Marconi

VALUTAZIONE

Cucina Moderna

16/20

PREGI
Una cucina sempre più autorevole, e autoriale.
La bellezza della sala.
La carta dei vini.
DIFETTI
L’ermetismo di alcuni piatti.
Quasi tutte le portate sono al cucchiaio.

L’arte gastronomica di Aurora Mazzucchelli

Arriva al nostro tavolo sorridente, Aurora  Mazzucchelli, illuminata dalla luce caravaggesca studiata da Davide Groppi per il Ristorante Marconi portato a nuova vita, dopo una sapiente ristrutturazione, due anni fa. 

L’ambiente è lineare, circadiano nella sua alternanza di luci e ombre: e questo è tanto più evidente la sera, quando l’oscurità dilaga nella sala tranne che nei suoi punti focali, i bei tavoli tondi e, adesso, il bel viso della chef che, stasera, appare niveo e disteso nonostante i preparativi fervano, ammette, per l’imminente passaggio dal menu primaverile a quello estivo. Nomen omen, pensiamo, di fronte a lei che, oggi, è una persona pacificamente, razionalmente conscia di sé. Quasi beata, verrebbe da dire. Lo stesso mix di leggerezza e cerebralità lo ritroviamo in piatti che sono talvolta sfogo, talvolta fuga, e che di lei tanto rivelano quanto, allo stesso tempo, celano.

Non è capace, Aurora, a fare di conto, spesso manco glielo chiede, ai suoi fornitori: “a queste cose pensa mio fratello Massimo”, ride.  Lui è analitico, selettivo, anche sui vini – e vivaddio! pensiamo – sfogliando una carta finalmente libera dai vincoli dei blasoni, abbastanza ampia, abbastanza profonda in termini di annate e con ricarichi contenuti, per giunta.

La ispezioniamo, questa carta, torturando un mazzo di grissini: all’origano i bianchi e alla carruba i bronzei, buonissimi. Il pane, dalla mollica aerea, è prodotto col grano Verna dal vicino Forno Mollica della stessa famiglia Mazzucchelli. Arrivano anche dei piccoli benvenuto dalla cucina: il soffice su soffice di ricotta vaccina e sedano rapa; il croccante su croccante di un asparago di Bassano e crema di nocciole, quindi la polpettina golosa e sussiegosa di maionese e paprika dolce e, a chiudere, una spuma golosa, un po’ lasciva, di melanzane, grano e prugna.

I paesaggi nel piatto

Come un demiurgo Aurora fonde, elabora, crea, attingendo dal dentro e dal fuori, mescolando alle ricette le proprie pulsioni, al proprio subconscio la materia prima. Una seduta di psicanalisi, si direbbe, ma con cautela, perché c’è maturità in questa fuga, progettualità in questa evasione.

Da un punto di vista figurativo, ci sono i paesaggi, soprattutto. C’è l’Atlantico minaccioso e roboante che, nella sua furia, si scatena sugli ultimi scampoli di ecumene in quel lembo di terra chiamato Capo Finisterre. E poi c’è un campo d’erba, di un verde tenero di clorofilla, sul ciglio della strada, dove dopo un acquazzone primaverile è tutto un arrampicarsi placido di lumache. Chiamateli pure antipasti, se volete, ma in effetti sono trompe-l’œil come a dire “guardate!”. Delle lumache, soprattutto, abbiamo apprezzato il brivido balsamico dell’abete a enfatizzare la sensazione di umidità terrosa, limosa e lacustre, nobilitata da un roux preciso e dalle pepite di Parmigiano Reggiano.

Capo Finisterre, invece, è uno spaghetto di piovra, brodo di piovra, percebes, limoni di mare e germogli di senape nera, un poco stordente. Qui, differentemente che per le lumache dove ogni elemento concorreva a un’unica suggestione, a un unico disegno, è la giustapposizione a prevalere e, in definitiva, la successione peccaminosa e talvolta stridente degli odori, degli umori del mare. Eppure, inaspettatamente, si tratta anche di un piatto delicato, squisitamente retrolfattivo e cerebrale, donde il mare arriva, benché potentissimo, in maniera indiretta.

