Valutazione
Pregi
- Un locale di qualità.
- La simpatia dello chef.
Difetti
- L’ingresso, decisamente l’ingresso.
Quando il concierge del nostro hotel ci ha consegnato il foglio della prenotazione di Shima siamo rimasti allibiti: una cartina ben definita, con particolari oltre ogni ragionevole immaginazione, addirittura la foto dell’ingresso con una grossa freccia che recitava “Entrance just before Tully’s coffee shop”. “Ci avranno preso per Totò e Peppino in trasferta a Milano?” abbiamo pensato con presunzione. Ma dopo una decina di minuti, sicuri di essere davanti al posto giusto e senza la minima idea di dove fosse il ristorante, magari avessimo incontrato un vigile a cui offrire un accorato “Noio volevan savuar …”.
Già perché l’imprescindibile caratteristica che accomuna la maggior parte dei ristoranti di Tokyo, ovvero un mimetismo camaleontico che può provocare pericolosi stati di ansia ad un gourmet incapace di orientarsi, qui è portato all’eccesso. Timorosi siamo scesi con l’ascensore al piano B1, chiaramente indicato nel premuroso vademecum, ma davanti a noi le porte si sono aperte svelando uno sgabuzzino di un metro quadro, buio e ricolmo di scatoloni. “Ma non può essere qui” abbiamo pensato. Ebbene sì, quello era l’ingresso. E non lo avremmo varcato se un timido commis non avesse aperto per caso il pertugio d’accesso alla nostra sinistra.
Superato lo stupore, eccoci da Shima, indirizzo noto in città per l’eccellenza delle sue carni. Manabu Oshima ci accoglie con un sorriso e una buona parlata inglese. Ha girato molto in Europa, ha acquisito un atteggiamento non usuale da queste parti, cordiale, affabile, curioso, compiacente. Ci accomodiamo al bancone, l’esperienza si rivelerà estremamente piacevole.
Shima è un indirizzo ideale per un percorso iniziatico nel mondo della cucina nipponica: senza l’eccessiva rigidità di altri locali, qui si respira un’aria quasi “internazionale” e “casual”, lontana da quel clima di religiosa ostentazione spirituale che abbiamo imparato a conoscere nel Sol Levante.
Il menù è ridotto all’osso: pochi piatti d’entrata (pesce e verdure), poi il pezzo forte della casa, la carne. E’ proposta in due versioni, Beef Sirloin e filetto: lo Chef prima di procedere alla loro preparazione ci mostra con orgoglio i grandi tagli di questa prelibatezza. In pochi gesti i nostri golosi bocconi sono tagliati, conditi e pronti per essere accolti nel forno a carbone di legno di quercia. La nostra preferenza andrà al Sirloin, più saporito e consistente del filetto, e forse più corrispondente ai nostri gusti europei.
Tra una chiacchiera e l’altra il pranzo scorre via veloce e divertente, con Manabu Oshima che regge una conversazione veramente gradevole. Forzati dalla nostra bulimica fame d’informazioni gli chiediamo maggiori dettagli sulla provenienza e sulla qualità della carne di KobeRazza di bovino la cui carne viene considerata una prelibatezza gastronomica giapponese. È un wagyu (bovino giapponese) di manto nero della razza di Tajima, allevato nella Prefettura di Hyogo, l'antica Provincia di Tajima, in Giappone. Questa razza fa parte della "razza nera giapponese" che comprende altre razze simili allevate a Tottori, Shimane e Okayama. Il manzo di Kobe è rinomato... Leggi che ci ha servito. Per levarsi dall’imbarazzo ci fornisce la scheda di provenienza dell’animale, con tanto d’impronta del naso, ma completamente in giapponese e del tutto incomprensibile.
Lo ringraziamo lo stesso. D’altronde sapere proprio tutto, alle volte, non è affatto necessario.
Manabu Oshima all’opera sulle entrée.
Mise en place atipica con olive e panini.
Il nostro goloso obiettivo.
Inizia la preparazione.
Taglio del Beef Sirloin e del filetto.
E via nel forno.
In attesa una buona insalata di stagione.
Il Beef Sirloin, a cui va la nostra preferenza: texture e succulenza splendide.
Il filetto. In entrambi i casi, l’accompagnamento alle carni è più europeo che nipponico, con verdure e purè.
La scheda.
La mappa…