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Osteria alla Chiesa

di Giancarlo Saran

Alla tavola di Claudio Gazzola, il golden boy del “musso”

Come è strana la vita. Uno nasce golden boy naturale e la sua vita è indissolubilmente legata all’universo asinino. È vero che Claudio Gazzola ha lasciato presto l’alberghiero, senza completare gli studi, ma c’era un perché. Troppo forte quell’istinto naturale che lo portava a impugnare il mestolo come un Claudio Abbado di pignatte, alla ricerca dell’armonia perfetta. Con il raglio dell’asino di sottofondo. È solo apparentemente un gioco di parole. È sostanza. Claudio è nato a Riese Pio X, meglio noto come il paese che diede i natali a Giuseppe Sarto, passato alla storia come Pio X; ma Riese gode anche, nel suo terroir, di una fama pari a Siena. Cambiano solo gli zoccoli. A Siena sono puledri di razza. Qua, nella campagna veneta, il Palio dei Mussi è giunto oramai al traguardo del trentennale. Ma non è neanche questo il punto. La famiglia di Claudio era titolare di uno storico mulino le cui macine erano azionate dalla paziente fatica quotidiana di umili asinelli che, a fine carriera, venivano onorati, a futura memoria, alla mensa delle maestranze, sottoforma di stracotti e spezzatini.

Difficile sfuggire ad un imprinting del genere e, forse anche per dare memoria alla ragliante tradizione familiare, ha debuttato nell’agone culinario trevigiano con una linea di menù che risultava oramai abbandonata dai più, alla rincorsa di altri equilibri, tra pregiati filetti e costate di Sorana o giù di lì. Autodidatta per vocazione, Claudio ha affinato il suo talento grazie a Davide Filippetto, neostellato dell’alta padovana che, a suo tempo, era stato allievo di mestolo di Ivano Mestriner, astro nascente del terzo millennio in quella Badoere che ha lasciato molti palati infranti. Dal 2009 Claudio ha posto radici a Monfumo, un colle più in là di quella Asolo dei cento orizzonti decantata da Giosuè Carducci e tra i cui portici si sono aggirati volti quali Robert Browning e Freya Stark, per non parlare di Eleonora Duse.

Ci si diverte ai quattro palmenti

L’entrata è familiare, si sbircia la cucina e si pregusta già che qua si scatenerà la cilindrata gastrica come a Le Mans. In sala Giada Bergamin è ottima ambasciatrice del suo Claudio, il quale già vi preannuncia che, sì, c’è il menù alla carta, ma ci sono anche “La ragione”, “per comprendere il nostro pensiero” e “L’istinto”, “secondo impeto e ghiribizzo della casa”. Per chi ancora non lo conoscesse, si materializza il paron de casa e il gioco si chiude. Occhio sbarazzino q.b., sorriso trascinatore, chioma da scapigliatura serenissima e, forchetta in resta, non guardate più l’orologio. La cucina di Claudio è estro, fantasia e tecnica come a Maranello. L’impiattamento richiama alle sculture edibili, con relative sorprese. Sono piatti che prima ti fermi a guardare, immortali con megapixel a futura memoria, e poi li rendi parte di te, le mucose riconoscenti.

Dopo una sarda in saor fatta a modo suo il raglio d’esordio è la tartare d’asino, pane stirato e castagne. Pare fare il verso a uno strudel capitato per caso tra le entrée. Gusto e sostanza. Ma è solo il genio naturale di chi, per primo, sa che è inutile tirarsela troppo sul serio. Piatto canta e così è, ad esempio, con gli gnocchi di polenta, brodo di pop corn (sic) e stracotto d’asino. Il quale appare, impercettibile, nel sottofondo, per nulla in imbarazzo. Ma poiché Claudio sa che con noi la carta bianca è automatica, ecco capitarti un “istinto” a sorpresa, ovvero una martondea con crema di patate e arancia fermentata. Meriterebbe, da sola, la stella gommata. Per i non autoctoni, la martondea è una frattaglia “cenerentola”; una sorta di polpetta conciata con quegli avanzi di rottamazione suina che nessuno vorrebbe (polmone, trachea, roba del genere). Tuttavia anche questa “cenerentola suina” può diventare una principessa come nessuno. A Claudio non serve il “bisturi cosmetico” di un Pitanguy dei fornelli. La materia prima, con lui, viene esaltata nature. Il suo è genio puro. Obligado. Si prosegue a fatica, nel senso che si procede per esclusione, in quanto si vorrebbe assaggiare un po’ qua e un po’ là. Ci si consola, quindi, con degli spaghetti con sangue di vitello, kimchi e uvetta passa fermentata. Equilibrio, gioia e poesia. Il resto è conseguente. Cuore di musso con verza macerata e patate croccanti. Colpito e affondato.

Claudio è uno psicologo nato e, per mondarvi dai sensi di colpa, vi porta una tazza che neanche da bimbi quando era tempo di caffelatte e cartella prima di andare a scuola. Latte (di asina) e cereali, in un gioco di volumetrie che vi fa sorridere senza pensare alle kilocalorie immagazzinate nel frattempo. Merce rara, il latte d’asina, che pochi producono, della durata di pochi giorni, ma che vale la candela. Anche perché, nei reparti di pediatria, il latte d‘asina è il miglior succedaneo del latte materno per i neonati con intolleranze al lattosio. Insomma, qui alla Chiesa è come se foste a casa vostra e senza prendere i voti, con l’assoluzione ai vari peccati di gola che, innocentemente, siete portati a espiare, per devozione golosa.

Tornare? Anche domani.  

OSTERIA ALLA CHIESA

Via Chiesa, 14
31010 Monfumo (TV)
Tel. 0423 969 584
info@osteriaallachiesa.com

Aperto dal giovedì al lunedì, 12:00-14:30 e 19:30-22:30 e il mercoledì 19.30-22:30
Tutto martedì e mercoledì a pranzo chiuso

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