Le suggestioni psichiche

Deflagranti i Cappelletti ripieni di faraona su un brodo di triglia, ragù di fegato di rana pescatrice, timo e capperi. Un cappero, a essere precisi, che di questo piatto è il vincolo, la grammatica emozionale di un’aromaticità dosata col contagocce, perfetta col Pinot Gris alsaziano scelto dalla carta di Massimo.

Tanto ben eseguiti da rimandare al giorno della Comunione e, comunque, a un giorno di festa, i cappelletti deflagrano in un balsamo dolce e ferroso, slanciato e dilavato da un brodo che conserva, nella sua provvidenziale diluizione, nel suo aroma terso e nella temperatura, appena più che tiepida, le virtù  corroboranti del consommé. Un piatto che evoca una fuga da scuola o la sensazione di scivolare via dal letto, in una notte d’estate, per andare a vedere le stelle al mare, che profuma di libertà e serba in nuce lo squisito brivido della trasgressione. Quanto al vino, si diceva, il Pinot Gris 2009 Vieilles Vignes di Zind-Humbrecht, finalmente, si schiude: al netto di una complessità certamente evidente l’abbiamo trovato finora un po’ monolitico, finanche un poco avaro; finora, appunto, perché con la sua sensazione di idromele, di fiori bianchi, camice inamidate e vecchie ciprie la suggestione si fa tanto potente quanto anche incontenibile!

La seconda portata, poi, è la quintessenza dell’amore della strega Grimilde per le frattaglie, per il sangue, per la carne: nella fattispecie, la dolcezza di un Diaframma bovino adagiato su un letto di alghe rosse, burro francese, cialda di riso e caviale: un piatto tanto ematico quanto, inaspettatamente, delicatissimo. Ecco un altro segreto della cucina di Aurora: sovvertire le aspettative, divertirsi a disattenderle, anche, tanto da trovare pace e clemenza là dove invece ci si sarebbero aspettati schiaffi e rimbrotti, e viceversa. 

Quanto ai dolci, anticipati da un’ecumenica mousse di yogurt con briciole di cantuccio, vi ritroviamo tanto il diavolo quanto l’acquasanta: la bimbetta infantile, la cocca di papà che mangia un dolce canonicamente dolce, ancorché pungente. Limone su limone candito e meringa al limone, e poi il complicato, cerebrale e terroso Cioccolato, bietole, eucalipto e cardamomo. Un dolce diversamente dolce, tanto potente nelle sue suggestioni da farci sentire improvvisamente trasformati in creature australi, come koala, da questa maga Circe di nome Aurora.

La galleria fotografica:

 

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Picture of Leila Salimbeni

Leila Salimbeni

In famiglia si ritiene che abbia ereditato il palato del nonno Adorno, col quale ha imparato ad amare il vino e a fare colazione con pane, burro e pasta d'acciughe. Perfino le sue prime parole furono parole di gusto: precisamente, il rifiuto di mangiare i biscotti inzuppati nel latte, di cui detestava la consistenza. Una presa di posizione sul mondo, commestibile e non, che dopo una laurea in linguistica la porta a Bologna dove, con una tesi specialistica, decide di applicare la Semiotica Strutturalista alla cucina di Massimo Bottura. Correva l'anno 2010: da allora, non ha mai smesso di scriverne.

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VALUTAZIONE

Cucina Moderna

16/20

PREGI
Una cucina sempre più autorevole, e autoriale.
La bellezza della sala.
La carta dei vini.
DIFETTI
L’ermetismo di alcuni piatti.
Quasi tutte le portate sono al cucchiaio.

INFORMAZIONI

PREZZI

Menu degustazione 70€ (5 portate), 90€ (8 portate).
Alla carta: antipasti e primi a 25€, secondi a 30€, dessert a 15€.

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