Quella di Ciccio Sultano è una cucina raffinata e ancestrale, prodiga di riferimenti alle prime colonie greche, sulla costa sicula, alla corte di Re Hyblon citato da Tucidide ne La Guerra del Peloponneso. Un misto di erudizione e tribalismo che raggiunge la sua acme nel menù degustazione e soprattutto con un passaggio che difficilmente dimenticheremo: la Ventresca di tonno rosso, salsa di manzo, estratto di cipolla caramellata e polvere di Sommacco. Un piatto, questo, che è la summa della devozione, e finanche dell’ossessione, di Ciccio Sultano per la materia prima, e che sottende l’annientamento della dicotomia culinaria tra mare e terra, dimostrando come i due regni possano e debbano congiungersi, almeno in cucina.
Per questo passaggio terrestre e marino, in una parola, ibrido, impossibile non pensare a un vino che, pur nel rosso della sua materia, fa dell’acqua la sua conditio sine qua non. Torniamo dunque alla verticale di Château Léoville Poyferré, il Bordeaux modernista che ben si sposa con questo piatto ricco e opulento, soprattutto nell’annata 2015. Il vino, infatti, presenta un saldo di Cabernet Sauvignon ancora maggiore del solito (65%) rispetto al Merlot, diventando la quintessenza di Saint-Julien da cui in effetti proviene. Gli aromi sono di crème de cassis, corteccia di pino bruciata e roccia spezzata. Lussureggiante, l’intelaiatura tannica è un’architettura complessa dalla quale affiora una sapidità e una freschezza di menta e cioccolato, trasversale a tutte a tutte le annate. Il palato, che al momento è caratterizzato da una certa magrezza, prenderà ciccia con gli anni ma, proprio in virtù di questa, sarà provvidenziale per piatti di questa statura.
“Si rilassi, le mandiamo tutto via email“, sussurra sorridendo, dietro la mascherina, Riccardo Andreoli, direttore di sala del ristorante Duomo di Ragusa Ibla. Si riferisce al menù della serata, il luculliano Basileus Hyblon, riportante l’ordine esatto delle portate, più alcuni fuori menù di quello che, a vederlo adesso, appare l’ingranaggio complicato, e raffinatissimo, di un orologio concepito apposta per far perdere il senso del tempo: un banchetto in cui tutto si tiene, quasi simultaneamente, senza soluzione di continuità.
“L’effetto è narcotico”, confesseremo alcune ore dopo a Ciccio Sultano che, invero, ci scruta con complicità. Lui, nomen omen, è uomo istrionico, eccentrico, coerentissimo anche nella fisiognomica, teatrale, scolpita di bassorilievi e chiaroscuro – gli stessi che abitano anche la Grande Madre, signora tanto della primavera quanto degli inferi per l’antico popolo dei Siculi – del menù dove questi stessi contrasti prendono forma tanto coscientemente quanto, anche, scientemente, e che fanno di Sultano l’interprete più ispirato e, di certo, più raffinato del momento in Sicilia.
Non stupirà dunque apprendere che Basileus sta per sovrano, ovvero per il re dei re di quell’isola nell’isola che è, per appunto, la Sicilia Iblea le cui tracce si trovano, oltre che a Ragusa, anche a Melilli, a Paternò, a Piazza Armerina, ad Avola e a Pantalica, solo per dirne alcune.
Cominciamo dunque con le piccole entrée – piccole solo nelle proporzioni – che innescano al palato una deflagrazione dopo l’altra, una carrellata rapinosa, ipnotica, ittica nel cannolino con ricotta vaccina, caviale e gambero rosso di Mazara del Vallo, marittima nel bigné farcito di Ragusano con alici di Testa, agreste nel cracker di bottarga con pelle di pollo croccante e, infine, bucolica nell’oliva nocellara del Belice farcita con marzapane di pistacchio e cosaruciaru croccante.
