Una chicca. Uno di quei posti ancora poco noti (ma il passaparola si sta diffondendo velocemente) da consigliare agli amici.
Ci è piaciuta tanto, questa Casetta Magli.
Ad iniziare dalla location, un bel casale di campagna finemente ristrutturato a Pianoro, sui Colli Bolognesi. Aria buona, panorama, grandi spazi dove i bambini possono giocare in tutta sicurezza in un’area a loro dedicata. E chi ha bambini piccoli, ma non vuole rinunciare ad uscire a mangiare (bene) in un ambiente confortevole, sa di che valore aggiunto stiamo parlando.
Non c’è la carta, ma un menù fisso di 7 portate a 20 euro, che cambia ogni settimana. E per i bimbi, un menù di 3 portate a 10 euro.
Si, avete capito bene: 7 portate a 20 euro. Prezzo incredibile davvero che, in aggiunta al fatto che il locale nasce per fare grandi numeri (si superano ampiamente i 100 coperti), non ci faceva onestamente sperare in nulla che fosse degno di nota.
E invece la qualità della cucina è stata la nota sorprendente.
Sette portate senza un errore. Cotture, temperature, abbinamenti, tutto impeccabile. Certo parliamo di cucina semplice, materica (in parte del territorio ma anche no), ma eseguita con professionalità e, si vede e si sente, tanta passione.
A dire il vero si tratta di una sorpresa fino ad un certo punto, dal momento che lo chef patron, Axel Casali, coadiuvato in cucina dal socio, il bravo Enrico Cavedon, è tutt’altro che sprovveduto. Ottima tecnica di base e, cosa che non guasta mai per un cuoco, notevole palato.
Il risultato è che si mangia davvero bene, in un ambiente piacevolmente rilassato, con un servizio sorridente ed assolutamente efficiente e tempi di servizio perfetti.
Il pane, fatto in casa, è molto buono e nella nostra esperienza si è tramutato in un’irresistibile Michetta al ragu, tanto per iniziare.
Ma meritano una citazione anche una parmigiana di melanzane scomposta davvero di ottimo livello e uno spaghettone aglio, olio, habanero su fonduta di pecorino, succulento e fantasticamente al dente.
Se poi la sera non si ha voglia di tornare a casa non è un problema: Casetta Magli è anche Bed & Breakfast, ed è quindi possibile pernottare in una delle tre stanze, anch’esse finemente ristrutturate, e godere al risveglio di una buona colazione in cui non mancherà mai qualche ottimo dolce fatto in casa.
Insomma, un indirizzo da segnarsi in agenda e da tenere assolutamente presente se si vive a Bologna e dintorni, o anche semplicemente se si è di passaggio in zona… provare per credere.
Golosa Michetta al ragu.
Crema di ceci, salsiccia e rosmarino.
Parmigiana. Davvero buonissima e leggera.
Uovo al tegamino con crema di piselli e crema di parmigiano.
Spaghettone aglio, olio, Habanero su fonduta di pecorino. Goduria.
Guancia di maialino friulano con salsa di prugne.
Panna cotta.
La bella cucina a vista.
Matteo Tambini e Davide Fiorentini sembrano avere la bacchetta magica: altra apertura, altro grande indirizzo da segnare in agenda.
I due creatori del brand “’O Fiore mio”, dopo l’apertura a Milano Marittima di un locale gemello della casa madre faentina, hanno scelto Bologna per la loro nuova impresa.
Un format diverso però dai due predecessori: questa volta la protagonista è la pizza in teglia (detta anche “alla romana”), quindi il locale è ovviamente molto diverso dai due romagnoli (da cui il nome, “Pizze di strada”).
La pizza si compra a peso e si può portare via o anche mangiare in loco, dato che sono a disposizione dei comodi tavolini e un piccolo dehors nella bella stagione. Apparecchiatura self service, si sceglie una delle buone birre presenti nei frigo e si aspettano i tranci scelti scaldati al momento.
Evidente l’ispirazione al Maestro assoluto della pizza in teglia, quel Gabriele Bonci che a Roma ha riportato in auge questa tipologia di pizza.
Qui all’impasto vengono dedicate dalle 24 alle 48 ore e la farina è una tipo 2 del Molino Mariani, già utilizzata per uno dei tre impasti disponibili a Faenza.
