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Il vino rosato in Italia

Vino
Recensito da Adriana Blanc

Un fenomeno in costante crescita

La costante crescita globale dei numeri legati ai vini rosati fa pensare che siano finalmente stati superati gli odiosi cliché del passato. Quei vini “da donne”, ottenuti “mescolando gli avanzi di cantina”, che si acquistano “perché hanno un bel colore” che richiama il tramonto – ché “il momento adatto al consumo è l’aperitivo a bordo piscina” – non esistono più. O, meglio, il machismo e la disinformazione che intridevano l’immaginario collettivo intorno ai vini rosa sono stati via via sostituiti da una campagna di informazione di qualità, tanto che oggi si può affermare senza timore di essere smentiti che chi produce vino rosato secondo i crismi necessari per questo tipo di vinificazione sta vivendo un momento d’oro o, per restare in tema, roseo.

Sì, perché in ogni angolo del globo si registrano dati crescenti ormai da anni. Una tendenza che non accenna a frenare secondo quanto riportato dal Report 2021 – Rosé Wines World Tracking, con un consumo totale che nel 2019 si è attestato a 23.5 milioni di ettolitri: una crescita del 23% rispetto al dato globale registrato a inizio 2000. I maggiori consumatori si trovano in Francia, Stati Uniti e Germania, ma è interessante notare che i maggiori produttori sono Francia, Stati Uniti, Spagna e… Italia.

Le molte tonalità di rosa dello Stivale

L’Italia vanta infatti un’importante tradizione nel campo della vinificazione in rosa e numerose denominazioni sul territorio pronte a testimoniarlo. Se il pioniere fu Leone de Castris nel 1943, con il suo Five Roses – e ancora oggi la Puglia risulta tra i maggiori produttori di vini rosati – le sfumature di rosa sono rintracciabili lungo l’intero Stivale, con una palette che – generalizzando – va via via accentuandosi nel colore da Nord a Sud.

Impegnato da qualche tempo a vigilare sul tema è l’istituto Rosautoctono, raggruppamento consortile fra le principali denominazioni storiche: Chiaretto di Bardolino, Valtenesi, Cerasuolo d’Abruzzo, Salice Salentino, Castel del Monte e Cirò. L’obiettivo dell’Istituto del Vino Rosa Autoctono Italiano è, infatti, quello di diffondere, in Italia e all’estero, la cultura e la conoscenza del vino rosa italiano, inteso quale insieme delle singole specificità territoriali.

L’immenso patrimonio di vitigni autoctoni italiani trova dunque, nel colore rosa, una forma di espressione capace di dare risalto a caratteristiche diverse da quelle evidenziate dalla vinificazione in rosso o in bianco, dunque pienamente autonoma e compiuta, ma soprattutto considerevole di eguale dignità. È sempre bene ricordare in effetti, che nel nostro – e nella maggior parte – dei Paesi è vietata la pratica di mescolare vino bianco e rosso per ottenere il rosato. La sola eccezione è rinvenibile nello Spumante, ma anche qui poco diffusa. Al contrario, la vinificazione in rosa richiede un’attenzione anche maggiore rispetto alle altre e un’idea chiara fin dal principio. Per dare vita ai vini rosati, infatti, fondamentale è la via che si decide di perseguire in cantina, che a seconda della tecnica scelta darà luogo a vini dallo stile molto diverso.

La vinificazione in rosa

Il punto di partenza è lo stesso per tutti, la pigiatura delle uve a bacca nera, dalle quali si ottiene il mosto. Dopodiché si utilizzano le tecniche della pressatura diretta, della macerazione breve e del salasso. Tecniche che incidono sulla quantità di sostanze estratte dalla buccia e quindi, semplificando, sul colore e sugli aromi del vino.

Nel caso della pressatura diretta l’uva di partenza rilascia un succo che estrae appena un po’ di colore dalla buccia – dalla quale viene subito separato -, quindi si procede alla vinificazione in bianco del mosto che apparirà di colore rosato tenue. In alternativa è possibile optare per la macerazione e quindi lasciare il mosto a contatto con le bucce per poche ore o per giornate intere: i ‘vini di una notte’ macerano per un tempo che va dalle 6 alle 12 ore, quando la durata è invece di circa 24 ore si parla di ‘vini di un giorno’.

O ancora si può optare per la tecnica del salasso, utilizzata in Francia per la produzione dei cosiddetti ‘vini saignée’, che prevede il prelievo di una parte del mosto di uve rosse dalla vasca di macerazione – che presenta una concentrazione maggiore di colore e aromi, simile a quella del vino rosso, ma il cui colore risulta più chiaro a causa dell’interruzione del procedimento -, quindi la prosecuzione della vinificazione in bianco.

Due strepitosi autoctoni vestiti di rosa

Oggi in Italia si contano sempre più vini rosati dal forte carattere identitario, frutto di vigne di altamente vocate e meticolose pratiche di cantina. Un esempio a nord e uno a sud è sicuramente individuabile nelle aziende Ronchi di Cialla (Friuli-Venezia Giulia) e Palmento Costanzo (Sicilia), cantine votate al sacro vincolo della qualità.

Venezia Giulia IGT Rosato ‘Rosedicialla’ 2021 – Ronchi di Cialla

100% Refosco dal Peduncolo Rosso
Per la vinificazione di questo vino si comincia con una macerazione sulle bucce di 18 ore, a cui segue una pressatura molto soffice. Il mosto fiore così ottenuto fermenta in vasca d’acciaio a temperatura controllata, quindi affina sulla feccia fine per quattro mesi (con batonnage tre volte alla settimana). Il risultato è un vino dall’intenso color rosa cipria, che al naso sprigiona note di ribes rosso e pompelmo e in bocca spicca per l’evidente freschezza. Di grande persistenza, la bella sapidità di fondo ne accentua ulteriormente la piacevolezza.

Etna Doc Rosato ‘Mofete’ 2022 – Palmento Costanzo

100% Nerello Mascalese.
In questo caso le ore di macerazione sulle bucce sono soltanto 8, dopodiché si prosegue con la fermentazione in acciaio, sosta sulle fecce fini per quattro mesi e altri due mesi di riposo in bottiglia. Si ottiene così un vino dagli intensi riflessi ramati, che al naso richiama la violetta, la fragolina di bosco e le erbe di campo. Piacevolmente sapido, al palato si scopre una bella freschezza e una lunga persistenza.

*Entrambe le etichette sono distribuite da Sagna Spa.

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