Valutazione
Pregi
- Rapporto qualità/prezzo.
Difetti
- Prenotazioni solo telefoniche.
La moderna limpidezza molisana di Lucio Testa
Sino al 2019, Cercemaggiore era conosciuta come antica “sentinella” dei Sanniti, in quanto paese a quota più alta della provincia di Campobasso. Ma è proprio qui, suo luogo d’origine, che il giovane e imperturbabile chef Lucio Testa, formatosi ad Alma e poi in Francia (al Georges Blanc e da Bernard Fournier) ha deciso di tornare e realizzare una cucina di pregevole fattura. Il suo è uno stile limpido, con passaggi, fondi e salse di scuola d’Oltralpe (luogo al quale è dedicato il percorso l’Anatra Mulard) senza eccessi, mosso disinvolto tra l’amaro, l’acido e il fermentato. Piatti pensati senza voler precludere nulla al territorio molisano e con la volontà di trasmettere, con estrema calma, il suo istinto e la sua opera di ricercatezza, fatta di equilibri e contaminazioni oltre che di qualche sensata spigolosità. Tutto in una visione di conturbante, quanto colta, modernità.
I millimetrici “millemetri”
L’impeccabile servizio accoglie in un ambiente assai signorile, un tempo vecchio granaio, consentendo di scorgere dalle salette ben insonorizzate i territori circostanti, di per sé quasi lunari; a ragion veduta, caratteristica spesso comune ai tratti interni dell’Italia centrale. Ma tutto si ravviva, partendo proprio dai nomi scelti per i menù. Il più articolato “Millemetri”, evoca l’altitudine di Cercemaggiore, volendone rimembrare sapori spesso dimenticati, qui, in continuo movimento. Dopo i vivaci assaggi di benvenuto, giocati su differenti percezioni gustative, un distinto esempio se vogliamo anche di tecnica, è la costruzione della monolitica consistenza della Melanzana e pomodoro. Stratificata come millefoglie e condita con pomodoro sotto cenere, rifinita con una spuma di pomodoro, basilico croccante e un fondo realizzato con patata reidratata. Le Fronne di rosa sono invece il magico ricordo di una pasta fresca tipica molisana, che però abbandona il più classico dei condimenti al sugo di maiale e sublima il palato con una identità “green”; dall’impasto, fatto con ortica e cicoria, al condimento, dove il pesto al levistico (o sedano di monte), col suo sapore leggermente amaro, contribuisce a renderlo armonico. Assurge il primato degli assaggi la Trippa di maiale, proposta con porro bruciato, leggera giardiniera e brodo freddo (con funghi e scorze di formaggio); ensemble di sapori guidati da una lineare complessità, giocata tra temperature, sapidità, scioglievole grassezza e pulizia sul finale, capolavoro anche per gli amanti del quinto quarto. Altrettanto interessante il passaggio più “acquatico” dell’Anguilla alla brace servita con un fondo all’aglio dolce ed erbe di campo, piatto di egregia cottura e presentazione, perfetto nel bilanciamento degli ingredienti.
In chiusura, freschi e non stucchevoli i dessert, mentre la cantina, curata da Sara Di Bartolomeo, è commisurata all’alternanza delle contaminazioni. Una esperienza dalla sensoriale contemporaneità, in un luogo lontano dalle folle, dove il tempo per certi versi sembra sì essersi fermato, ma forse proprio per regalare questa sosta di raffinata e personale piacevolezza, caratteristiche che giustificano ampiamente le ambizioni dello chef Lucio Testa.
IL PIATTO MIGLIORE: Trippa di maiale e brodo.
Interessantissimo…dalla vicina Campania sicuramente lo proverò Grazie
Ci siamo stati nel periodo di Natale, forse il punteggio è anche strettino....? Percorso Anatra Moulard non plus ultra