Passione Gourmet L'asparago - Passione Gourmet

L’asparago

di Giancarlo Saran

Una dietrologia

Oramai la sua immagine prevalente è quella più nobile, ovvero del bianco turione, così si chiama la sua parte emergente, frutto di un lungo percorso… erezionale dalla terra alla luce del sole.

In realtà le tracce storiche di questo prodotto affondano le radici nei secoli. Si dice, infatti, che fosse già conosciuto in quella Mesopotamia dove si immaginava essere il Paradiso Terrestre. Ben noto alle tavole degli antichi egizi, come poi dei greci, considerato simbolo di fertilità con i romani che ne favorirono la coltura, tutta la Penisola e non solo divenne terra dell’asparago tanto che Plinio il Vecchio, nel suo De Agricoltura, lo descrive come l‘erba più coltivata nell’orto e Apicio, nel De re coquinaria, ne fa lauta menzione.

Durante le invasioni barbariche, però, venne tacciato di riferimenti demoniaci: s’immaginava infatti ch’esso sorgesse dalle corna del montone traforate e sotterrate, per la bisogna.

Linneo, il botanico svedese che, nel ‘700, volle dare un ordine scientifico all’universo vegetale, animale e fungino, lo definì officinalis in quanto la sua pianta, che poteva erigersi alla luce del sole anche per un metro e oltre, andava bene, sotto forma di decotti e altro, come terapia a malattia artritiche, diuretico, depurativo e financo come succedaneo al mal di denti per non parlare, poi, delle supposte proprietà afrodisiache che gli vennero attribuite a corte: Luigi XIV, il Re Sole, e Napoleone III ne erano ghiotti e pare se ne servissero anche in cosmesi, sotto forma di creme e maschere tonificanti.

Di tutto e di più, quindi, considerato come, all’interno del centinaio di varietà di questa pianta, vi siano pure le versioni decorative, grazie a ramificazioni che possono arrivare a estensioni sino a tre metri.

Il bianco turione: l’asparago del Nord

Leggenda vuole che, perlomeno in Italia, la sua scoperta sia avvenuta per caso, tra i campi di Bassano del Grappa, verso la metà del ‘500. Dopo una furiosa grandinata, tutto il raccolto sembrò andare perduto, tanto che i contadini, disperati, andarono a cercare sottoterra se qualcosa, nel frattempo, si fosse salvato e fu allora che scoprirono il bianco turione, ovvero la pianta dell’asparago che, solo dopo essere uscito alla luce del sole, assumeva un colore via via più verde, grazie alla fotosintesi, e una riduzione del suo diametro, frutto di un progressivo indurimento delle sue pareti più esterne. L’asparago bianco era più buono, più dolce, meno fibroso e, soprattutto, si poteva consumare tutto, una volta separato dalle radici poste sottoterra, naturalmente. Era l’epoca in cui, per anni, presero la via della Valsugana, verso il Concilio di Trento, legioni di prelati e canonici che, nelle soste bassanesi, presero a esserne i primi promotori “turistici”.  

Il resto è storia di oggi. La primavera coincide con l’esplosione della coltura dell’asparago bianco che vede l’Italia terzo produttore, dopo Stati Uniti e Francia, pur se da noi la coltura del turione goloso viene ancora eseguita rigorosamente a mano, senza gli ausili della moderna meccanizzazione come invece è possibile, ad esempio, per il cugino verde.

Ancora oggi gli utensili usati, dalle sgorbie per estrarlo alla radice, come il frattone per ricompattarne il terreno dopo la raccolta o l’In-Macador, una specie di stampo di legno rotondeggiante usato per dare forma ai vari mazzi, sono ereditati dall’uso antico di generazioni.

Pur se l’immaginario collettivo vede coincidere l’asparago bianco con la zona di Bassano del Grappa, nel vicentino, diverse sono le enclave di produzione nell’alta Italia. Si va dal varesotto dove, nel comune di Cazzone (ribattezzato poi Cantello, con regio decreto nel 1895) il parroco, per finanziare le opere parrocchiali, metteva all’asta presso i suoi concittadini (che adesso si chiamano cantellesi) i prodotti del territorio: asparagi e filatura del lino in primis. Grazie ai relativi proventi fu elevato di alcuni metri l’antico campanile di Santa Maria di Campagna, che campeggia orgoglioso nelle fascette dei prodotti per l’asporto, ancora oggi.

Ma è presente anche nel Trentino, nelle zone di Terlano e Zambana, con colture che, sin da fine ‘800, hanno visto le asparagiaie inserite tra i filari dei meleti, giusto per ottimizzare, a terra, il drenaggio dell’acqua, considerato il fatto che gran nemico della coltura dell’asparago è l’eccesso idrico con relativi ristagni di umidità che ne compromettono il prodotto. Se poi la coltura è esposta ai venti del pedoclima circostante, la quadratura del cerchio è perfetta.

