Valutazione
Pregi
- Il panorama.
- La flessibilità dei menu degustazione.
- La carta dei vini.
Difetti
- Carta troppo vasta.
- Qualche imperfezione nel servizio.
Era lecito aspettarsi qualcosa di più da una delle osterie più note ed apprezzate di Torino e provincia, ormai da diversi anni premiata con la chiocciolina, il massimo riconoscimento della guida alle Osterie d’Italia edita da Slow Food.
Intendiamoci, non è che alla taverna di Fra Fiusch nel complesso si mangi male (altrimenti non ne parleremmo affatto) però davvero si potrebbe fare meglio, dedicando maggiore cura alla realizzazione dei piatti ed anche, come si dirà, alla predisposizione della carta.
La location, suggestiva, in posizione amena sulla collina di Moncalieri, con tanto di panorama su Torino, predispone al meglio, così come le rustiche salette che si dividono su due piani. L’accoglienza, molto cortese e la carta dei vini ben studiata e con una bella profondità soprattutto di piemontesi, ci fanno subito pensare che qui si faccia davvero sul serio.
Una prima occhiata alla carta inizia però ad incrinare le nostre certezze. Se, infatti, è interessante e assai elastica la proposta dei menu degustazione (con, ad esempio, la possibilità di scegliere liberamente 4 piatti anche tutti della stessa tipologia), la carta nel complesso ci sembra troppo ampia: 12 antipasti, 10 primi e 11 secondi. Un po’ troppi per un locale di dimensioni ridotte che voglia fare alta qualità.
Inspiegabilmente – a nostro parere – infatti, si è deciso di aggiungere ai grandi classici della cucina del territorio come finanziera, agnolotti, tajarin alcuni piatti “marziani” (e non solo da un punto di vista territoriale…), come – per citarne solo uno – le tagliatelle con ragù di cinghiale che, ovviamente, decidiamo di assaggiare.
In generale abbiamo, poi, rilevato un problema di temperature dovuto anche al fatto che i piatti (intesi come piatti di portata) erano inspiegabilmente assai freddi determinando, quindi il repentino raffreddamento delle preparazioni in essi contenute.
Fin qui quello che non va.
Ma aggiungiamo che abbiamo mangiato degli gnocchi di patate viola con carciofi molto interessanti, un superbo stinco di maiale al forno con semi di finocchio e un dessert (a tutto territorio) tutt’altro che banale: Piemonte in bocca che racchiude in vari strati e consistenza bunet, crema allo zabaione, panna cotta, baci di dama e bicerin.
In breve, un posto in cui tutto sommato si sta bene, con un buon rapporto prezzo qualità, ma che potrebbe dare maggiori soddisfazioni se si concedesse qualche divagazione di meno in carta e curasse maggiormente alcuni aspetti (vedi temperatura dei piatti) che possono sembrare di contorno ma che tanto di contorno non sono.
Ad Majora
Entrèe: Bignè di insalata russa. Non è obbligatorio offrire qualcosa che non si è ordinato. E’ una bella consuetudine ma deve avere un senso. Difficile trovare un senso a questo (poco fragrante) bignè.
Buoni i Plin (ai 4 arrosti) conditi con burro d’alpeggio..
Insalatina di carciofi crudi con cialda di parmigiano: fresca e agrumata.
Gnocchi di patate viola con carciofi.
Qui casca l’asino. Tagliatelle con ragù di cinghiale. Piatto che affolla 12 mesi all’anno i menu turistici dell’intero centro Italia. Riproposto incomprensibilmente ad aprile sulle colline torinesi, con, tra l’altro, decisamente troppo chiodo di garofano.
Quaglie al marsala.
Il piatto migliore: Stinco di maiale al forno con semi di finocchio.
Piemonte in bocca, una summa dei più noti dolci della tradizione piemontese.