Cà La Bionda
La misteriosa Pietra dello Sciamano, un manufatto in ocra rossa risalente al Paleolitico superiore, che ritrae una figura autorevole con indosso un copricapo, forse un sacerdote, è una straordinaria testimonianza della presenza dei primi uomini sapiens in Valpolicella. È stata ritrovata nella Grotta di Fumane, uno dei più importanti siti archeologici d’Europa, riconducibile ai Sapiens e prima ancora ai Neanderthal, tappa di un affascinante viaggio nella storia dell’uomo. Un reperto dal notevole valore archeologico per gli studiosi, che potranno decodificare gli eventi climatici occorsi oltre 200.000 anni fa, ma anche le abitudini quotidiane dell’uomo e il suo rapporto con la vite e il vino. Il veronese è ricco di ritrovamenti archeologici in tal senso, a partire dalla presenza di ampelidee fossili risalenti a 40 milioni di anni fa, venute alla luce nel XIX secolo nella “Pesciara” di Bolca; fino ai vinaccioli di Vitis vinifera del V secolo a.C., a situle e mestoli per il consumo domestico del vino, scoperti a Castelrotto e ai resti di un impianto di produzione del vino, ritrovati in una villa Romana di San Pietro in Cariano. Storico crocevia solcato dalla Via Claudia Augusta Padana, che congiungeva gli estremi dell’Impero Romano, la Valpolicella attirerà l’attenzione di Plinio il Vecchio, che decanterà un vino, retaggio della cultura retica pre Romana prodotto nella campagna veronese, tanto pregiato da essere servito alla tavola dell’imperatore Tiberio, ma anche Cassiodoro, qualche secolo dopo, elogerà l’Acinaticum, antenato del sopraffino Recioto veronese.
In un territorio cosi vocato, celebrato da sempre per la finezza delle sue produzioni vitivinicole, emergono individualità interessanti, che contribuiscono al comparto, ognuna con la propria unicità. Tra questi l’azienda agricola Cà La Bionda, a Marano di Valpolicella, una realtà a carattere familiare che dispone di 29 ettari vitati esposti a Est, Sud-Est, distribuiti sui dolci rilievi del Valpolicella Classico, tra 150 e 300 metri di altezza. Al timone dell’azienda fondata nel 1902, ispirandosi a una filosofia che si basa sulla sostenibilità e sulla naturalità, Pietro Castellani, insieme alla quarta generazione, i figli Alessandro e Nicola, rispettivamente enologo e agronomo. Un’azienda dove il rispetto per l’ambiente è al primo posto e sono al bando diserbanti, antiparassitari, anticrittogamici, concimi chimici e insetticidi di sintesi. Certificata biologico dal 2016, si riconosce nei valori della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, di cui è stata tra i fondatori, un’associazione di piccoli produttori che coltivano in proprio i vigneti, vinificano le proprie uve, imbottigliano i propri vini e si occupano direttamente della vendita. Una propensione verso l’ambiente e la comunità anima le giornate della famiglia Castellani, impegnata in azioni virtuose che hanno a cuore le tradizioni locali, ripristinando ad esempio i muretti a secco, chiamati marogne, impiegati per secoli, puntando sulla biodiversità e allevando pecore ‘Brogna’, una razza autoctona della Lessinia, che mentre pascola tra i filari, tiene pulito dalle erbe infestanti e concima naturalmente il vigneto.
Una famiglia innamorata del territorio, che è riuscita in un piccolo capolavoro, in un’area innegabilmente di grandi rossi come la Valpolicella, creando un bianco che valeva davvero la pena di assaggiare. Il Bianco del Casal di Cà La Bionda, riesce a sorprenderti, attraverso un’interessante interpretazione del territorio che si discosta dall’idea che ognuno di noi ha di Valpolicella, pur ispirandosi alle più antiche tecniche utilizzate nella vallata di Marano. Un vino che mi ha davvero colpito. Si origina su suoli calcareo-limosi-tufacei, con buona presenza di sassi e rocce e viene vendemmiato in modo manuale in cassette, a partire dall’ultima decade di agosto. Una volta diraspate e pressate dolcemente le uve, il mosto fiore ottenuto viene posto a fermentare in fusti di rovere da 228 lt., per poi sostare sulle fecce fini circa 10 mesi.
La degustazione
Al naso si intuiscono note leggermente minerali, ma subito dopo, complessità, sapidità e lunghezza inaspettati, con sentori lievi e avvolgenti di polvere da sparo e pietra focaia e ancora timo, garofano, tiglio, albicocca, mela, pesca. Al palato è teso, gioca di riduzione e sapidità e non può non farti pensare alla grande Borgogna, ha corpo, acidità, tannicità e denota grande eleganza, con note di sale marino, burro, elicriso, vaniglia, legno, tabacco.
Vitigni: 50% Garganega e 50% Trebbiano di Soave
Suoli: Calcareo-limosi-tufacei, ricchi di scheletro.
Allevamento: Pergola veronese.
Zona: Collina di Ravazzol a Valgatara nel Valpolicella Classico.
Abbinamento: French racks di agnello, massaggiato alla senape, in crosta di pane, profumato con salsa di Lambrusco, dell’Osteria Cavazzona (Modena).
Prezzo bottiglia: 25€