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La China Clementi

di Thomas Coccolini Haertl

Non di solo vino…

Concediamoci per una volta una divagazione dal tema vino. Se ora volessi rispettosamente parafrasare le Sacre Scritture, partendo da non di solo pane vive l’uomo… (Vangelo, Matteo 4, 4 e Luca 4,4 che si completa con ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio), occupandoci di vino e senza rischiare d’esser blasfemi, oserei dire: non di solo vino… Un pretesto, perché questa volta desidero raccontarvi dell’universo di divertimento puro che da millenni solletica gli esseri umani: liquori e affini. Lo faremo con la China Clementi.

Ma non crediate che siamo tanto lontani dal vino. Certo, da quello contemporaneo probabilmente sì, ma se scavassimo nel passato ci accorgeremmo che i nostri antenati romani, ma anche greci e in generale tutte le popolazioni del bacino mediterraneo ove si è sempre coltivata la vite, amavano dissetarsi e corroborare corpo e mente con qualcosa che oggi sarebbe molto più corretto definire bevanda alcolica, certamente più simile alla definizione contemporanea di vino aromatizzato.

Dal vino-base con un titolo alcolometrico minimo del 10%, i vini aromatizzati sono addizionati di alcol etilico buon gusto, oppure acquavite, quindi zucchero ed estratti naturali o infusi di erbe e spezie come cannella, noce moscata, corteccia di arancio amaro, china, rabarbaro, timo e così via. Persino l’assenzio (Artemisia absinthium) che sappiamo aver fatto storia a sé. In verità si tratta di una categoria allargata già nella terminologia, riferendomi ai vini liquorosi o fortificati che partono da un vino-base con titolo alcolometrico naturale non inferiore ai 12% che poi viene concentrato e arricchito in base alle ricette con mistella, alcol etilico, acquavite di vino e mosto concentrato o cotto. Sono ad esempio vini liquorosi il Marsala, lo Sherry, il Porto e il Madeira, con una storia significativa testimoniata già dal XVI secolo, la cui commercializzazione da parte di armatori inglesi, sintetizzando, ne origina l’esistenza stessa, dato che alcol e zucchero erano i conservanti aggiunti per consentirne il lungo trasporto via mare. Anche l’affinamento qui è un aspetto determinante, come ad esempio il metodo solera, che potremmo riassumere nel passaggio di botte in botte del vino che una volta pronto, nella catasta uscirà da quelle poste più in basso sul pavimento, rimpiazzato via via dalle botti superiori.

Altra cosa ancora sono i liquori che comprendono gli amari. Qui la storia se vogliamo è pari a quella dell’uomo, ma senza esagerare possiamo quanto meno risalire a frati, monaci e alchimisti ritirati nel silenzio dei conventi e monasteri, già dal 1300. Nascono dall’infusione a caldo o con macerazione a freddo in alcol etilico o acquavite di piante, erbe aromatiche e frutti, grani, cortecce e scorze o radici, oppure dalla semplice miscelazione a freddo di oli essenziali, alcol etilico, zucchero e acqua, oppure ancora da un più articolato procedimento di distillazione di un fermentato con l’ottenimento di un liquido ricavato dalla macerazione di frutti o piante erbacee. In particolare gli amari, frutto del primo o del terzo processo descritti, hanno una percentuale alcolica compresa fra i 20 e i 45% Vol. Nascono molto concentrati come medicinali, miscele curative, poi nei secoli sono divenuti soprattutto dei digestivi e basi per tanti cocktail che ci riportano all’attualità.

La China Clementi in particolare, sottotitolata Antico Elixir, è il risultato della miscelazione in parti segrete della china pregiata nelle varietà Calisaya e Succirubra assieme a scorze d’arancia, erbe officinali, zucchero e alcol. Una ricetta del dottor Giuseppe Clementi che risale al 1884, 140 anni fa, creata nella storica farmacia in pieno centro a Fivizzano. Siamo in Lunigiana, in provincia di Massa Carrara, città medicea profondamente segnata dal terremoto del 1920 che colpì pesantemente anche la farmacia. Altro duro colpo fu provocato dai bombardamenti della seconda Guerra Mondiale, lungo la Strada Statale 63 che dal passo del Cerreto scende ad Aulla attraversando Fivizzano.