La qualità dell’impasto è assoluta, così come gli ingredienti posti a farcitura, senza lesinare sulle quantità. Il risultato è una pizza ottima, croccante fuori e morbida e ricca di alveoli dentro.
Si potrebbe curare di più l’interno del locale, che risulta un po’ confusionario, e proporre con maggiore convinzione alcune degustazioni di pizza, ma sono piccoli dettagli sfocati in un quadro che regala grandi soddisfazioni.
Certo, la vendita a peso, al posto del trancio pre-formato a prezzo fisso, può creare qualche sorpresa al momento del conto (non si sa mai esattamente quanto si stia spendendo), ma per noi è una scelta corretta, perché consente di assaggiare più pizze facendo tagli di piccole dimensioni.
Una idea potrebbe essere quella di proporre delle degustazioni a prezzo fisso: in questo modo il cliente più curioso avrebbe modo di provare diverse tipologie e verrebbe azzerata “l’ansia” da conto finale.
Da poco è anche disponibile per i clienti bolognesi la consegna a domicilio, una comodità di non poco conto.
A due passi da Piazza Maggiore, difficile pensare a una sosta più gustosa.
Il banco.
La nostra scelta:
Caponata siciliana, ricotta affumicata e Origano di Pantelleria: eccezionale, il nostro miglior assaggio.
Margherita.
Mortadella e crema di ceci.
Bresaola, rucola e grana: in seconda posizione, ma staccata di poco.
Prosciutto crudo e bufala: troppo salato il prosciutto dopo il passaggio in forno.
Una vecchia conoscenza, sempre un grande piacere, ideale nel caldo estivo.
E’ questo indubbiamente il periodo delle dissonanze, dell’amaro sfacciato, dell’acido: sono queste le cucine che raccolgono con maggior facilità le attenzioni degli addetti ai lavori (non necessariamente del pubblico, ma questa è tutta un’altra storia).
Le cucine morbide, arrotondate, che poggiano tutto sulla potenza del gusto e sulla qualità assoluta degli ingredienti, certamente convincono, ma arrancano nel guadagnare la luce dei riflettori. Possono raccogliere grandi consensi, ma devono faticare il doppio per raggiungerli.
Agostino Iacobucci subisce un po’ questa situazione.
A Bologna mancava da tempo un ristorante di questo livello e di questa ambizione. Una piazza importante che, per molto tempo, si è specchiata nel suo passato, appagandosi di storia e luoghi comuni.
Non è più così, qualcosa si è mosso e si sta muovendo, e i Portici rappresentano senza dubbio la punta di diamante del rinnovamento della cittadina felsinea.
Una solidità stupefacente quella dei Portici, in tutti i suoi componenti. Niente colpi ad effetto, urla o terremoti gustativi.
Ma una concretezza tremendamente efficace, un viaggio all’interno del sapore degli ingredienti assolutamente convincente.
Si potrebbe cenare a occhi chiusi con la certezza di indovinare tutti gli ingredienti: quel fagiolino sarà un concentrato di sapore, i piselli sembreranno i più gustosi mai mangiati.
Una cucina “quotidiana”, di cui non ci stancherebbe mai, un ristorante in cui, volendo, si potrebbe ritornare settimanalmente. Proprio per l’apparente semplicità della proposta e l’assoluto piacere che regalano queste preparazioni.
La tecnica c’è, ma non si vede, completamente asservita alla riuscita gustativa.
Si può lavorare ancora sulla varietà delle consistenze e sulla ripetitività di alcuni ingredienti (ad esempio i crostacei) ma sono dettagli, anche perché è difficile stancarsi quando ci si trova davanti a ingredienti ricchi (foie gras, astice, scampi) e di tale qualità.
Iacobucci che, ricordiamo, è cuoco giovane che ancora deve raggiungere gli “anta”, può e deve spingere ancora di più nel portare a tavola la sua personalità e le sue idee, nel creare in maniera inequivocabile un suo stile, che permetta al suo pubblico di distinguerlo da tutti gli altri colleghi.
Siamo all’inizio, ma la strada è ben tracciata.
Tenete gli occhi ben puntati su questo cuoco e sul suo ristorante: siamo convinti se ne parlerà molto e bene, nel prossimo futuro.