E poi l’imponente, imperiosa ostrica a beccafico e il tortello ripieno di pesto trapanese, doppia panna, uova di aringa, sgombro e fasolari sono bocconi manieristi e ghiottissimi, miniature pirotecniche nonché presagi di quella che sarà la prima, vera portata, anzi due: la triglia “a pisci d’uovo”, lisca come un biscotto e salsa alla ghiotta rifinita con una generosa grattugiata di scorza di arancia nera carbonizzata a suggellare una stratificazione di aromi agrumati, bizantini e orientali e il rinfrescante, corroborante spaghetto coi ricci di mare, anguria e limone. Piatti discinti eppure concatenantisi, la cui compresenza va a ricordare un servizio alla francese – pasta da una parte, pesce dall’altra – che trasfigura in uno alla mediorientale – dove i piatti sono serviti separatamente, ma tutti nello stesso momento – per diventare insindacabilmente, potentemente siculo nella sua irretente e misteriosa sintesi tra cultura greca, araba e borbonica.
Ed è esattamente su questi riferimenti enciclopedici – ma senza dimenticare l’asse mesopotamica su cui veleggia il dessert dedicato alla “Mezzaluna fertile”, ovvero la nostra civiltà agli albori fatta di grano, sale e olio – che continua il viaggio, la cui acme è rappresentata dalla ventresca di tonno rosso, salsa di manzo, estratto di cipolla caramellata e polvere di sommacco, che della devozione e finanche dell’ossessione di Ciccio Sultano per la materia è il coronamento considerando anche l’annientamento della dicotomia tra mare e terra che un piatto simile sottende e magnifica.
Un piatto che, da solo, indurrebbe anche la più illuminista delle menti a inginocchiarsi e ringraziare gli Dei o, più semplicemente, questa nostra grande Madre Terra per il paradiso terrestre che essa ci offre e di cui la Sicilia rappresenta, o rappresenterebbe, tra i suoi cammei, quello più bello.
Acquisisce maturità il progetto fortemente voluto da Ciccio Sultano e il suo socio (nonché chef) Peppe Cannistrà: a un anno dall’apertura, “I Banchi” è una bella scommessa vinta.
L’avevamo visitato lo scorso anno, a pochi mesi dall’inaugurazione, siamo ritornati a verificare le belle impressioni che avevamo avuto.
Questo posto è molto di più di una “costola” del bistellato Duomo, è un locale con una sua identità ben precisa e una sua autonomia. Un forno, una pasticceria, un bar, una trattoria moderna: tante cose insieme in un bel palazzo del centro di Ragusa Ibla. Da vivere in grande leggerezza e libertà, a qualunque ora della giornata.
Il servizio, nonostante alcune variazioni nel personale rispetto allo scorso anno, è di alto livello, un particolare ancora non sempre scontato anche in questa Sicilia in grande crescita dal punto di vista ristorativo e turistico: persone attente, disponibili e ben preparate, evidentemente un aspetto su cui si è puntato molto.
La cucina si è confermata ad ottimi livelli: se escludiamo un piatto, l’insalata di mare, che sarebbe stato meglio si fosse fermato al pass data la non inappuntabile freschezza dell’ingrediente principale, tutte le altre preparazioni sono state di gran livello, con alcuni picchi degni di locali molto più blasonati. Una cucina semplice, diretta, precisa tecnicamente e che ha come obiettivo principale la ricerca del gusto.
La cantina, che permette di bere bene al giusto prezzo, completa un quadro molto felice.
Un locale in cui si sta bene, in cui si nota la grande cura per i dettagli e che invoglia certamente al ritorno.
Consigliatissimo prima o dopo un giro nella meravigliosa Ibla, gioiello che non smette mai di stupire anche dopo numerose visite.
L’originale mise en place.
Appetizer (differenziato per adulti e bambini, un’accortezza da grande ristorante).
Insalata di mare.
Come già detto, l’unico piatto non soddisfacente.
Variazione di pasta con le sarde (zafferano, pinoli, uva passa, pangrattato tostato).
Un grande piatto di pasta: pieno e gustoso.
Ravioli di ricotta e limone con molluschi e crostacei.
Ravioli perfetti, pesce (come nell’insalata) non altrettanto.
Ricciola e fiore d’oliva, salsa di patate zafferano, finocchi e arance.
Cottura da grande cuoco e piatto molto curato anche nei minimi dettagli.
Qualità del pesce ottima in questo caso.
Maialino nero alla siciliana con mosto di nero d’Avola e patate al sale.
Piatto al livello del “fratello grande” Duomo.
Sua Maestà la Polpetta.
Di patate, di carne e di melanzane.
Imperdibili. La tradizione al suo massimo livello possibile.
Parfait alla mandorla Pizzuta di Avola con gelato al pistacchio di Raffadali.