L’Opificio, andato distrutto, fu per questo trasferito fuori dal nucleo urbano, più a valle in un ex-pastificio che si prestava alle esigenze della produzione di liquori, con tanto di centrale idroelettrica annessa. L’edificio, disposto su tre piani, raccoglie tutte le fasi di lavorazione: lo stoccaggio con i sacchi delle scaglie di corteccia ricavate dalla Cinchona officinalis provenienti da alcuni paesi del sud America, la fase di tritura, seguita dalle operazioni di assemblaggio degli ingredienti con l’alcol, oggi curate negli equilibri direttamente sempre da Lanfranco Clementi, quindi la lunga permanenza in serbatoi di passaggio che fra loro replicano similmente il procedimento soleras. Completano la lavorazione la macchina per l’imbottigliamento ed etichettatura, tutto ancora eseguito con pratiche artigianali, stando nella produzione delle attuali 20.000 bottiglie annue.

All’ultimo piano dell’edificio si trova anche una sala di degustazione dove Federica Clementi, moglie di Lanfranco, ha creato in diretta un piacevole cocktail con succo di melagrana, China, ghiaccio e menta appena colta, estremamente rinfrescante. Assaporata poi liscia, lievemente fresca come si è propensi fare in estate, la China Clementi non perde nessuna delle sue proprietà al naso e al palato, ove l’equilibrio alcolico dei suoi 33% Vol. e l’avvolgente “caramellosa” dolcezza divengono complementari alla iniziale nota bitter, aristocraticamente amaricante. Bevuta a temperatura ambiente, olfattivamente questa China subito sprigiona vapori pungenti, fra fresca erbacea balsamicità e frutto di bergamotto, ovvero lo spettro tipico della Kinia, origine azteca del nome attuale della pianta arborea di Cinchona. Dietro questo scenario, persistono sentori di erbe officinali e caramello che si confondono con note di tamarindo, lavanda e malto di birra. E all’ultimo, con un colpo di coda, arriva persino una misteriosa quanto inattesa fragranza fresca. In bocca la China servita a temperatura ambiente si può definire come una terzina in musica: dolcezza, acidità agrumata e asprezza astringente quanto basta si ripartiscono simultaneamente lo spazio e il tempo in parti uguali sui recettori di lingua e palato.

Fra passato e presente, il Chinino, estratto appunto dalla corteccia della pianta di origine andina, è sempre stato considerato un medicinale, conosciuto per le sue proprietà antimalariche e analgesiche, usato come medicamento dagli spagnoli già nel XVII secolo. Tralasciando in questa sede gli aspetti oltremodo mitologici che ci ricondurrebbero al nome di Cinchona, attualmente il Chinino, con il suo principio attivo di alcaloide, è stato in buona parte sostituito dalla clorochina per la cura della malaria. Come amaro, gustato liscio, già osservando la confezione e la bottiglia con evidenti rimandi al passato, la China Clementi è un ponte fra storia e attualità. Scriveva Indro Montanelli, in una lettera a Clementi per ordinarne alcune bottiglie: “È stato come rituffarmi nelle cose buone e “vere” della mia infanzia”.

Potremmo dilungarci in altri ricordi e rimandi al passato, citando ad esempio la medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911, ma in verità la cosa più significativa, concreta oltre che simbolica, è pensare la China Clementi al presente. Al di là dell’essere un ingrediente essenziale di tanti cocktail internazionali, questo liquore – se preferite chiamatelo amaro oppure ancor più semplicemente china – come postprandiale, estate o inverno che sia, è proprio un godimento puro. Il team di famiglia, oltre a Federica e l’entrante nuova generazione, si completa in farmacia con il prezioso contributo di Nicola Clementi, fratello di Lanfranco. La farmacia Clementi, oltre il mondo della China, è anche quel classico luogo al centro del paese dove tutti si fermano, il tipico riferimento di una cittadina dalle dimensioni umane. Quel luogo, la farmacia con un dottore a cui ci affidiamo, con cui possiamo confidarci. Sentirci protetti. Sentirci a casa.

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