Passione Gourmet Zunica 1880 - Passione Gourmet

Zunica 1880

Ristorante
piazza Franciscus Filippi Pepe 14, Civitella del Tronto (Te)
Chef Frederik Lasso
Recensito da Gianluca Montinaro

Valutazione

15/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • La qualità della materia prima.
  • La possibilità di fermarsi per la notte.
  • Il buon rapporto qualità-prezzo.

Difetti

  • La carta dei vini da implementare.
Visitato il 11-2022

Il sovrano del borgo

La piazzaforte di Civitella del Tronto (Te) è stata l’ultimo baluardo borbonico ad arrendersi agli invasori piemontesi. Franceschiello aveva già lasciato Gaeta per Roma ma – per i buffi casi della Storia – l’ordine di resa che aveva diramato prima di imbarcarsi per la Città Eterna non giunse a Civitella che giorni dopo la sua abdicazione. Con il risultato che alcuni poveri soldati caddero da entrambe le parti, chi difendendo, chi attaccando, benché altrove la guerra fosse già finita. Correva il 1861: ammainato il candido vessillo coi gigli d’oro, passarono quasi vent’anni prima che un’altra bandiera, sugli spalti civitellesi, garrisse al vento dei Monti della Laga. Nel 1880, sulla piazza del paese, in un antico palazzo del XVI secolo, la nobile famiglia Zunica, di origine spagnola, apre una sua locanda di posta. Da allora sono loro i signori e i custodi di questo abbarbicato borgo: con le sue strade strette, gli alti edifici in pietra, le mura torreggianti. Attraverso le generazioni, la locanda si trasforma in albergo, divenendo, dal secondo dopoguerra in avanti, il luogo privilegiato da dove partire per scoprire le meraviglie del territorio teramano. Ma dove anche fermarsi per gustare i piatti tipici di una tradizione culinaria inusitatamente ricca e complessa nella quale le influenze dei monsù napoletani incontrano i pesci del mare Adriatico, e gli usi di origine romanesca si incrociano alle materie prime della montagna abruzzese.

Con tanta passione e altrettanto impegno Daniele Zunica, ultimo rappresentante della dinastia, ha – da quasi tre decenni a questa parte – reso ancor più seducente una sosta nella struttura della sua famiglia, trasformando la proposta di cucina da raffinata trattoria della domenica a imperdibile tappa gourmet. Senza tradimenti Zunica 1880 continua sì a raccontare questo scampolo di Abruzzo, ma senza facili scorciatoie. La cucina, ora affidata alle valenti mani di Frederik Lasso (scuola Niko Romito), mette in luce con moderna eleganza l’espressività dei prodotti (attentamente ricercati e selezionati da Daniele nel circondario), puntando nettamente sull’esaltazione di profumi e sapori, e modulando attenti giochi di consistenza e temperatura. A ciò poi si aggiunge una certa capacità nel dosare spinte acetiche, fermentative e amaricanti, nonché un interessante (e compiaciuto) vezzo di “frammentazione” della pietanza. Costruite perlopiù su contrappunti dialogici le preparazioni tendono a leggere l’ingrediente a tutto tondo, raccontandone tutte le potenzialità (buon esempio può essere il complesso Lenticchie e lumache, ovvero crema di lenticchie e lumache con granita di crauti fermentati e mela, e quindi lumaca al kefir, lumaca fritta in tempura di farina di riso e birra nera, pane cotto sulla pietra), a fronte però – ed è questo forse l’unico rischio di questa cucina – di una certa ridondanza che, a volte, potrebbe disorientare il palato.

Bosco, caccia e acqua dolce

Nella carta di Zunica 1880 grande spazio hanno i prodotti della terra, la cacciagione e il pesce d’acqua dolce, mentre il mare, che non è distante e che si vede senza difficoltà dalla piazza del borgo, riveste un ruolo da comprimario. Ne discende – quindi – che le possibilità offerte dagli ingredienti sono innumerevoli, tanto dal punto di vista dell’approfondimento sul singolo elemento quanto dell’abbinamento. Zunica e Lasso paiono affascinati da entrambe le possibilità, perché se da un lato spingono sull’unicità materia mostrandosi addirittura capaci di trasformarla in ciò che non è (in questo senso il finto – e buonissimo! – Carpaccio di carne, in realtà di peperone disidratato e quindi reidratato, appare come un piccolo capolavoro tecnico d’inganno aristotelico) dall’altro divagano enciclopedicamente su affinità consolidate (come nel caso del già citato Lenticchie e lumache, o dell’altrettanto corale Fagiano e nocciola: fagiano laccato alla nocciola con gel di orzo tostato e alloro, patata ratta all’assoluto di nocciola, foglia di fegatini di fagiano).

Il menù dedicato a bosco e caccia (assai marcato dal punto di vista olfattivo, come ovvio che sia) appare – per esempio – come nell’antica metrica classica, un insieme ritmico di sillabe corte e sillabe lunghe. Di concisione e di prolissità. Di anapesti e di spondei. L’inizio, incalzante, con Assogna abruzzese, pancetta affumicata, scoiattoli alla nocciola e finti mandarini ripieni di capriolo, segnano con forza il sentiero che si andrà a percorrere. Ma già il Carpaccio di cervo, con la sua salsa nipponica e la sua insalata dal bello spunto acetico, pare mutare la prospettiva del cammino: ove dirigersi? Sull’essenzialità del peperone o sul neo-classicismo del Salmerino al burro nocciola e champignon, accompagnato dalle note del porro e dall’amaricante della salsa di cicoria fermentata? La scelta è, in realtà, una “non-scelta”, perché ad accumunare entrambe le strade, differenti sì ma parallele, ecco un tecnicismo di cucina già valente: il Cinghiale ‘parla’ dai tortelli in salsa al prezzemolo, mentre i profumi della pineta appaiono tutti, balsamici e pungenti, in un dolce (“Pineta“, appunto) che colpisce per la sua lunghezza retronasale.

Il servizio, sia che si svolga nella luminosa sala al primo piano, sia che si tenga nell’intimo grottino o all’aperto nella bella stagione, ruota con disinvoltura e affabilità sotto l’occhio attento di Daniele, perfetto anfitrione e abile conversatore. La carta dei vini, sebbene bisognosa di ampliamento, presenta un buon assortimento di etichette, certo, con tanto Abruzzo ma pure con altrettanta offerta fuori regione e fuori nazione.

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