Valutazione
Pregi
- Il Menù essenze merita il viaggio da lontano.
- La bellissima sala.
Difetti
- L'uso reiterato dell'acetosella.
- Il coperto a 5 euro.
La cucina al servizio della natura, dei suoi tempi, delle sue bizze.
La messa in scena del bosco e delle sue ricchezze: quello che è nascosto e quello che è distinguibile dagli occhi, la terra e il sotterraneo. Visibile e invisibile, quello che sembra e quello che è.
La Val di Fiemme, il legno, i profumi, il cielo colorato di nuvole, il sole, il vento, la storia, il fumo, i prati sterminati, i germogli, la vita che riprende a sussultare sotto la neve: quante sensazioni può regalare un ristorante, quante emozioni può trasmettere un cuoco.
Alessandro Gilmozzi non è un cuoco qualunque.
Alla moda senza la convinzione di esserlo: in un periodo in cui la cucina del Nord Europa fa il pieno di consensi e l’utilizzo di erbe e fiori rinasce a pieno splendore, lui semplicemente continua a a fare quello che ha sempre fatto. Cioè addentrarsi nel bosco alla ricerca delle erbe selvatiche, dei licheni, dei germogli; girare per prati scovando fiori dai sapori dimenticati. Seguire il corso del tempo, che ti obbliga ad aspettare la fine della pioggia per raccogliere determinati ingredienti.
E soprattutto proporre un pensiero coerente, che trova massima espressione nel menù degustazione Essenze: la cucina di Gilmozzi è questa. Non la carta, non i piatti più tradizionali (comunque ottimi), ma il percorso guidato nel suo mondo e nel suo modo di intendere la montagna.
Non è cuoco da carta, perché i suoi piatti esprimono il massimo quando sono concentrati in pochi cm2. Hanno bisogno di essere incanalati in un percorso, di essere spiegati, di essere assimilati come parte di un tutto. Allora il viaggio verso Cavalese diventa quasi una esigenza per noi amanti dei grandi interpreti della cucina.
Non è cucina dai facili compromessi: Gilmozzi non ha paura della potenza espressiva degli ingredienti a sua disposizione e li usa con una disinvoltura strabiliante. Acido e amaro trovano piena dignità senza perdere di vista una piacevolezza comunque raggiunta. Una cucina matura, completa e sicura.
La tecnica è di altissimo livello, tanto presente quanto invisibile agli occhi: ne è testimonianza il procedimento di preparazione del riso con i germogli di muschio, le intuizioni e la conoscenza del prodotto che stanno alla base di un piatto come questo.
Il Mulino del 1600 è poi uno scrigno affascinante, una costruzione su più livelli che rende questa sala una delle più belle del panorama montano.
La carta dei vini è di tutto rispetto, con qualche chicca da cogliere al volo.
La nostra scelta è ricaduta su “La Côte Faron” di Selosse: Pinot nero in purezza, sboccatura 2010, purtroppo una bottiglia deludente per la totale mancanza di complessità, non all’altezza della fama del produttore.
Sala, servizio, cantina: le carte ci sono tutte per una sosta di grande livello. Ma merita soprattutto la cucina di Alessandro Gilmozzi, uno dei grandi interpreti della nuova cucina italiana.
Una bella serie di appetizer: notevole la finta fragola, in realtà foie grasIn francese significa letteralmente "fegato grasso" ed è definito dalla legge francese come "fegato di anatra o di oca fatta ingrassare tramite alimentazione forzata”. È uno dei prodotti più famosi e pregiati della cucina francese. Esistono tipologie di 'foie gras' non derivate da animali sottoposti ad alimentazione forzata. Spesso il fegato grasso è associato all'alta cucina francese e internazionale per... Leggi avvolto da un gel alla fragola.
Miniature Wild: tre composizioni presentate su una tavoletta di abete di risonanza.
Ostia con gelatina terra (fatta con bucce di patate e topinambur ).
Patata e aghi di pino
Burro di cacao, nocciole selvatiche e malva.
