L’omakase che stabilizza l’asticella in alto
Qualche anno fa, anche solo immaginare di poter vivere un’autentica esperienza omakase
Il termine omakase significa “lasciare fare al cuoco”, ed è ciò che in Giappone, alla fine di una dura giornata lavorativa, più si preferisce fare: non prendere decisioni. Ecco, non prendetevela se non vi sarà dato di sapere il prezzo dell’omakase fino alla fine del pasto, né se non avete la minima idea di cosa state mangiando; ricordatevi di specificare... Leggi a Milano sarebbe parso un sogno a occhi aperti.
Quel grado di profondità, di rigore e di autenticità apparteneva allora al Giappone, naturalmente, ma anche a città come Londra o Parigi, che da tempo intrattengono con il Sol Levante un dialogo di competenza e dedizione tale da sembrare, per l’Italia, irraggiungibile.
Non solo per l’inevitabile esclusività economica di un’esperienza del genere, ma anche per l’incognita legata all’accoglienza che un rituale tanto sobrio, privo di ogni orpello spettacolare al di fuori dell’assaggio e dello sguardo rivolto al sushi master, avrebbe potuto suscitare nel pubblico nostrano.
Eppure, oggi, le cose sono cambiate.
Milano ha compiuto il salto, lentamente ma con fermezza; prima con Iyo Omakase, poi con l’autentico Hatsunezushi, e oggi, con Sushi Matsu, fissa definitivamente l’asticella di questa esperienza a un livello decisamente elevato.
Nonostante l’inflazione e l’aria da città dove la scena gastronomica rischia talvolta di confondere lusso e valore, c’è chi lavora in silenzio, il più possibile lontano dai riflettori, concentrandosi sulla sostanza delle cose, consapevole di essere ricambiato con passione.
È il caso di Hirohiko Shimizu che con Sushi Matsu realizza un sogno coltivato per anni. Un bancone da quattordici posti, un ambiente essenziale, il ritmo lento di un omakase giapponese portato nel cuore di Milano.
A colpire, prima ancora dei piatti, è una piccola ghiacciaia da muro che si chiama Himuro, un mobile funzionale che difficilmente si vede in Europa. Non è un vezzo, ma un simbolo di autenticità, di rispetto per il mestiere, di precisione.
L’esperienza e la sequenza dei nigiri preparati al momento
Quindi, come in un qualsiasi sushi ya di Tokyo che si rispetti, una volta accomodati al bancone ci si affida completamente a Hiro e al suo esperto collaboratore.
Si sceglie solo la tipologia di proposta che differisce per qualità di ingrediente servito (più pregiato o più ordinario), con una differenza di prezzo neanche troppo disincentivante.
Dagli interessantissimi otsumami (antipastini stagionali), al pezzo forte dell’esperienza, appunto i nigiri, preceduti dalla gestualità del taglio, alternando consistenze, cotture e crudi, ogni gesto viene misurato, senza disattenzioni, in un piacevole dialogo con i singoli commensali.
C’è tanto gusto nel Fegato di rana pescatrice, un boccone grasso ma piacevolmente arricchito da spinte agrumate e qualche leggera dose di acidità, di grande profondità marina, come il Branzino cileno al miso
E' un condimento di origine giapponese derivato dai semi della soia gialla, cui spesso vengono aggiunti cereali come orzo o riso, segale, grano saraceno o miglio. È diffuso in tutto l'estremo Oriente, soprattutto in Corea e Giappone, dove svolge un ruolo nutrizionale importante, essendo ricco di proteine, vitamine e minerali. Il miso funge da base per numerose ricette e zuppe... Leggi, eccellente per qualità e trattamento del prodotto che mantiene un umami delicato. Negli omakase che si rispettano, spesso il trittico di tonno – akami, chutoro e otoro – risulta il passaggio più entusiasmante e godurioso. E da Matsu la promessa è mantenuta. Tre sfumature della stessa verità con il primo nitido e teso, il secondo più rotondo e morbido, il terzo voluttuoso, da lasciar andare lentamente in bocca.
I nigiri sono eccellenti, tutti. Particolare menzione merita però la triglia, dove si nota la pelle croccante, una carne soda, maturata al punto giusto e anche una leggera sapidità.
Il riso, direttamente dal Giappone, è sgranato, servito a temperatura corporea, con una dimensione e un morso pressoché ideali. Non spicca per acidità, ma per equilibrio e naturalezza tenendo il tempo esatto necessario per sostenere il pesce e dissolversi. Lodevole anche il lavoro di ricerca dell’ingrediente giapponese per eccellenza, come le capesante o i ricci di mare da Hokkaido, che, a breve, dovrebbero entrare in pianta stabile nella fornitura del locale superando le difficoltà logistiche.
Quando il percorso finisce, si ha la sensazione di aver assistito a qualcosa di compiuto e preciso, senza mai strafare o cercare captatio benevolentiae.
Se si volesse trovare una piccola cosa da migliorare, potremmo puntare timidamente il dito sulla mancanza di una fonte di fuoco vivo, ideale per alcune preparazioni.
Oggi, la fiamma è affidata a un cannello, utile ma non risolutivo, che tende a lasciare un leggero sentore di gas e bruciato, percepibile soprattutto su tagli nobili come wagyu o anguilla che, all’assaggio, denotano comunque un notevolissimo prodotto.
Un piccolo dettaglio tecnico, certo, ma importante, perché proprio in quelle sfumature, nel calore diretto della brace, si compie l’ultimo passo verso la completezza.
C’è tempo, e la sensazione è che Shimizu lo sappia bene.
L’equilibrio e la cura che già caratterizzano questa esperienza fanno presagire che anche questo tassello troverà presto il suo posto.
E allora, forse, Milano non avrà solo stabilizzato la sua asticella ma l’avrà portata un po’ più in alto.
IL PIATTO MIGLIORE: i nigiri.
La Galleria Fotografica:











































