Valutazione
Pregi
- La splendida location.
- La lunghezza temeraria di alcune portate.
Difetti
- Non immediato da raggiungere.
- Il reparto dolci potrebbe osare di più.
Resort, cantina ma anche un interessante ristorante sotto l’egida di Giuseppe Lamanna e Lina Maffia
Quello di Cà del Moro, più che una splendida cantina con vini di notevole qualità, è un microcosmo a sé stante. Usiamo la definizione con cognizione di causa, essendo fisicamente il ristorante inserito nella cornice di una realtà più vasta, all’interno di un piccolo villaggio di origine cimbra ristrutturato per l’occasione, senza tradire la memoria fondante della tradizione. Ci si addentra inerpicandosi per una stradicciola che attraversa i monti della Lessinia e si arriva in una corte capace di accogliere il commensale, già solo al primo impatto visivo, in un mondo più vasto dove pernottare in graziose camere arredate con buongusto e dove effettuare piacevoli degustazioni scoprendo piccole curiosità immersi tra vigneti, della cantina La Collina dei Ciliegi, e allevamenti di cavalli. Merito della famiglia Gianolli che vede oggigiorno in Massimo il fil rouge che collega passato e presente. In tutto ciò emerge la cucina con a capo Giuseppe Lamanna e Lina Maffia, giovani Chef capaci di innestare i natali rispettivamente calabresi e pugliesi in un contesto diverso per vocazione culinaria e vinicola ma non per questo meno predisposto ad accogliere, e valorizzare, una certa universalità di gusti e matrimoni palatali che fanno della classicità un punto di partenza dal quale sperimentare e, in taluni casi, realizzare piatti davvero interessanti. Quattro braccia e due menti che si completano a vicenda, alternando spinte gustative a gusti più vellutati e rassicuranti. Il tutto non togliendo o sminuendo timbro identitario all’uno o all’altra mano esecutiva, ma completando vicendevolmente un percorso strutturato e di piacevole fruizione.
Origini
Alla carta le scelte ricalcano la cultura veronese più conosciuta onorando gli ingredienti, soprattutto vegetali, propri del territorio, ma è con le degustazioni, in particolare “Origini”, da noi assaggiata, che la sperimentazione si inserisce in punta di piedi in una realtà già solida e assestata di cui rilancia nuances che giocano su lunghezze palatali assai importanti. Parliamo del piatto migliore del servizio, Spaghetto all’uovo, ‘nduja, ricotta salata, pomodoro, portata davvero indimenticabile per lunghezze afferenti alla capsaicina del peperoncino senza per questo negare una rotondità generale data dalla concentrazione del pomodoro ai limiti della dolcezza. Un piatto omaggiante la Calabria, certo, ma aperto a rilanci tutt’altro che scontati e universali. In quest’ottica, segnaliamo per contrasto e completamento, sul versante pugliese, la Zuppa di nonna Libera, nella quale l’immediato accostamento di bieta e pomodoro, con cialda di pane raffermo on top, ha rappresentato il legittimo contraltare accomodante, nell’accezione più nobile, del servizio che ha funto da eponimo di un pasteggiamento in famiglia, clima generale che questa tavola vuole risvegliare. Dunque un menù, quello di Lamanna e Maffia, ben congegnato, ragionato e servito, con in mescita, alla bisogna, i vini della cantina della tenuta in grado di innalzare un livello complessivo già di suo di elegante fattura capace, ne siamo certi, di raggiungere traguardi ancor più audaci.
IL PIATTO MIGLIORE: Spaghetto all’uovo, ‘nduja, ricotta salata, pomodoro.