Cannolo di ricotta vaccina con sorbetto di mandorla.
Cassata siciliana con granita al cioccolato.
Molto valida la selezione di birre in carta (così come la carta vini).
Il banco della pasticceria e del pane (davvero ottimo).
La naturale evoluzione dell’offerta ristorativa firmata Ciccio Sultano non poteva che culminare in un locale come questo: un luogo in cui raccontare la Sicilia a tavola in tutte le sue poliedriche facce, dal pane ai formaggi, dalla pasticceria allo street food, fino ai suoi piatti più emblematici.
Un locale da vivere in libertà e nella sua interezza: per 5 minuti come per tre ore.
I Banchi lascia spazio alla natura più istintiva di Ciccio Sultano, quella ha contraddistinto il suo successo già al Duomo.
Un locale che si sviluppa come un corridoio spazio-temporale: dalla colazione fino alla cena, ci si muove tra le diverse sale in cui trovano spazio delle vetrine accattivanti piene del meglio che la Sicilia può offrire.
Che sia un grande cannolo o semplicemente un caffè come si deve, la parola d’ordine è una sola: qualità. Un tentativo di spezzare la distanza tra il cliente, siciliano ma non solo, e la ristorazione di alto livello.
La ristrutturazione del centralissimo Palazzo Di Quattro è semplicemente splendida; la materia è la protagonista assoluta degli spazi: la pietra e l’acciaio si fondono in un risultato assolutamente convicente.
La tavola conviviale (e la splendida cantina) sono l’epilogo ideale di un percorso obbligato: la gioia dello stare a tavola e della comunione trovano piena espressione nella grande tavolata in cui ci auguriamo possano prendere vita sempre più numerose iniziative.
La cucina è affidata a Giuseppe Cannistrà, a lungo a fianco di Sultano e ora suo socio in questa nuova avventura.
La sala è invece in mano a un’altra vecchia conoscenza del locale di via Bocchieri: Alfio Magnano ha la possibilità di dimostrare il suo valore gestendo in prima persona il rapporto con i clienti.
Le carte per fare bene ci sono proprio tutte e, nonostante la recente apertura, il nostro pranzo è stato di gran livello.
Una cucina di sostanza, di abbondanza, molto siciliana anche nei suoi tratti più grevi, che richiede forse un pochino di controllo in più solo sulle sapidità.
Centrata nel gusto e nelle scelta dei piatti da proporre in carta, giustamente orientata sulla semplicità e sui grandi classici della cucina sicula.
Dopo il Duomo, un’altra finestra aperta sulla Sicilia, un altro motivo per venire nella splendida Ragusa Ibla.
Il locale.
Le vetrine dei salumi/formaggi, del pane/pizza, della pasticceria.
Il pane in tavola, ottimo.
Pizze e sfincioni: chi ha assaggiato la sfincione del Duomo, sa di cosa stiamo parlando.
Appetizer:
Cous cous, yogurt e pomodoro.
Arancina con crema di ragusano.
Difficile trovare una arancina (o arancino!) fritto meglio. Spettacolare. Il ragusano però spinge troppo sulla sapidità del piatto.
Pasta con le sarde, omaggio a Palermo.
Zafferano, uvetta passa, finocchietto selvatico e pangrattato tostato.
Ecco un piatto di pasta appagante anima e corpo.
Lasagnetta di pesce azzurro e broccoli “arrriminati”.
Sgombro, sarde, broccoli, besciamella e salsa allo zafferano.
Voluttuoso.
Pesce spada panato al pistacchio.
Con salsa bbq e finocchio cotto a bassa temperatura.
Si riprende l’idea già sviluppata al Duomo con la ricciola, questa volta il protagonista è il pesce spada, prima cicatrizzato, poi marinato e infine cotto con impanatura di ceci e pistacchi.
La tecnica al servizio del gusto: come rendere giustizia al pesce spada, troppo spesso ultra-cotto in troppi ristoranti siciliani.
Cannolo di ricotta vaccina e granita di mandorla.
Cassata siciliana e gelato di nocciola.
Un fresco accompagnamento.