Davvero ottimo e vario il pane…
…e un concentrato di sapore queste sfoglie al riso: nero di seppia, zafferano, alghe.
Il saluto della cucina è di gran livello:
Crocchetta di baccalà.
Pane, burro e alici, eccezionale.
Spugna di piselli e pecorino.
Macaron di pistacchio e mortadella, davvero perfetto.
Spuma di ricotta di Rosola e pomodori.
Spaghetti in acqua di mozzarella e pomodoro
Scampo imperiale, caviale, maionese al passion fruit, rapa marinata nel vermouth.
Ostrica, gelatina di Campari e mango.
Seppia e piselli versione 2015.
Ascè di seppia, gelato di piselli, olio, caviale, germogli di piselli.
Ascè di gambero rosso, erba cipollina, uovo alla colatura di alici e arance.
Spaghetto con elisir di crostacei, bergamotto e foglia d’ostrica.
Ecco un grande primo piatto: spaghetto di Gragnano molto al dente, bisque di crostacei misti (gamberi, astice, scampi, canocchie) limone ed erba ostrica. Ottimo, per gusto e consistenze.
Tortelli di piselli e astice.
Raviolo di coniglio alla genovese con salsa di provola affumicata di bufala e verdure di campo.
Altro gran colpo, sfoglia perfetta.
Tonno rosso del mediterraneo con cremoso di fagiolini, veli di pomodoro, salsa di pinoli tostati e finta maionese al limone. Ingredienti di gran livello.
Foie gras all’ amarena, mandorla, schiuma di bitter bianco.
Predessert di questo livello non se ne trovano tanti in giro. Moderna classicità.
Kiwi, asparagi, cetriolo, gin, crumble salato e gelato alla capra.
Il babà a tre lievitazioni.
Uno dei migliori babà del globo terracqueo, senza se e senza ma.
Piccola pasticceria.
E’ possibile richiedere un accompagnamento al calice.
(In foto di apertura: Da Muzzicone – Castiglion Fiorentino (AR) )
Diciottesimo appuntamento con il Friday Five! Continuate a mandarci le vostre segnalazioni: brevi, incisive, precise, nel puro stile Friday Five!
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Da Muzzicone
Il ristorante è addossato alla medievale chiesa di San Francesco. La sala è ampia, gli arredi fermi agli anni ‘50-’60, alle pareti tanti “Piatti del Buon Ricordo” e foto d’antan con vedute del paese o di attori intenti a passeggiare per i borghi della zona. Il menù non è degno di nota. Trattasi di cucina classica toscana troppo salata e un pochino imbastardita (perché usare la baguette come supporto del tipico patè di fegato invece del buon pane toscano? Mistero!). Notevole è la braceria, posta in un angolo del ristorante, e la carne, sempre ben frollata e preparata con sapienza. Su tutte le proposte troneggia la fiorentina di chianina. La bisteccona è tagliata al momento, pesata e mostrata al cliente in tutta la sua possenza prima di finire sulle brace. La mia era un chilo e due di sublime bontà.
(Miryam De Rubeis)
P.zza San Francesco, 7, Castiglion Fiorentino (AR)
Tel: +39.0575.658403
L’ottava nota
Finalmente la città di Palermo può vantare un ristorante adeguato, una bella risposta (in prospettiva) ai “campioni siciliani” concentrati soprattutto nel sud-est dell’isola.
Un ristorante di circa 30 coperti che abbina location, qualità delle materie prime (km 0), creatività e tecnica di esecuzione, servizio attento e cordiale.
A due passi dalla Cala, antico porto della città, immerso nel centro storico, L’Ottava Nota ci ha colpito per l’ambiente minimal ma molto coinvolgente, con un gioco di luci che focalizza da subito l’attenzione sui veri protagonisti della serata: i piatti. Il Menù si presenta curato ed incredibilmente ricco di portate, mai banali, sia a base di carne che di pesce: un invito a ripetere l’esperienza. Segnaliamo, tra gli altri, il “Tortino Ottava Nota”: un tortino di riso pilaf speziato su cui svetta uno strato di guacamole e ricci di mare; piatto ben presentato, mix di ingredienti davvero ben integrati da cui deriva una sensazione al palato pulita e netta, insomma un vero e proprio “signature dish”.
