Passione Gourmet Carciofo - Passione Gourmet

Carciofo

di Leila Salimbeni

Vita, morte e miracoli del primo tra i fiori eduli: il carciofo

Acuminati (spesso), serrati (nel migliore dei casi), belligeranti sempre, o quasi, fatta eccezione per le tornite, materne mammole tanto simili alle peonie, il carciofo è, del resto, propriamente un fiore e, come tale, si concede il lusso di essere esigente.

La più pretenziosa tra le verdure nazionali, a dirla tutta, che Sergio Fessia – titolare di Ortobra nonché colui dal quale passa tutto l’ortofrutta d’alta gamma dello Stivale (e oltre) –  definisce “la verdura dei professionisti“. 

L’habitat

Una verdura che trova, manco a dirlo, proprio nel nostro Paese la sua patria elettiva: una nazione-giardino dove, complici alcune peculiarità pedo-climatiche, la sua stagionalità è molto dilatata: tradizionalmente da dicembre a giugno.

Quanto al clima, bisogna subito premettere che il carciofo ama il freddo: come il carciofo bianco di Pertosa (ma si trova anche ad Auletta, Caggiano e Salvitelle, in provincia di Salerno) che, oltre alla peculiare resistenza alle basse temperature, vanta un insolito colore argenteo associato alla proverbiale, straordinaria delicatezza.

E come accade nel regno della vitivinicoltura e precisamente per l’uva, si sappia che anche il carciofo abbisogna di essere temperato mediante l’azione di provvidenziali sbalzi di temperatura: escursioni  tanto consistenti da permettergli di sviluppare quella proverbiale tenerezza che lo rende così caro al palato nazionale.

Un carciofo che non abbia beneficiato di queste escursioni o che arriva in tavola fuori stagione si riconosce perché – spiega Sergio – al posto del cuore tenero, sviluppa una lanugine polverosa, non di rado allappante. 

La verdura dei professionisti

Da un punto di vista merceologico la specie si divide in base alle sue precipue destinazioni d’uso: a crudo, preferibilmente a crudo, cotto, preferibilmente cotto oppure da conserva, ovvero da mettere sott’olio.

È il carciofo stesso a dare precise prescrizioni circa il suo consumo, e in maniera così circostanziata che sulle sue caratteristiche morfologiche ha forgiato la cultura materiale locale e le rispettive micro-economie.

Quello da mangiare crudo è, tendenzialmente, un carciofo spinoso, e lo spinoso vanta principalmente due zone di produzione: la Sardegna (col Campidano e la Valledoria, in provincia di Sassari) e la piana di Albenga, in quel di Savona, in Liguria.

Quella del Campidano è la zona che produce per prima e la sua produzione risente in maniera ingente degli elementi atmosferici, spesso anche molto estremi.  “Ma chi acquista un Campidano – interviene Sergio – non deve porsi il problema della componente estetica perché, come detto, il freddo, che è tanto importante per la sua corretta maturazione, tende a screpolarne le brattee più esterne.”

Un carciofo bellissimo non è dunque, necessariamente, un carciofo buonissimo, mentre un carciofo buonissimo è  quel carciofo che abbia introiettato le caratteristiche del suo terroir, ivi compresa la violenza del clima. Per questa ragione, ovvero per l’ingannevolezza del suo aspetto, il carciofo è considerato “la verdura dei professionisti, per cui diventa essenziale saperne riconoscere la qualità”. Come? “Benché screpolato all’esterno, un gambo dritto e virile e un bulbo serrato saranno, di norma, le caratteristiche più eloquenti.

Inoltre, è d’uopo sapere che “il carciofo che va bene crudo va bene anche cotto, ma quello che va bene cotto – continua Fessia – non va bene crudo. Non c’è, insomma, reversibilità tra le sue caratteristiche.

Se il Campidano raggiunge la sua acme entro la fine di dicembre, tra febbraio, marzo e aprile comincia a produrre, finalmente, la zona di Albenga: “Siamo in uno dei luoghi più belli e più vocati per quanto riguarda l’agricoltura – ci spiega Sergio – un luogo dove le coltivazioni cambiano completamente il proprio profilo organolettico a seconda di dove ci si trova. Qui, dovendo restringere ancora l’obiettivo, la zona più vocata e considerata come un Super Cru è quella di San Fedele, patria di escursioni termiche eccezionali anche nei mesi di marzo e aprile.

Nel mese di giugno sboccia poi il carciofo tenero per antonomasia: si chiama Sorì, come l’omonimo Cru del Barbaresco, nelle Langhe, e cresce nell’area dell’Astesana collinare delimitata dal fiume Tanaro e dai torrenti Tiglione e Belbo. Sono carciofi di una tenerezza straordinaria: da sfogliare appena appena, hanno le brattee color verde cinerino striate di violetto.” 

Quanto al cotto, è tutto un altro mondo, ed è un mondo più meridionale che raggiunge la sua acme in Lazio, col cariciofo alla giudia che, non a caso, “è una mammola prodotta proprio nella regione in questione. Si tratta di un carciofo tondo e massiccio, non molto tenero ma reso croccante all’esterno e soffice all’interno dalla frittura.” 

