Passione Gourmet Opera - Passione Gourmet

Opera

Ristorante
via Sant'Antonio da Padova 3, Torino
Chef Stefano Sforza
Recensito da Erika Mantovan

Valutazione

16/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

  • La location calda e accogliente.
  • La selezione dei vini e gli abbinamenti.
  • La presenza di drink e te nel percorso di degustazione.

Difetti

  • Il cucchiaio dovrebbe essere presente in ogni portata.
Visitato il 08-2021

Un’opera di ricerca a Torino

Per chi arriva a Torino in treno Opera è una meta comodissima. Il ristorante è a due passi da Porta Susa, in una posizione strategica e piuttosto centrale, dunque, che vede, varcata la porta d’ingresso, la cucina, gestita da Stefano Sforza, visibile da una piccola finestra che si affaccia sull’elegante corridoio da percorrere per raggiungere la sala centrale, divisa in due ambienti come una grande casa.

Gli spazi hanno una profondità notevole. Soffitto a volta, tavoli ben distanziati e seguiti con grande precisione dal maître Gualtiero Perlo – un grande estimatore di tè, a tal punto da dedicargli una piccola carta – affiancato in sala, per proporre vini e i drink durante la serata, dal giovane sommelier Carlo Salino.

Qui ogni portata è un nuovo dialogo con lo Chef, che conduce l’ospite nella sua idea di gusto, che si snoda tra piatti che puntano sull’innovazione e la concretezza degli ingredienti. Due i menù proposti, che mutano con le stagioni e le materie prime dell’orto, ubicato nella prima collina torinese. A questo si deve la predilezione per le verdure, tanto che vi si trova un intero percorso dedicato al pomodoro.

E poi c’è “Opera”, dove lo chef gioca con cotture e consistenze diverse per presentare uno dei suoi primi progetti di stile, in cucina, un percorso iniziato nel 2019 con il supporto della famiglia torinese Cometto che lo ha scelto per guidare il ristorante. La sua è una mano delicata alla ricerca  dell’equilibrio, sì, ma senza estremismi, frizioni o picchi di acidità. Sapori molto, molto rotondi, accoglienti. Un’identità che nasce da maestri prestigiosi come Pier Bussetti e Alain Ducasse, dal quale ha imparato il rigore, il rispetto e la disciplina, prima ancora dell’arte della cucina. Le basi, prima ancora delle basi del taglio o dello stare in un reparto specifico. Tra le esperienze di Sforza ci sono anche periodi al Bellevue di Cogne, Del Cambio di Torino, Trussardi alla Scala di Milano, e tre anni al Turin Palace.

L’Opera delicata che attinge da gusti personali e dal mondo

Classe 1986, Stefano, quando rincasa, non si adagia certo sugli allori. La sua testa continua a pensare a come arricchire il suo percorso da sette portate, la sua “opera”. E proprio il menù Opera vuole essere un giro intorno al mondo: dall’America meridionale all’Asia, si inizia con una barbabietola con aceto di more e tonburi presentata a forma di petali di rosa. Il gusto è in contrasto tra i suoi compagni di viaggio, sebbene resti dolce e concentrato sulla barbabietola. Si prosegue con un po’ di Oriente, si finisce, su suggerimento dello Chef, col bere dalla ciotola ma solo dopo aver terminato lo storione, proposto con una leggera marinatura e una ceviche con il latte di cocco, lime e un pizzico di peperoncino, per una spinta agrumata piuttosto marcata. Il caviale in superficie si contrappone allungando il sapore del piatto. 

La tartare di vacca con melograno e radicchio è un piatto che piace e, oltre all’estetica, diverte al palato anche la presentazione e l’effetto di rimbalzo sulle dolcezze e sulle consistenze che si crea alternando morsi alla chips di mais che racchiude la carne cruda. Ed è forse qui che si può rivedere la scelta di inserire i capperi, fritti e non. 

Il raviolo di tapioca con emulsione di zucchine alla brace è una grande rappresentazione di quella che è la pasta fatta a mano ripiena con crema di zucchina, di cui una parte cotta alla brace. La golosità è in un doppio strato perché il raviolo si apre, come una conchiglia…

Ma ecco che arriva l’estremismo, il picco del percorso, lo spaghetto con riccio di mare, vermouth rosso di Torino e cedro. Un piatto estremo e intenso: il riccio è fresco, il piatto apre dolce e chiude amaricante stemperandosi nell’amido. Pare di trovarsi in una nuvola che avviluppa il palato, e lo serra in una sensazione confortevole, quella del dolce amaro pastoso che aggroviglia e lega il senso. Un’idea che racchiude tutta la città di Torino e ben spiega, senza sconti, le scelte delle materie prime. 

Si chiude con il Brodo di olive, oliva già presente in un golosissimo e centrato amouse bouche – yogurt e limone salato – prima di un piccione con banana e curry, la cui doppia cottura non lascia scampo, conquista per progressione di sapore e concentrati, tra brace e sensazioni dolci, si raggiunge un livello di acidità più contenuto.

Una cucina, insomma, ragionata, contemporanea, nel vero senso della parola, perché ricerca un’idea pescando dal mondo e dalle esperienze pregresse, rendendole edibili prima ancora che comprensibili. Ogni tratto è deciso, soffice, ma non per questo scevro di ricerca. In ogni portata si inserire la giusta acidità; ogni ingrediente è presente ma con la giusta proporzione e, infatti, se qualcosa sembra che sia perso per strada – come gusto o intensità – in realtà è una alea voluta, pensata, studiata e provata, per trovare un (proprio) equilibrio.

La galleria fotografica:

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