Valutazione
Pregi
- Cucina endemica che racconta la ricchezza di un territorio poco esplorato.
- Gestione eclettica della proposta che si sposa con il vero spirito dell’accoglienza.
Difetti
- Il dolce: benché fresco e goloso, rispetto al resto, e a differenza del predessert, appare meno identitario.
Una visione olistica
Difficile cogliere fino in fondo la traiettoria di Gianfranco Pascucci ignorandone il retroterra. La connessione pluridimensionale del cuoco con la sua Fiumicino è speciale, trascende il semplice valore affettivo e sfugge così a ogni sintesi meramente razionale. La regione — dalle acque costiere ai porti imperiali, dalle dune di Palidoro all’Oasi di Macchiagrande, aree della più ampia riserva naturale del litorale — nasconde una sorprendente ricchezza e biodiversità, un incantevole patrimonio immateriale che alimenta lo spirito di ricerca dello chef e ne orienta la proposta. Ma la territorialità, oltre che ispirazione e approvvigionamento, è pure incontro e condivisione. E il prezioso lavoro di raccordo svolto fin qui da Gianfranco Pascucci, tra i soci fondatori di una rete di ristoratori e produttori locali volta alla promozione del territorio, ne offre chiara testimonianza. Non a caso, in carta sono presenti assaggi o ingredienti frutto della cooperazione così costruita, provenienti da virtuose produzioni della zona, come il pane di Luca Pezzetta e i prodotti caseari dell’azienda agricola Ammano. Questa visione olistica del ristorante, che volge lo sguardo anche al di là delle onde tirreniche e del pescato, alla scoperta dell’hinterland limitrofo e della sua flora, consente all’autodidatta romano di mettere a punto una delle più brillanti letture della cucina di mare (prima ancora che di pesce). Prospettiva che induce a considerare l’influsso marino sulla vegetazione circostante. E insieme ad essa il salmastro. Non c’è da meravigliarsi quindi se l’universo iodato che accompagna con finezza il percorso si possa riscontrare tanto nelle specie ittiche quanto nelle erbe spontanee raccolte o, addirittura, all’interno di uno yogurt. Coerentemente, la cantina viene arricchita con alcune etichette che per corredo aromatico e apporto salino rispecchiano le vigne a ridosso del mare da cui derivano.
Consapevolezza e sensibilità
L’esecuzione culinaria è certamente un fattore, ma senza una sala all’altezza non si va lontano. La prima nota di merito per Pascucci al Porticciolo è dunque per il servizio: accurato, sobrio, mai pressante. Orchestrato con classe dalla responsabile Vanessa Melis, incarna un modello di accoglienza non ingessato, snellito dei rituali canonici del classicismo stellato, pur conservandone in certa misura l’allure. L’atmosfera distesa che ne consegue trova armonia con le forme e i colori di uno spazio che sembra lasciare la salsedine addosso; cala nelle profondità mediterranee come l’interpretazione del patron: una cucina materica, di carattere, oltretutto impegnata (celebre il suo signature di denuncia Mare di plastica), che si serve del ‘concetto’ per esprimersi al meglio, a partire dall’idea che il pesce — materia delicata — vada lavorato rispettandone le consistenze e il potenziale organolettico. Registro costruito sulla conoscenza capillare del mondo ittico di cui sono risvolto spontaneo la sensibilità e il rigore dei gesti, quanto la precisione nelle cotture (goniometrica quella del crostaceo in Mazzancolle bbq, patate, fagiolini e basilico). Ai tecnicismi si privilegia in ogni caso la pulizia tecnica, oltre che un approccio stilizzato, capace di coinvolgere l’ospite in modo che non si perda dinanzi alla laboriosità di una preparazione. Del resto, Gianfranco Pascucci ricerca il dialogo, non impone un monologo d’autore. La sua predilezione per lo scambio, il desiderio di ridurre le distanze con il cliente meno avvezzo all’alta ristorazione, l’abilità di individuare dei punti di contatto attraverso un’esperienza gastronomica che sappia regalare rotondità confortanti, quasi familiari, sono alla base del processo creativo che ispira ricette come Testa/coda di ricciola.
Evocativo già dal titolo, il degustazione Come è profondo il mare…, mette in luce altre componenti del repertorio, tra cui la destrezza nel dare alla sostanza una “giusta” forma, quel senso estetico che valorizza ciascuna portata, insieme all’intuito per qualche combinazione un po’ più estrosa (Ostrica, acetosellaOxalis acetosella (nome comune Acetosella dei boschi) è una piccola pianta alta fino a 12 cm, appartenente alla famiglia delle Oxalidaceae. Il nome comune della pianta deriva dal sapore acidulo (ma anche aspro) delle foglie usate anticamente come condimento per le insalate e che ricorda appunto l'aceto. Anticamente (nel Medioevo) si usava come condimento. Al pari dell'acetosa arricchisce di sapore... Leggi, granita di cioccolato bianco e tabasco verde). Meraviglioso, infine, lo Spaghettino cotto nel ristretto di calamari, totani in olio al basilico. Con una carica amidacea ridotta, il formato di pasta adoperato diventa puro veicolo di un’intensità sapido-fermentativa tale — qualcuno direbbe umami — che nella sua persistenza manifesta sfumature variegate e complesse, più o meno ‘scure’, seguite in chiusura dal suo retrogusto amarognolo. Questa estrema concentrazione, esaltazione unica di sapore nata dall’incontro tra «l’infuso di calamaro e il ‘burro’ ricavato dai suoi scarti», può fornire lo spunto per una riflessione più generale. Un piatto che mostra le potenzialità di una cucina compiuta, attenta al particolare, eppure meno preoccupata di rispondere a determinati canoni. Un primo vibrante e incisivo nel quale c’è tutto Gianfranco Pascucci; insieme ai pescatori e alla linfa mediterranea, cuore-testa-polmoni di Fiumicino, nuovo eden gourmet alle porte di Roma.
IL PIATTO MIGLIORE: Spaghettino cotto nel ristretto di calamari, totani in olio al basilico.
Magia Ammirazione Incanto Sorpresa... Un' Onda Improvvisa