Ciò premesso, qualora si pensasse di associare l’assenza di spine alla cottura, si cadrebbe in errore: “Nella provincia di Menfi fino a primavera resiste un carciofo spinoso tradizionalmente consumato sulla brace dai contadini della zona e, questo proposito, una precisazione è necessaria: non esiste alcuna gerarchia qualitativa tra crudo e cotto: un carciofo da consumare cotto non è inferiore a uno da consumarsi crudo” ma si tratta, come detto, di costumi alimentari sedimentati e dettati semplicemente dall’ergonomia dell’ecotipo di riferimento.

Quanto al carciofo da conservare, infine, “ne esistono di due tipi, spinoso e non e proprio quest’ultimo segna, di norma, l’ultimo raccolto. I carciofini sott’olio non sono, infatti, altro che germogli e, come tali, sono delicatissimi e risentono di un unico problema, ovvero la disidratazione. Per questo motivo debbono essere raccolti e lavorati in non più di 24 ore.

Come i carciofi violetti di San Luca (BO) – la cui stagione va da metà maggio a metà giugno – che però si prestano a interpretare diversi prodotti trasformati anche grazie ai loro carducci, ovvero ai polloni in eccesso, staccati dalla pianta in autunno e in primavera durante la cosiddetta “scarducciatura“.

L’anti GDO 

In generale, quello che vale per le 24 ore del germoglio vale anche per il carciofo adulto, che non resiste se reciso più di una settimana.

Nel tempo, sono state selezionate delle varietà per la GDO che consentono un buon compromesso tra conservazione, produttività e qualità, come il Thema, che è un carciofo senza spine di grandi dimensioni molto adatto alla cottura.

Apollo, invece, è coltivato con successo a Battipaglia, in Campania, somiglia alla mammola ma non ne ha lo spessore né la carnosità.” 

Nelle selezioni per la GDO si cerca sempre di emulare il prodotto di alta qualità, incrementandone, però, il livello produttivo.

E benché il mercato del carciofo sia, in Italia, molto importante, vista la assoluta delicatezza del prodotto e la cura di cui abbisogna quello del carciofo è uno dei pochi mercati ancora in mano a professionisti. Per conservarsi, infatti, il carciofo ha bisogno d’acqua, il ché sovverte completamente le regole di un mercato che – come invece accade, per fare un esempio, con le mele – ha imposto una filiera che contempla anche più di un mese di tempo tra produttore e consumatore.

Il carciofo no, richiede un’attenzione e una cura costanti, e tutte manuali, da parte della filiera.

Un’altra cosa, poi, molto interessante nell’evidenziare la natura diciamo intimamente sovversiva del carciofo è che rappresenta una delle poche verdure che non può essere coltivata in idroponica: “il carciofo ha bisogno della terra e, di conseguenza, del terroir.

Ciò ha implicazioni importantissime: non solo, infatti, il carciofo si farebbe promotore di un movimento che vede consegnare alla verdura la stessa dignità acquisita, poniamo, dall’uva destinata alla produzione del vino: “ma permetterebbe anche di regolamentare per legge le differenti tipologie, di modo che il consumatore sappia precisamente se quello che sta acquistando proviene da una coltura idroponica oppure no. 

Si sarà capito, insomma, che il carciofo è una verdura particolare e non è un caso che quello spinoso sia, nello specifico, uno dei prodotti meno venduti dalla GDO e ciò accade perché “la GDO vive di standardizzazione, di automazione della filiera: due elementi che il carciofo non sopporta, e dove esige, non a caso, di essere interpretato e trattato di conseguenza.

Un carciofo in politica estera

Nella sua intima natura, inoltre, il carciofo sancisce la differenza tra un consumatore italiano e un consumatore europeo: “ciascuno di noi, infatti, vanta nel proprio DNA una memoria storica in fatto di agricoltura, e questo sebbene il nord Europa abbia imposto standard qualitativi che oscurano questa nostra memoria, visto che contemplano solo il criterio estetico.

Per fare un esempio efficace, tornando alla nostra mela, in Italia è noto che quanto più è rugginosa all’esterno tanto più risulta dolce al palato; eppure, se vai a vedere la classificazione di quella mela secondo la griglia europea scoprirai che essa è considerata – ingiustamente – di seconda categoria.

Ecco, per ragioni storiche è accaduto che la Spagna si sia adeguata a produrre esclusivamente frutta e verdura aventi gli standard – estetici – imposti dal nord Europa: come le fragole. Noi italiani, invece,  dando per scontato che “buono” fosse una categoria vincente a priori abbiamo perso molti mercati e imparato a nostre spese che il palato, più sensibile ma più sottile della vista, deve essere educato. 

Oggi, finalmente, la percezione sta cambiando: se negli anni ’80-’90 questo approccio ha privilegiato la Spagna adesso, con la montata crescente della cultura alimentare, cui è associato un affinamento del gusto, si sta favorendo l’Italia.

Si sta consumando, insomma, una rivoluzione dei consumi di cui proprio il nostro carciofo può essere considerato, e a buon diritto, la vera mascotte.

 In collaborazione con Ortobra

* In copertina, “Estrema Protezione” di Renato Marcialis.

 

1 Commento.

  • Andrea Bellizzi26 Marzo 2021

    Articolo veramente interessante. Si parla poco di prodotti ortofrutticoli ed ancor meno di carciofi che sono un elemento di grande importanza nella nostra cucina soprattutto di quella regionale. Grazie per questo approfondimento

Lascia un commento

La tua email non sarà pubblicata. I campi obbligatori sono contrassegnati *