Passione Gourmet Casa Maria Luigia - Passione Gourmet

Casa Maria Luigia

di Leila Salimbeni

Tòla Dòlza: il pranzo della domenica a Casa Maria Luigia

Uno degli effetti meno prevedibili di questa Tòla Dòlza è quello di inoculare, nelle corde di chi la vive, la nostalgia di un’esperienza mai vissuta. Nella fattispecie, indossare un cappellino coordinato, stile Royal Ascot, per assistere alla corsa dei cavalli del disegno di Bert in Mary Poppins. Colpa, forse, del cocktail di benvenuto, propedeutico, tra le altre cose, per calarvi nell’atmosfera mentre i musicisti accordano gli strumenti per il concerto che comincerà di lì a poco, quando tutti gli ospiti saranno finalmente seduti davanti al giardino all’inglese di Casa Maria Luigia, la dimora di campagna di Massimo Bottura e Lara Gilmore, e si darà inizio alle danze (culinarie). 

Il giorno successivo a questa nostra visita Jessica Rosval verrà incoronata cuoca dell’anno per L’Espresso e non è un caso perché è proprio a lei che si deve questa ulteriore estensione dell’universo di Massimo Bottura, divenuta popolare anche presso i modenesi attirati da questo ritorno al pranzo della domenica, replicato di domenica in domenica, tutte le domeniche, a mezzogiorno in punto per tutto giugno, ma al crepuscolo in luglio e agosto.

L’orto e la brace di Casa Maria Luigia

Il menù, che ha un costo di 95€, comincia per tutti allo stesso momento, è a sorpresa, ma sappiamo che prevede l’unione di due istanze: quella imposta dalla tecnica, la brace e il fumo, e quella esatta dalla materia, che arriva per lo più dall’orto. Come succede con le prime zucchine della stagione, cui viene dedicato un piatto dove queste, piccole ma tornite, campeggiano intagliate come calamari e impreziosite di riccioli croccanti a enfatizzarne la parte tenera e l’evocativa dolcezza.

Questo entusiasmo per le piccole cose è, crediamo, il segreto della felicità, e Casa Maria Luigia è un luogo decisamente felice come dimostra anche la struggente ricotta con tartufo bianco e polline di primavera, un boccone ghiotto all’inverosimile agitato da contrasti tanto provvidenziali quanto risolti tra loro: la nota empireumatica della brace, l’acidità lattica della ricotta di Rosola e quella, fiorita, del polline, assieme alla profondità retrolfattiva del tartufo.

Tutto quello che arriva in tavola arriva, s’è detto, dalla brace, dove Jessica armeggia con poco più di due persone a coadiuvarla e che rappresenta un affettuoso tributo alle estati passate sul lago, nel Canada da cui proviene, con la famiglia e soprattutto col padre, da cui ha imparato i segreti del fuoco. Dalla brace arriva così anche la focaccia, col disarmate profumo dei semi di finocchietto selvatico che fanno da trait d’union con la crema alle mandorle, che è quasi un hummus per concentrazione. Così come le cozze risi e bisi e i finti marshmallow arrostiti, com’è d’uopo, sugli stecchi, nonché per le succose, scagliose carni del baccalà cotto nel latte e gratinato sul legno, con la crema barbecue a contrastarne la morbidezza. Un intermezzo, prima del secondo, ce lo offre il pancake come una tigella, su cui viene versato non uno sciroppo d’acero bensì un balsamo benefico, preludio alle tenerissime punte di manzo glassate nell’aceto balsamico e cosparse di pollini e pistilli color “strawberry fields“, forever soprattutto per quanto concerne la persistenza al palato.

Per questo c’è bisogno di Amari, ovvero di un boccone che, tributandosi al più ostico dei sapori, resetta il palato tra i due regni del dolce e del salato, irrorando le papille di un succo che sgorga dal morso, croccante, alle foglie dei radicchi imbibiti dell’acqua di una granita di arancia amara: una escalation ton sur ton che è perfetto preludio di un dolce finalmente dolce, vivaddio: la Pavlova-Rosvalda che, ribattezzata alla maniera della sua creatrice, fiammeggia il sapore nostalgico delle meringhe e le combina con le polpe sugose e turgide di piccole pesche di vigna appena scottate.

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