenza e la durezza del tannino, sia esso più croccante o più oleoso. Il seme, o vinacciolo, rilascia del resto sensazioni che vanno dall’amaro all’acido, finanche astringente oppure, ancora, di frutta secca. Ecco di seguito quale interpretazione indimenticabile.

La Madernassa

Un piatto tecnico e tannico, ben eseguito, dove la tannicità dell’uva resta un elemento in totale contrasto con l’amido e col garum… 

… e l’edizione precedente

L’Arcade

Un piccolo intermezzo prima del dolce che, cambiando consistenza e temperatura, della frutta autunnale, regala grande soddisfazione e freschezza.

Cucine Nervi

Il tocco finale di un piatto giocato sui contrasti dolci. D’ispirazione francese, il fondo più solido e coprente si alleggerisce con la freschezza dell’uva e delle barbabietole.

Opera (coming soon)

Una materia prima di grande qualità, la cottura millimetrica , precisione millimetrica nella cottura, la salsa all’uva conferisce un tocco di dolcezza e acidità.

St. Hubertus

I peculiarissimi primi piatti di Norbert Niederkofler sono, ciascuno a modo suo, un piccolo calembour: fruttato di uva spina lo spaghetto freddo, gioca con le acidità come solo il maliardo della Val Badia riesce a fare.

Inkiostro

L’arte in cucina di Terry Giacomello e questo piatto iper complesso, che fa dell’uva una marinatura, e dunque la presentificazione dell’assenza.

Zia

La personalità di Antonio Ziantoni è evidente, in questo piatto in cui sapienti tocchi che arricchiscono di sfumature l’ingrediente principale allungando, intensificandola, la persistenza dei piatti.

Trippa

Continua a rieditare la tradizione senza troppi tecnicismi e tanto amore per la materia questo piatto, che riprende un grande classico delle conserve domestiche.

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