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È un semplice piatto di pasta… è cucina italiana

di Alberto Cauzzi

Ritorno al futuro, e la sua ricetta

Prendiamo spunto da una riflessione di questo periodo sulla direzione che sta prendendo l’alta cucina italiana e, per estensione, tutto il movimento gastronomico, per introdurvi una nostra nuova creatura, sottoporvi, con essa, una riflessione, e regalarvi, infine, la ricetta di un piatto di pasta.

L’analisi della ristorazione italiana contemporanea può sintetizzarsi nella metafora della giacca del cuoco: tirata per il bavero dai paladini della tradizione e del territorio – termini tanto generici quanto insignificanti se non contestualizzati – conservatori di una presunta identità italiana e del suo mantenimento a tutti i costi da un lato,  bistrattata dall’altro dai paladini dell’avanguardia: amanti della stravaganza fine a se stessa e perciò vuota, priva di direzione e di contenuto e spesso logora da un punto di vista imprenditoriale e, per taluni versi, anche creativo.

L’uno per l’altro rappresentano il male della ristorazione: imputati parimenti colpevoli di promuovere modelli assurdi e inconsistenti in nome dell’avanguardia così come della stagnazione più paludosa e inane.

Sarà che siamo critici, fatto sta che crediamo in un atteggiamento laico e, di conseguenza, più equilibrato e inclusivo possibile: un atteggiamento che si identifica con la famosa locuzione latina in medio stat virtus la quale, in becero volgare, vuole che l’occhio attento della critica moderna, ma a maggior ragione anche del pubblico, si rivolga con equanime disposizione d’animo tanto alle tradizioni e al territorio della cultura culinaria italiana quanto alle reinterpretazioni della stessa: è del resto solo così che, in taluni casi, nei casi più felici, invero, la tradizione si proietta nel futuro. E oltre.

Il laicismo del critico: le implicazioni

Questo pensiero contiene infinite sfumature e accoglie, per sua natura, la pluralità espressiva di un linguaggio culinario contemporaneo assegnando pari dignità tanto al cuoco fedele alla tradizione che opera, magari, di buona di lima sulle ricette di un tempo, quanto a colui che, fedele ai propri principi e alle proprie basi, proietta nella contemporaneità o, addirittura, oltre, una ricetta, un grande prodotto, un dogma della tradizione, evolvendolo.

Il filo conduttore per entrambi deve essere uno e uno solo: il prodotto che, frutto dell’elaborazione, deve auspicabilmente implementare il suo livello di apprezzamento, posto che anche il concetto di bontà presenta a sua volta implicazioni complesse come la freschezza, la tecnica di manipolazione, l’assenza di additivi e di sofisticazioni chimiche, l’estro e, ultimo ma non ultimo, un certo amore: una cura.

Poi, tra le risultanze appartenenti al mondo del buono, e con pari dignità, possiamo pure contemplare la grandissima elaborazione di una tagliatella al ragù così come un altro piatto di pasta proiettato, invece, come un dardo verso il futuro. Un piatto di pasta, sì, può contenere passato, presente e futuro della cucina italiana.

Ecco quindi che, per noi, i Camanini, i Baronetto, i Romito, i Bottura, gli Alajmo, i Crippa, i Santini, i Cerea, gli Esposito, i Cuttaia, gli Uliassi, i Pinchiorri, e potremmo continuare oltre, sono diverse facce della stessa medaglia: facce di un grande movimento, quello della Nuova Cucina Italiana, che guarda in entrambe le direzioni tante sono le digressioni verso il passato quanto più veementi le sue proiezioni verso il futuro.

Passione Pasta

È stato comprendendo questa moltitudine di significati, e questo duplice, fecondissimo orientamento contenuto nella pasta, che abbiamo cominciato a immaginare uno spazio interamente dedicato a essa e che abbiamo chiamato Passione Pasta, dove cercheremo di dare conto dell’infinito livello di complessità, anche semantica, di questo  manufatto, simbolo della cucina italiana.

E di cui vi diamo un assaggio con gli spaghetti pensati e realizzati da Silvio SalmoiraghiCheolmyeok Choi all’Acquerello di Fagnano Olona. Qui, l’incontro con l’inusuale, con l’avanguardia si fonde con l’omaggio al grande, indimenticabile Maestro Gualtiero Marchesi, impastando della stessa materia gustativa l’alto col basso, la miseria con la nobiltà.

Come il cacio e l’amido, qui portato a una temperatura inusuale, ruffiani e avvolgentemente grevi, ad arrotondare il profilo spigoloso e gustativamente estremo della radice di liquirizia e dell’arancia amara mentre la menta, balsamica, assieme al succo di cipollotti funge da conduttore del gusto, estensione del medesimo. Il gioco è fatto: la contemporaneità è servita con un brodo di crostacei e tè bianco, in accompagnamento a parte.

Il piatto di pasta simbolo della cucina italiana, gli spaghetti bianchi, virginali e quasi intonsi, sono proiettati in un futuro gustativo che, risultando contemporaneo, pesca nella memoria di ognuno di noi.

Omaggio a Marchesi: Lo spaghetto assoluto

La ricetta

160 g spaghetti dei Monti Sibillini
1 succo di arancia amara
4 g menta in foglie
4 g di origano secco
1 radice di liquirizia
il succo di un cipollotto di Tropea
20 g pecorino romano

Brodo di scampi
1 kg teste di scampi
100 g radici di prezzemolo
50 g porro
10 g tè bianco
5 g pepe in grani
5 g chiodi di garofano
2 spicchi d’aglio
q.b. sale grosso
q.b. acqua

Preparazione:

Per il brodo di scampi inserire tutti gli ingredienti in una pentola a pressione, tranne le teste degli scampi. Lasciar cuocere per circa un’ora. Aprire la pentola e metterci sopra un velo di pellicola; lasciar riposare per una notte in frigorifero, in modo da ottenere un’infusione. Il giorno successivo, riportare a ebollizione il brodo con le teste degli scampi per circa 20 minuti. Filtrare il tutto con l’etamina, all’ultimo momento aggiungere le rimanenti teste di scampo tritate e gli scarti della polpa. Chiarificare con pochissimo bianco d’uovo e foglie di tè bianco.

Per la pasta, pelare l’arancia amara a vivo, far appassire con pochissimo olio extravergine d’oliva fino a ottenere una composta di arance amare. Pulire il cipollotto, frullarlo, ed estrarne il succo a freddo e conservarlo in frigorifero. In un piattino grattugiare il pecorino. Lavare e tagliare la menta a julienne. Cuocere la pasta in abbondante acqua salata e raffreddare, fino a portarla a una temperatura di 30°c. Condirla con pochissimo olio extravergine di oliva del Garda. Sul fondo di una fondina, grattugiare pochissima radice di liquirizia. In un angolo, disporre un cucchiaino di confettura di arancia amara, all’opposto il pecorino con sopra la menta a julienne e il succo di cipollotti. Posizionarvi sopra la pasta.

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