Il pescato del giorno presentava, fuori menu, una tartare di “neonata” (novellame di pesce azzurro, tipico della zona): l’essenza del mare, da non perdere. Fra i primi, proposte degne di menzione le tagliatelle con calamari, “tenerumi” (foglie tenere della pianta della zucchina) e ricci nonché i gigli neri con tonno, melanzane, pomodoro fresco e menta.
Lo chef-patron Vladimiro Farina, grazie all’esperienza maturata in Spagna, è riuscito a rivisitare la cucina siciliana in maniera davvero armonica, con uno spartito che va oltre le consuete sette note musicali: e noi l’ “Ottava Nota” l’abbiamo distintamente sentita.
(Marcello Stasi)
Via Butera, 55 – Palermo
Tel: +39.091.6168601
Il Centro
Ricevere tante raccomandazioni per lo stesso locale da tante persone diverse, come prima opzione, data un’area geografica decisamente estesa, non è cosa comune. Evidentemente “espressione della tradizione” ovvero “epistemologia dell’alta langa” è sinonimo de “Ristorante il centro” a Priocca in provincia di Cuneo. L’amore della signora Elide per il suo territorio produce antipasti dal potere evocativo unico, primi da estasi culinaria, secondi da manuale di cucina tradizionale. I fritti un capitolo a parte da non prescindere, mai. La cantina è un annuario della viticoltura piemontese degli ultimi 50 anni, a ben cercare i veri amanti possono trovare un vero tesoro. Un ristorante onesto, sincero e vero, la cui storia, come la racconta il sig. Enrico, non ha eguali.
(Emma De Danieli)
via Umberto I, 5 Priocca d’Alba (CN)
Tel. +39.0173.616112
www.ristoranteilcentro.com/it
Osteria Vini D’Italia
Questo posto esiste ormai da sessant’anni. Prima bar, poi vineria e osteria. Le redini della cucina sono da tempo in mano a Irina Steccanella, giovane cuoca dalla mano felice che dopo tanta gavetta inizia a godere delle sue meritate soddisfazioni. Girava voce che le sue tagliatelle fossero le migliori di Bologna e noi, dopo averle assaggiate, non possiamo che confermare. Non mancano però piatti altrettanto succulenti, come i soavi passatelli in brodo di gallina. Costine di Mora Romagnola da sbocconcellare con cura o una bella cotoletta alla Petroniana tra i secondi. I dolci sono buoni, rigorosamente fatti in casa e meravigliosamente ipercalorici. Tra tutti una zuppa inglese da manuale e la tenerina al cioccolato. Carta dei vini discreta e, ci assicurano, in evoluzione. Si spendono, volentieri, tra i 30 e i 35 euro.
(Marco Colognese)
Via Emilia Levante 142, Bologna
Tel.: +39.051.541509
www.osteriaviniditaliabologna.it
Restaurante Central
La recente esperienza all’acclamato Central di Virgilio Martinez ci ha regalato qualche spunto interessante e molte contraddizioni. A una cucina a tratti efficace, ma senza molti picchi di eccellenza, si contrappone un servizio a dir poco catastrofico. Al punto da chiederci se la San Pellegrino che bevono in Sud America abbia un’alta gradazione alcolica. Dopo aver sollecitato più volte la lista dei vini, ne siamo venuti in possesso soltanto ad antipasto terminato. Nessuna spiegazione dei piatti e, al momento dei dessert, si è materializzata al tavolo una coppa di azoto liquido (supponiamo) all’eucalipto per la quale nessuno ci ha fornito istruzioni.
Circa la cucina, tra gli starters, qualche segnale rassicurante ci è giunto con il polpo e lenticchie, una piacevolissima combinazione di consistenze, sapori e colori, grazie al singolare gusto del patè di olive Botija. Tra i piatti principali, la grande esecuzione del Black Corvina con cenere di cipolla e risotto (perfetto!) alle capesante è stata susseguita dallo sconcertante Amazonian Arapaima, dal gusto tragicamente appeso tra il blando e lo stucchevole.
Senza alcun pre-dessert arriviamo ai dolci. Tocchi di formaggio di capra con una granita (un po’ annacquata e dolcissima) di carota e, per finire, una foresta di cacao composta da gelato fondente da abbinare a degli interessanti crumble (ottimo il fiore andino Yuvo). Piccola pasticceria senza infamia e senza lode, tra cui ricordiamo solo la gelatina al Pisco Sour, cocktail-bandiera nazionale.
