Le Clarence

VALUTAZIONE

Cucina Moderna

17,5/20

PREGI
Una grande maison che sa far convivere grandeur e imprevedibilità.
La qualità e varietà di materia prima utilizzata lascia sbalorditi.
Il prezzo dei menù del pranzo.
DIFETTI
Le tempistiche del servizio.
Sarebbe interessante vedere l’aggiunta di qualche passaggio “in sottrazione”.

Le Clarence e Christophe Pelé: la “tensione” tra due stili

Le Clarence è l’ambasciata gastronomica e d’hôtellerie del Principe Robert Dillon di Lussemburgo, a Parigi, la cui famiglia è altresì a capo del Domaine Dillon che, da pochi anni, ha acquisito un’icona enologica qual è Château Haut-Brion. Su tali presupposti è facile farsi un’idea del contesto in cui si colloca il ristorante: una grande maison, che trasuda classicismo. Tuttavia, con una brillante intuizione, alla guida della cucina è stato posto Christophe Pelé, cuciniere dall’attitudine irriverente, divenuto celebre ai tempi de La Bigarrade, ristorante che proponeva una cucina di mercato – con una costante commistione tra materia alta e bassa – e menù in perenne divenire (come testimoniato dalla scheda redatta a suo tempo da Roberto Bellomo). Nella tensione e perenne ricerca di equilibrio tra queste due “anime” – ciascuna, a tratti, sembra prevalere sull’altra – sta il fascino di Le Clarence, in quel desiderio di sdrammatizzare e strappare alla prevedibilità un’offerta gastronomica che potrebbe sembrare ostaggio del contesto. Peraltro, nonostante la partenza di Giuliano Sperandio – a cui è stata affidata la guida de Le Taillevent -, questa icona della cultura parigina conserva un profondo legame con il nostro paese poiché Andrea Capasso – già passato per le cucine del Lido 84 – è il nuovo sous chef e Aurora Storari guida la pasticceria. Per inciso, è d’obbligo segnalare qualche pausa eccessivamente prolungata tra i diversi servizi – il pranzo è durato complessivamente più di cinque ore – che, nella fase finale del percorso, hanno inevitabilmente inciso sull’attenzione.

L’aurea via di mezzo

La fertile “conflittualità” tra l’opulenza e la capacità di colpire di fioretto di Pelé è nettamente percepibile nei passaggi di cui si compone il percorso, il quale, in ogni caso, si caratterizza per la costante presenza di ingredienti di pregio, tanto che, a tratti, si ha la sensazione che ciò sia frutto un’imposizione con cui il cuoco deve venire a patti (può l’eccessiva disponibilità di materia tradursi in un limite espressivo?). Da un lato, vi sono sussurri di straordinaria eleganza – come in Langoustine cruda, riduzione di arancia e polvere di lampone – e, sul versante opposto, episodi che rasentano il barocchismo, come Anguilla affumicata e laccata, caviale Osietra e mascarpone, in cui sembra che la strada dell’eccesso funga da chiave per sdrammatizzare l’importanza della materia (si percepisce immediatamente la tecnica camaniniana di cottura dell’anguilla). In altri casi, ancora, si assiste alla celebrazione della cucina classica francese – il luogo, in un certo senso, lo impone -, senza variazioni sul tema: una Pithivier di piccione da manuale.

L’apice si raggiunge tuttavia nei momenti di perfetto equilibrio tra le due forze in gioco, come nella Triglia grigliata sulla sua pelle, midollo, crisantemo giapponese e crema a base di arancia o nel Rombo leggermente grigliato, acetosella, spaghetti di patate, piede di agnello, angulas e riduzione di pesce, in cui emerge la straordinaria capacità di Pelé di mettere sullo stesso piano protagonisti e comprimari, pescare da tradizioni gastronomiche altre – vedi i gyoza, le angulas, … – cimentarsi in cotture millimetriche e far convivere eleganza e istinto nonché mare e selva.

La pasticceria vive anch’essa quest’anima bifronte, tra dessert che abbattono il confine tra dolce e salato – tra tutti, l’interessante Barbabietola, mela, radicchio e pinolo – ed altri (prevalenti) che, al contrario, non lesinano sullo zucchero, come Crostata di crème brûlée, caramello, sciroppo d’acero, cacao e gelato al tartufo nero (una sorta di “corrispondente” dolce dell’anguilla). In conclusione, Le Clarence è indubbiamente una delle cucine che meritano una tappa quando si visita la capitale francese per la capacità di valorizzare apparenti contraddizioni e far convivere grandeur e imprevedibilità.

IL PIATTO MIGLIORE: Triglia grigliata sulla sua pelle, midollo, riccio di mare, crisantemo giapponese e crema a base di arancia.

La Galleria Fotografica:

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Claudio Marin

I racconti familiari narrano di una mia precoce passione per escargots, sogliola alla mugnaia e quinto quarto. Nel 1995, avevo otto anni, una cena illuminante a La Coupole di Parigi e il principio di un amore: un grande ristorante non è solo buon cibo, ma molto di più. Ad oggi, appena ne ho l'occasione, salgo su di un aereo per conoscere nuove cucine - con una (malcelata) predilezione per l'avanguardia - e, nel contempo, tento di seguire con regolarità il percorso di alcuni straordinari talenti nostrani. Il blues e la musica dei grandi chitarristi sono l'altra passione che da sempre mi accompagna.

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VALUTAZIONE

Cucina Moderna

17,5/20

PREGI
Una grande maison che sa far convivere grandeur e imprevedibilità.
La qualità e varietà di materia prima utilizzata lascia sbalorditi.
Il prezzo dei menù del pranzo.
DIFETTI
Le tempistiche del servizio.
Sarebbe interessante vedere l’aggiunta di qualche passaggio “in sottrazione”.

INFORMAZIONI

PREZZI

Menù degustazione pranzo da 3 portate (solo dal mercoledì al venerdì) a 130€, 4 portate a 180€ e da 6 portate a 250€

Menù degustazione cena da 3 portate (solo dal martedì al venerdì) a 180€, da 5 portate a 250€ e da 7 portate a 350€

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