La primavera è inoltrata, ma non ha ancora schiuso completamente i suoi boccioli. E così ci troviamo a Ragusa Ibla, di fronte al Cuoco di questa terra, al vero rappresentante di un luogo magico e pervasivo. Ciccio Sultano incarna la Sicilia, tutte le sue contraddizioni, i suoi eccessi, la sua flemma atavica, frutto della saggezza maturata da anni di dominazioni, ponderata da una innata e intensa dose di creatività e di voglia di fare. Una primavera che inaugura la prima visita di compendio ad uno dei nostri grandi Top 20.
Non si ferma mai il Sultano di Sicilia, e sforna piatti nuovi a raffica, intramezzati da grandi classici che servono come punto di riferimento. Perchè la rassicurante voluttà del gambero che incontra il cannolo fa da contraltare ad un brodo di arancia e cozze ‘mbuttunate da far rizzare i capelli.
Abbiamo raccontato qui, nel profondo, il Ristorante Duomo e il suo grande Cuoco. E lo abbiamo fatto con cuore e pathos, ma anche con fredda e lucida analisi critica. Non trovando sbavature ma tante importanti conferme.
E così è stato per il menù di primavera, ancora non compiuta, che ci ha donato veramente una serata speciale.
Grazie anche, e ci piace ricordarlo, all’anima femminile di questo luogo, Gabriella, compagna nella vita di Sultano ma anche suo complemento. Gabriella completa l’effervescenza e l’esuberanza del cuoco siciliano con la sua classe, il suo charme, conferendo all’accoglienza quel tocco di eleganza che chiude il cerchio di una grande esperienza.
Correte a Ragusa Ibla, non ve ne pentirete affatto.
Oliva farcita al pistacchio con finto nocciolo e scarpetta di pane di segale con olio d’oliva.
Affumicato di pesce spada con salsa al pistacchio.
Volevo essere fritto, cannolo di ricotta, caviale e gambero crudo.
Cozze farcite di cernia con zuppa agrumata e insalatina di sedano. Piatto che racchiude freschezza, acidità e contenuti. Sicilia allo stato puro, con una farcia moresca che fa toccare il cielo con un dito. Fresco il fondo ricavato dall’essenza dell’acqua di vegetazione dell’insalata di arance. Forse pleonastica la vongola cruda, che non interviene a nostro avviso nella completezza gustativa del piatto. Ottimo il croccante-fresco del sedano.
Spaghetti, ricci e sanapune.
Triglia con pan-chinotto. Geniale l’inserimento del chinotto e il pane bagnato nell’acqua di pomodoro…
…con salsa acidula, a terminare il piatto. Una nuova ed intrigante lettura della triglia, ingrediente sempre presente nella cucina di Sultano, qui reso fresco e tutto sommato minimale dagli accoppiamenti. Il chinotto infonde una profondità alla triglia davvero interessante.
Passeggiata in pescheria. Funghi, polpo e trippa, gelatina di pollo. Come rendere elegante e raffinato, ma intenso e deciso, un piatto da strada. Un piatto greve per certi versi, importante e maschio. Qui aggraziato nella presentazione e nei contenuti espressi dagli ingredienti. Geniale!
Totano e burrata, con zuppa di topinambur. Il tocco del pomodoro acidulo a donare freschezza. Topinambur con la sua nota simile al carciofo arrotondata dalla grassezza della burrata. Il totano, stupendo compendio marino al piatto.
Spaghetto con pesto trapanese, pane croccante e pesce. Il pesto trapanese, in dialetto “agghiata trapanisa” ovvero agliata trapanese, è una ricetta tipica della Sicilia occidentale. Nata nel porto, frutto della conoscenza con i Liguri, e adattata con ingredienti locali (presenza di mandorle e pomodori secchi in aggiunta al basilico e aglio). Scampo e pesci leggermente ricoperti di panure che si completano con questa straordinaria salsa, qui raffinata e finita in modo davvero elegante.
Gelato al tartufo bianchetto di Palazzolo Acreide.
Pollo “Aia Gaia” farcito di crema di mais e cialda croccante di riso. Semplicemente geniale: il pollo e il suo mondo che si rincorrono. Dolcezza della carne e della salsa di mais controbilanciata dalla cialda di riso ai fegatini… sensazionale!
Carciofo alla brace. Cacuocciolo arrostuto della tradizione. Pre-dessert da urlo!
Gelo di mandarino con crema di zucca e fave di cacao.
Cioccolato, amarena e sorbetto di tisana “Notti in Tibet” (omaggio a Santa Lucia”).