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Asparago

di Leila Salimbeni

O, della primavera

Stagionalità e tipizzazione sono le due caratteristiche dell’asparago nazionale e, considerata la prolificità delle tante zone vocate e la rosa dei rispettivi tempi di maturazione, anche in questo caso la nostra bella Italia non si smentisce.

L’asparago è la verdura di coloro che professano la stagionalità. È la verdura della primavera per antonomasia, la cui nemesi è rappresentata dalle crespelle agli asparagi mangiate nelle case degli italiani durante la Vigilia di Natale” ammette sorridendo, e non senza una punta d’amarezza, Sergio Fessia, cultore in materia, titolare di Ortobra e selezionatore di frutta e verdura per Eataly.

Terzo produttore dopo Stati Uniti e Francia, in Italia resiste un gremito ventaglio di biotipi – bianchi, bianco-verdi, rosa, violetti – la cui coltura è eseguita ancora rigorosamente a mano, senza gli ausili della moderna meccanizzazione possibili, invece, per i cugini verdi. Per non parlare, poi, dei tanti asparagi selvatici che si fanno strada nelle campagne del centro Italia.

Tra il bianco e il verde, il punto di qualità

Volendo istituire una dicotomia che, come tale, è sempre una semplificazione, diciamo che in Italia albergano due tipi di asparagi: uno parte verde e parte bianca, e un altro, un asparago nuovo, “che stanno mettendo a dimora a suon di grandi investimenti, soprattuto in Puglia e in Maremma, tutto verde. Il fatto che sia uniforme nel colore non significa affatto che sia più tenero; anzi, l’asparago bianco-verde, che appartiene a una famiglia antica, ha una tenerezza superiore rispetto a quello tutto verde; tenerezza che si ritrova esattamente nel punto di intersezione tra i due colori, prima della lignificazione del bianco” .

“Il suo punto di qualità – continua Sergio – è difatti la tenerezza. Una caratteristica che si riflette nella sua consistenza dopo la cottura che, al netto delle parti legnose, non deve mai essere filamentosa quanto, piuttosto, burrosa. Parlando, invece, della estremità superiore, detta turione, questo deve essere turgido, brillante e non opaco, e la sua punta chiusa perché, se ramifica, significa che l’asparago non è di prima scelta.

Nel determinare, però, gli standard qualitativi per l’asparago bianco-verde la legge vuole che vuole che la parte bianca non sia superiore al 50% dell’asparago. “Il ché è strano visto che, comunque, sono ormai ammesse varietà monocolore.

Asparagi a pieno campo

Per sua natura, l’asparago ha bisogno di un terreno molto sabbioso e ricco, ricchissimo d’acqua. “S’è recentemente scoperto, per dire, che l’asparago cresce bene dove crescono le cipolle bianche, come nella zona di Foggia.” Quanto alla sua coltivazione, appartengono alla tipologia “a pieno campo” gli asparagi non coltivati in serra: i primi arrivano dalla Sicilia, che è una zona di primizia in fatto di frutta e verdura, perché è più a Sud. Risalendo lo Stivale ce ne sono pochissimi in Calabria, molti in Campania, tantissimi in Puglia e in Maremma e, dunque, a Ferrara, nel Delta del Po, per finire nel nord Italia, dove gli asparagi acquisiscono peculiarità uniche in fatto di colore e di dimensione.

Dopo quelli siciliani i primi asparagi, già i primi di febbraio, arrivano dalla Sardegna che, dalla sua, ha anche una lunga tradizione di asparagi selvatici, che crescono spontaneamente ai margini delle campagne coltivate o, comunque, semi-abbandonate. “Si tratta di un asparago lungo e fino, molto piccolo di diametro,  molto intenso di sapore, ottimo da consumare cotto.

Quanto alla Puglia, qui incominciano a trovarsi asparagi a pieno campo da inizio marzo a inizio giugno: la coltivazione è intensiva, ci sono centinaia di ettari dedicati e, pertanto, è necessario l’ausilio delle macchine che, tra le altre cose, ne selezionano il calibro: questo è il regno dell’asparago verde, che è anche il più conveniente da un punto di vista economico e produttivo.

FOCUS: L’asparago autunnale

L’asparago ha, però, anche un suo fiorente mercato invernale e, pertanto, se non si apre la strada agli asparagi sudamericani, in autunno ci si può avvalere di asparagi nostrani, che sfruttano alcune caratteristiche naturali delle asparagiaie delle colture intensive pugliesi. “L’asparagiaia consta di fatto di un reticolo di radici sotterranee le quali producono un bulbo che, quando raggiunge una certa altezza, viene reciso per essere messo sul mercato: questo è l’asparago che tutti noi acquistiamo. Ma se, invece, al posto di recidere lo stelo lo si lascia crescere, la pianta diventa un arbusto alto fino a un metro. Essendo, la vita produttiva della pianta di asparago di circa nove anni, arrivato l’ultimo anno di vita della pianta e dopo averne raccolto i frutti, in giugno la si lascia crescere a piacere, prima di trinciarla e di irrigarla a volontà. Cosa succede a questo punto? Che la pianta farà un’ultima gettata di asparagi, tra ottobre e novembre, dopo la quale l’asparagiaia va rifatta da capo. Così, in modo naturale, ovvero sfruttando semplicemente una tecnica agricola, si è scoperto come ottenere l’asparago autunnale.

 

Tornando, però, alla nostra primavera, in Campania sopravvive una produzione di asparagi molto ricca, che contempla sia quelli di tipo bianco-verde che viola, anche detto “rosso”. In Maremma, poi, ci sono due tipi di coltivazioni, quello tipo Puglia, tutto verde, che trova qui un habitat ideale essendo, essenzialmente, la Maremma molto sabbiosa, e quello bianco-verde.