Considerati i prezzi, decisamente più alti della media cittadina, rimaniamo con un dubbio e il rimpianto che il Central non possa essere tutto qua. Purtroppo per Virgilio Martinez, ma soprattutto per noi, però, non è da tutti i giorni percorrere 10.000 km per prendere una tale cantonata.
(Azzurra Schicchi)
Ca. Santa Isabel 376, Miraflores, Lima – Perú
Tel: +39.[511]242-8515 / [511] 242-8575
www.centralrestaurante.com.pe/en
(Amazonian Arapaima, un piatto di Virgilio Martinez – Restaurente Central – Lima)
Marzabotto è un paesotto di circa seimila anime ad una ventina di chilometri da Bologna, teatro dei tragici eventi della seconda guerra mondiale che culminarono nella strage perpetuata dai nazisti nel 1944. Oggi è un ottimo punto di partenza per visitare luoghi di interesse storico come Il Museo Nazionale Etrusco e il Parco di Monte Sole, passeggiando per i boschi lussureggianti del circondario.
Qui, nel centro del paese, dal 2010, i due fratelli Lorenzo e Francesco Barsotti, originari di Prato, hanno aperto l’omonima Trattoria Enoteca.
Francesco, sommelier e grande appassionato di vini, sovraintende la sala e naturalmente la cantina, ricca di etichette provenienti da tutto il globo; interessantissima, in particolare, la selezione proveniente dallo Jura o dalla Valle della Loira.
Lorenzo è invece lo chef, giovane e motivato, con esperienze importanti alla Locanda dell’Angelo di Ameglia e soprattutto al Celler de Can Roca, il luogo che ha cambiato per sempre il suo modo di intendere la cucina.
Il locale è molto semplice, spartano, all’apparenza la classica trattoria di paese: pochi tavoli apparecchiati con tovaglie a quadri e, ovunque, casse e bottiglie di vino in bella vista da consumarsi in loco, ma anche acquistabili per l’asporto a prezzo inferiore.
La cucina di Lorenzo è una giusta commistione tra i sapori della sua terra e quelli della terra di adozione, una cucina semplice, ma non banale, realizzata con prodotti di ottima qualità ed un pizzico di fantasia che non guasta mai.
Il menù è quasi equamente diviso fra piatti di terra e di mare.
Nella nostra esperienza abbiamo trovato piatti golosi e ben realizzati, come i tortellini ripieni di capocollo di cinta senese in brodo di maiale, coriandolo e mortadella tostata: ideale trait d’union fra Toscana ed Emilia. O ancora gli eliconi cacio e pepe e rigaglie d’anatra. Altri, invece, meno interessanti, come l’uovo, il succo e la pollastra: un tributo al re del cortile, uovo cotto a bassa temperatura, brodo, polpa e pelle croccante, che ci è sembrato poco centrato nell’idea e poco incisivo nel sapore.
Anche la quaglia, camomilla, broccoli e yogurt è stata motivo di discussione con lo chef per la cottura quasi cruda del petto, ancora sanguinolento, e per la consistenza poco invitante della coscia, anch’essa, secondo noi, eccessivamente indietro di cottura.
Ottimo il dolce “millefiori”, un inno alla primavera e al lavoro delle api, fresco e delicato, adatto alla conclusione di un pasto dai sapori decisi.
Una tappa interessante per chi si trovasse in zona, in primis per una carta dei vini davvero coinvolgente, con bottiglie difficili da reperire e dal giusto prezzo, proposte e spiegate da un giovane sommelier motivato e preparato, ma anche per la cucina, forse ancora in parte da registrare, interpretata però da uno chef giovane, dal carattere forte e dalle idee chiare, consapevole dei suoi mezzi e delle sue potenzialità e con ancora ampi margini di miglioramento.
Il cestino del pane.
Benvenuto della cucina: finocchiona.
L’ovo, la pollastra ed il suo succo.
Tortellini con capocollo di Cinta senese, coriandolo e mortadella.
Eliconi cacio e pepe con rigaglie di anatra stufate all’alloro.
Pezzonia al profumo di brace, ricci di mare, asparagi e liquirizia.
Quaglia, camomilla, broccoli e yogurt.
Millefiori.
L’ottimo vino della serata.