Macro 138, Chef Marco Milani, Roma, Orson

VALUTAZIONE

Cucina Moderna

14/20

PREGI
DIFETTI

390

Recensione Ristorante

Avevamo perso le tracce di Marco Milani da un bel po’, da quando era finita l’avventura, coraggiosa e un po’ improbabile, di Monterotondo: fare una cucina contemporanea, molto influenzata dall’oriente, in un territorio decisamente poco affascinato dalle novità e in una location da osteria. Ed era una perdita non da poco per la ristorazione romana, perché non ci sono molti chef capaci da queste parti di tirar fuori, in ogni esperienza provata, uno o due colpi da maestro, anche se talvolta presenti all’interno di un menu degustazione non tutto dello stesso livello.
E’, quindi, con molto piacere che abbiamo appreso dell’apertura, all’interno del nuovo padiglione del Museo d’Arte Contemporanea di Roma, di un ristorante affidato, appunto, a Milani.
Ci è stata subito chiara l’intenzione di far proseguire, dopo l’antesignano abbinamento Palazzo delle Esposizioni-Colonna, il faticoso processo di adeguamento di Roma alle altre capitali internazionali, in cui non è raro fare esperienze culinarie di alto livello all’interno di nuove e attraenti strutture museali.
L’impatto è in linea con le attese (meno con il mio gusto personale): una struttura contemporanea, in cui predominano il rosso del pavimento e i grigi scuri di arredi e strutture, di grandi dimensioni, che avrà senz’altro possibilità di giovarsi dell’enorme terrazzo nelle giornate primaverili meglio che nella serata piovosa in cui ci siamo andati.
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Il locale, per usare un eufemismo, non è pieno, ma va sottolineato che il “lancio” mediatico è ancora agli inizi (si segnala con un misto di divertimento e indignazione la risposta dell’ufficio informazioni –sic- del museo alla domanda telefonica se al ristorante lavorasse effettivamente lo Chef Milani: “boh, nu lo so’ chi ce’ sta dentro”, l’”informazione” ricevuta dal suddetto Ufficio, a ricordarci quanto sarà lunga la strada da fare per paragonarci con il resto del mondo).

Al tavolo insieme ai grissini (buoni), arrivano una carta piuttosto ampia, in cui però il solo menu degustazione presente è “tradizionale” (si può chiedere il mano libera dello chef) e una lista dei vini che non manca di bottiglie interessanti, anche se non brilla eccessivamente per originalità delle proposte (a prezzi onesti).

L’amuse-bouche
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è un’emulsione di pomodoro con uovo di quaglia e burrata: avvio convincente, goloso ma non banale, realizzato con perizia.
Sugli antipasti si va dal buono, con i cannoli di spigola, puntarelle e cicorietta romana all’ottimo, con la sogliola con zuppa d’arancia vaniglia e raperonzolo, vero pezzo di bravura per la misura nel difficile dosaggio di toni dolci e acidità.
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Lo chef decide poi di farci provare fuori menu un mini assaggio di mezze maniche alla carbonara con spuma di porcini, bella rilettura di un classico difficilmente migliorabile. 390
Sin qui il sorriso sulle labbra si allunga progressivamente: lo ritroviamo in gran forma, ci diciamo.
Purtroppo il seguito è meno brillante. Il risotto “cacio e pepe” con anguilla affumicata e sedano caramellato, in porzione gigantesca, è ben pensato nella combinazione degli ingredienti ma realizzato meno brillantemente (un po’ troppo liquido, anguilla poco presente); piuttosto incolori, poi, i copiosi tagliolini di riso venere con calamaretti, bottarga e peperoncino.
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Ai secondi non si risale: la guancetta di vitello alle mille spezie con polenta bianco perla è un onesto piatto bistrottiero (il “graffio” delle spezie meno significativo delle attese), mentre davvero deludente il baccalà al naturale con spuma di patata ed essenza di puttanesca: la spuma soverchia il baccalà, in un complessivo “abbraccio” troppo virato al dolce e al grasso.
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I dessert hanno in comune una certa ridondanza di ingredienti, con esiti però variabili: abbastanza convincente “gli agrumi”, con sorbetto di arancia, gelatina di clementine alla vaniglia, limone soffiato e pan di cedro; meno riuscito il parfait di marron glacés croccante al rosmarino, macaron di rape rosse (marroni non memorabili e macaron riuscito malino, come quelli nei petit-fours che avevano sorprendentemente preceduto i dessert).
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Il Timorasso Sterpi 2006 di Walter Massa, un “alsaziano” di casa nostra, proposto a 40 euro, accompagna piacevolmente la serata (bottiglia finita in scioltezza).
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Servizio molto cortese, con qualche incertezza (descrivere, anche sinteticamente, i piatti dopo averli portati a tavola sarebbe un must anche per rispetto allo chef, in un ristorante di questo tipo). In sintesi, una realtà ancora in rodaggio che speriamo possa assestarsi sui livelli più alti proposti in una serata molto altalenante. In cucina c’è stoffa e ci sono idee, serve forse una “centratura” maggiore (auspicheremmo meno piatti, magari, ma tutti dello stesso livello).