E la stessa cosa vale per le enclave friulane, Tavagnacco su tutte, dove da quasi 80 anni si celebra la festa del bianco turione, nata quasi per caso ad opera di Zolio Zanussi, un botanico che gestiva una casa di cura per reumatici che individuò l’asparago più come medium terapeutico che come complice compagno di peccati di gola, anche se i turioni friulani erano ben noti, comunque già da fine ‘700, alla corte viennese grazie a Maria Teresa d’Asburgo. Un realtà questa in cui l’asparago riuscì nel miracolo di scalzare addirittura la coltura della vite che, in Friuli, è tutto dire… con la goliardica tradizione popolare che narra dell’invio di giovani donne lungo l’asparagiaia di buon mattino, per favorire la crescita dei turgidi turioni, con contorno di frizzi e lazzi conseguenti.

Tuttavia è nel Veneto che l’asparago bianco ha la sua cassaforte storica di produzione che, nel tempo, si è affinata non tanto per numero, ma per qualità complice la ricca rete idrogeologica che ha permesso, in diverse realtà, di conciliare gli umori della terra con le necessità della pianta. Si va dal veronese, anche qua iniziando dalle Vallate dell’Alpone per scendere poi verso Arcole e Custoza, laddove la coltura dell’asparago si è affiancata alla coltura della vite, sempre nell’ottica di drenaggio ottimale dei terreni.

Oppure nella Bassa padovana, dove la stagione di raccolta è più generosa che altrove, posto che le acque termali, opportunamente veicolate, hanno esteso il calendario produttivo che, per tradizione, è collocato tra il 19 marzo (San Giuseppe) e il 13 giugno (Sant’Antonio). Generose pure le terre trevigiane che, tra le sorgenti del Sile e le grave del Pieve, danno luogo ha due prodotti ricercati tra Badoere e Cimadolmo. Entrambi con marchio IGP, nel primo, oltre all’oasi naturalistica del Parco del Sile, il circuito promozionale vede protagoniste anche molte ville d‘epoca, aziende agricole del tempo, tra cui le palladiane Villa Emo e Cornaro mentre, più a nord, attraverso la Strada dell’Asparago Bianco si valorizzano terre che, oltre agli scenari della Grande Guerra, hanno molto altro da raccontare.

Resta però l’asparago di Bassano del Grappa il protagonista riconosciuto, il più citato nella storia e nell’arte. Dai padri conciliari di Trento in poi, questi furono protagonisti, nel ‘700, grazie alla Cena di Emmaus di Giovanni Battista Piazzetta come nelle stampe di Remondini (storico editore) e negli archivi della Repubblica Serenissima, che ne favorì in tutti i modi la coltivazione e lo sviluppo assieme alla locale arte ceramica con tutta una serie di supporti conviviali, dai vassoi ai piatti riccamente decorati.  Ma più vivo che mai lo si ritrova nel ’900 tra le pagine di Addio alle armi di Ernest Hemingway o di Giovanni Comisso che, con sagacia e goliardia tutta veneta, raccontò dei gioiosi banchetti in cui “gli uomini indicano ambigui alle donne i migliori da accoppiare con le uova sode”. Asparagi, sulla cui forma l’antologia goliardica si è sempre prestata a interpretazioni infinite come quando, nel 1922, per celebrare il settecentesimo dell’Università di Padova, gli studenti bassanesi si presentarono con il labaro comunale laddove l’asparago era stato posto a sostituire, tra i due leoni d’ordinanza, l’antico torrione dalle merlature ghibelline.

Resta il fatto che pochi prodotti come l’asparago bianco si prestano, per la loro versatilità, a chiavi di lettura golose e infinite. Dal classico maritarsi con uova, olio, sale e pepe, ad altri giochi di squadra, tra paste e risotti, come intriganti (e inaspettate) zuppe, ad esempio con le trippe; carni diverse della stalla come della pesca, sia di acqua dolce (trote, pesce gatto, luccio) che di laguna (dalle capesante alle moeche, cioè i granchi resi morbidi nella fase della muta). Asparagi eclettici pure abbinati al foie gras o a svariati dessert, dal cioccolato bianco così come il gelato di asparagi che sta benissimo coi pistacchi.

Per non parlar dei vini, dal classico Vespaiolo di Breganze o il trevigiano Incrocio Manzoni fin su, a rossi come il Merlot o il più vernacolare Raboso.

Insomma sugli asparagi, autentico oro bianco della terra, si può discutere senza mai annoiarsi, basta sedersi a tavola e gustarli, nella stagione giusta.

Come farlo correttamente, poi, ci ha provato a insegnarlo il Conte Nuvoletti nella sua indimenticata serie Rai Le buone maniere. Pur se è vero che gli asparagi si possono armeggiare con le apposite pinzette dedicate per portarli alla bocca, il tutto si può fare anche con le mani perché, in fondo, è nella “bona grasia”, cioè nel gesto sobrio e garbato che sta il senso del bien vivre.

* In copertina dettaglio del Cesto di frutta con mazzo di asparagi, 1630, Louise Moillon

  

Lascia un commento

La tua email non sarà pubblicata. I campi obbligatori sono contrassegnati *