A Ferrara – “in particolare a Polesine e tutta la provincia di Rovigo, ovvero nel Delta del Po – c’è tanta sabbia quanta acqua: un habitat ideale per l’asparago, che qui prospera nel momento in cui comincia a declinare la produzione meridionale per via del troppo calore.

È in Pianura Padana, però, che cominciamo davvero a sbizzarrirci: si trovano qui i Bianchi di Bassano, tali perché completamente ipogei e quindi al riparo dal fenomeno della fotosintesi clorofilliana che dona all’asparago il tipico colore verde: si tratta di asparagi molto pregiati – e molto tradizionali – per tutto il Nord-est. Molto particolari, poi, anche quelli piemontesi, come gli asparagi di Santena e, in particolare, delle Terre di Pianalto, dove sopravvive una tradizione e una cultura – oltre che coltura – incredibile, tale da aver suggerito ai ristoratori della zone l’usanza dell’asparagiata: il rito primaverile di tutte le famiglie torinesi, che ci bevono assieme fiumi di Grignolino.

A 13 km da Milano, poi, c’è quello che Luigi Veronelli considerava il miglior asparago d’Italia “e, considerando che li conosceva tutti – puntualizza Sergio – c’è da credervi.” È l’asparago Rosa di Mezzago, l’unico asparago italiano che, pur condividendo col Bianco di Bassano la stessa tecnica di coltura, è perfettamente rosa e di una tenerezza “celestiale”.

Se Santena è l’asparago di Torino, Mezzago dovrebbe essere l’asparago di Milano. E questo sebbene la maggior parte dei milanesi lo ignori.

Siamo quindi arrivati al Violetto di Albenga: “siamo nella zona a destra della conca di Albenga, quella più sabbiosa, dove ci sono Ceriale e Salea. In questa zona, dove fanno buono il Pigato, c’è questo asparago che, come il Pigato, è figlio delle sabbie calde di Albenga. Si tratta di asparagi rarissimi, coltivati ormai da pochissimi contadini superstiti che hanno sottratto i loro appezzamenti di terra alla speculazione edilizia.” Decise le sue peculiarità: molto precoce, dalla Liguria veniva spedito anche in Inghilterra dove si dice che fosse caro alla Regina d’Inghilterra. Ha grosso calibro e il suo colore, viola intenso, è figlio di un patrimonio genetico che ai  20 cromosomi degli altri asparagi ne oppone 40: per questa ragione il Violetto di Albenga non può incrociarsi né, di conseguenza, imbastardirsi.

Asparagi “di serra”

È arrivato dunque il momento di dire che gli asparagi non vengono quasi mai coltivati in serra perché il suo effetto, aereo, è inutile all’asparago la cui vita si sviluppa principalmente, come detto, sotto terra. Per questo motivo, soprattutto nel caso dell’asparago verde, sono oggi contemplate delle pratiche che consentono, mediante dei tubi interrati dove scorre acqua calda, di coltivarli artificialmente. Questo spiega, tra le altre cose, perché molte delle asparagiaie più vocate trovino dimora in corrispondenza di sorgenti d’acqua termale, come accadeva fino a poco tempo fa nella zona di Vulci, della Tuscia viterbese.

Ciò premesso, tuttavia, si sappia l’asparago che sortisce da questo tipo di coltivazioni che, ricorda Sergio, “può essere sostenibile e non sostenibile” non è affatto differente dall’asparago a campo aperto se non per via del fatto che è molto più precoce, visto che germoglia a partire da metà febbraio.

L’asparago – precisa – è una di quelle verdure la cui fascia di prezzo risente moltissimo del fattore primizia.

Ok il prezzo è giusto

E, a proposito di prezzo e di primizia, si sappiano allora due cose: a determinare il costo dell’asparago sono il calibro e, soprattutto, il clima. “Una sua peculiarità, difatti, è che l’asparago è un prodotto molto meteoropatico: se il clima – per via del freddo, come in questi giorni – inibisce la sua proliferazione, il prezzo va alle stelle. Al contrario, se si beneficia di un clima mite e costante, il prezzo sarà nuovamente congruo. Il prezzo dell’asparago, dunque, è un buon indicatore meteorologico, visto che ci dice qual è stato il clima, non solo economico, della regione da cui proviene, che ne determina aumenti fino e oltre il 50%, passando da 2 € al mazzo anche fino a 6 €.

La differenza tra nord e sud vista dall’asparago

Per concludere, non ci facciamo mancare nemmeno stavolta una considerazione di carattere geopolitico: come già ampiamente detto, l’asparago rappresenta una delle prime, se non la prima verdura che, sul finire dell’inverno, poteva essere raccolta dall’uomo. “Immaginatevi, ora, un agricoltore del nord Italia che, nato nel Novecento, usciva dall’inverno senza aver raccolto – e quindi senza aver guadagnato – assolutamente nulla. Ebbene, per lui l’asparago rappresentava la prima fonte di guadagno sicura: i primi soldi freschi dell’anno: questo è quello che è successo a Santena.

Ecco perché, soprattutto nel nord Italia, la produzione dell’asparago è oggi configurata a mosaico: ovvero è frammentata in tantissimi e piccolissimi produttori, differentemente da quanto accade al Sud dove, invece, l’agricoltura dell’asparago si è sviluppata in forma intensiva – e dunque professionale – e certamente a posteriori rispetto alla vocazione frammentata, famigliare e, per certi aspetti, amatoriale, del Nord.

In collaborazione con Ortobra.

Per una dietrologia sull’asparago cliccare qui.

Per approfondimenti sul carciofo cliccare qui, qui e qui.

* In copertina Édouard Manet (olio su tela) 1880, Musée d’Orsay, Paris.

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