Patate, pino e gamberi.
Una provocazione, un piatto totalmente avulso dal resto del menù, dalla forte connotazione gourmandPer "gourmand" si intende una persona amante della buona tavola, in particolare delle preparazioni di stampo classico, un cultore della gola. Ghiottone.... Leggi. La scelta del gambero è in sé stessa una provocazione: tempo fa, in Val di Fiemme, erano presenti moltissimi gamberi di fiume, ora totalmente scomparsi. La nota balsamica del pino è l’unico richiamo al Gilmozzi-pensiero. Piatto ottimo, ma spiazzante nella sua collocazione.
L’olio extravergine di olive e la montagna
Con gelato di sarde, gelato di crescione e 18 tra erbe e fiori.
Il primo capolavoro. Riuscire ad incentrare un piatto su diverse consistenze di olio senza rendere il tutto stucchevole è segno di grande abilità. Un piatto dinamico, in continua evoluzione a seconda dell’erba che si va a portare in bocca.
Asparago di monte, tarassaco, lumache e birra
Lumache, spuma di fieno, spuma di birra e asparagi selvatici.
Altro grandissimo colpo, un piatto maestoso che gioca con l’amaro amaro e chiude con una lunga e stupefacente acidità.
Spinacio (atriplex, un po’ più dolce del classico spinacio), lepre cruda e cotta, camomilla e funghi.
Perfezione stilistica.
Rocher di foie gras, lichene di pino e polline di edera: con miele di melo e sferificazione di miele.
Un classico di Gilmozzi, due bocconi differenti ma ugualmente intriganti.
Tortello bianco, capretto e porro grigliato.
Ben dosata la caramellizzazione del porro, che regala una fine dolcezza a un piatto di intermezzo.
Riso, trota marmorata e germogli di muschio.
Germogli di muschio e acqua di fonte vengono messi in pari quantità nel paco jet: ne risulta una granita molto fine. Questa viene messa in stampi a forma di pastiglia e poi congelata.
Il riso viene cotto all’acqua per 11 minuti, poi viene mantecato con le pastiglie congelate che provocano uno shock termico. La coda della marmorata viene prima bollita a lungo fino a ottenere una consistenza simil gelatinosa, quindi viene essicata e triturata.
I germogli danno un sentore salato, quasi marino. La consistenza del riso è incredibile, si sentono perfettamente i chicchi sgranati ma non si perde l’amalgama. La coda di marmorata è umami allo stato puro. Un piatto assoluto, in bilico fra mare e terra.
Crudità di temolo, crescione, acetosellaOxalis acetosella (nome comune Acetosella dei boschi) è una piccola pianta alta fino a 12 cm, appartenente alla famiglia delle Oxalidaceae. Il nome comune della pianta deriva dal sapore acidulo (ma anche aspro) delle foglie usate anticamente come condimento per le insalate e che ricorda appunto l'aceto. Anticamente (nel Medioevo) si usava come condimento. Al pari dell'acetosa arricchisce di sapore... Leggi e abete. Balsamico, amaro, acido, tutto gira benissimo.
Coda di grigia alpina, oxalis e nasturzi, crema di piselli e lupini della valle.
Icy Corteccia
Radice di liquirizia selvatica, gelato di corteccia, crumble di nocciole, licheni e corteccia
In abbinamento, una tisana con foglie ghiacciate di timo e menta.
Gilmozzi trova sempre il modo di stupire lasciando parlare gli ingredienti: non conoscevamo la radice di liquirizia selvatica, veramente sorprendente come del resto tutto questo dessert.
Border Line: sorbetto di larice, terriccio di gemme di abete e mais della Val di Fiemme, gel di topinambur e miele di melo, cristalli di resina in polvere, lichene candito.
Un dessert che ha qualche anno, ma rimane entusiasmante.
Piccola pasticceria
La Côte Faron – Selosse
A lato del ristorante c’è anche il wine-bar…
…dove il gin and tonic è uno stile di vita!
Cartoline da Cavalese