Il pregio: un gradito ritorno …

Il difetto: … non ai livelli che si ricordavano.

Macro 138
Via Nizza 138, Roma
Tel. 06 8548274

Chiuso il lunedì e la domenica sera.
Menù degustazione: € 45; alla carta 60€

Macro 138

Visitato nel mese di Marzo 2011
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Orson

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10 Comments

  1. Roberto ha detto:

    Accidenti la sala e l’illuminazione….ma chi decide come si arreda un museo?

  2. CiccioFormaggio ha detto:

    Tutto quello zucchero a velo nel piatto dei petit fours è da galera.
    E poi mi chiedo: se qualcosa è venuto davvero male (in questo caso i macaron), ed è lampante, ha senso che si presenti lo stesso?

    • Orson ha detto:

      Non posso che essere d’accordo su entrambi i punti.
      Reiterando la solita preghiera ai ristoratori su amuse bouche e petit fours: o buonissimi o evitate!

  3. carlo giovagnoli ha detto:

    certo che dalle foto e dalla descrizione quel 14/20 sembra veramente troppo 😉

    • Orson ha detto:

      “Cucina altalenante tra il buono e l’accettabile” è la nostra definizione per 13.

      Nella rece, che parla sì di esperienza altalenante, si dice che ci sono anche piatti ottimi oltre al fatto che si tratta di un locale provato in una fase di avvio.

      PS Pensare che di solito mi dicono che sono troppo cattivo…;)

  4. Paolo ha detto:

    Non si dovrebbe commentare o giudicare un ristorante che non ho visitato, ma vedendo le foto e leggendo il resoconto, mi domando di nuovo come un ristorante come questo possa avere lo stesso voto dell’Antica Osteria Del Teatro… sono tuttora allibito (per il voto dato all’Osteria del teatro, non necessariamente a questo locale!)

  5. Orson ha detto:

    Hai ragione Paolo. Non bisognerebbe mai giudicare un ristorante solo dalle foto.

  6. Piermario ha detto:

    Non so se sia effetto delle foto, ma le porzioni dei primi sembrano veramente enormi.
    Magari così si vuole strizzare l’occhio al pubblico del museo, proponendo una soluzione bastevolmente ‘sfamante’ anche a chi opta per un solo piatto più, magari, un dessert.

  7. Orson ha detto:

    Confermo: le porzioni sono enormi.
    Quello che dici potrebbe avere un senso per la formula pranzo (tra l’altro, come per il Palazzo delle Esposizioni, il ristorante del Macro potrebbe essere un richiamo piacevole per gli uffici o gli studi professionali della zona per la pausa). A cena, suggerirei di ridurle per consentire di apprezzarle meglio.

    • pratolina ha detto:

      Mah! Le foto non rendono giustizia.Sottoscrivo in pieno quello che dici. Sono stata 3 volte al Macro( ed ogni volta un’esperienza mai banale) e forse il rimprovero che posso fare al bravo Milani è di voler strafare sia nelle quantità che nel numero delle portate. Di ogni portata è stata fatta la descrizione degli ingredienti e della procedura di cottura. Da tornarci.

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