Passione Gourmet Aponiente - Passione Gourmet

Aponiente

Ristorante
Chef Ángel León
Recensito da Claudio Marin

Valutazione

18.5/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

  • Una cucina di mare unica, che si spinge oltre i limiti canonici del pescato.
  • L’equilibrio tra gusto, testura e tradizione.

Difetti

  • La reiterazione di alcuni “schemi” gustativi.
Visitato il 09-2023

Il mare oltre il mare

La vertigine che provoca l’appoggiare il pensiero sull’immensità del mare, su tutto ciò che cela, è altresì la sensazione che evoca un pranzo da Aponiente. La cucina di Ángel León mira a rappresentare la parte invisibile dell’abisso, superando l’identificazione di quest’ultimo con il pescato. In altri termini, se la comune cucina di mare – anche eccellente – consiste nella valorizzazione della materia ittica (un rombo alla brace, un gambero rosso, delle navajas…) e si risolve in quest’ultima (mezzo e scopo, una parte a valere per il tutto), a El Puerto de Santa Maria vi è il tentativo di tradurre in pietanza il mare inteso nella sua interezza (e complessità).

La strada percorsa è coraggiosa e oggettivamente impegnativa, anche per chi si siede al tavolo, poiché passa per la valorizzazione di frutti sconosciuti – un’indagine a livello macroscopico – nonché di texture non usuali e lo svelamento di anatomie mai impiegate – il versante microscopico dell’immersione –. Il rapporto con la materia e il contesto è affine a quello di Aduriz e del suo Mugaritz, in entrambi emerge l’urgenza di superare la soglia di ciò che è immediatamente percepibile (qui, tuttavia, l’obiettivo non pare essere quello di stimolare riflessioni altre). Un ulteriore tratto comune è la totale compenetrazione tra il ristorante e l’ambiente che lo circonda: Aponiente si trova nei locali di un antico mulino a marea, nel bel mezzo di un’oasi marina protetta, un luogo meraviglioso, valorizzato da un personale di sala che, in più occasioni, ha dimostrato competenza e sensibilità non comuni. La creazione di un sistema ristorativo tanto coerente porta con sé risultati lodevoli anche in termini di sostenibilità, qui vissuta autenticamente e con discrezione.

La cucina come tramite verso l’invisibile

Il primo caposaldo della cucina di Ángel León è, come già accennato, la testura, tant’è che quest’ultima – per ciò che attiene all’elemento proteico – spesso prende il sopravvento sul gusto, delegato ai comprimari: in Nigiri di calamaro fermentato, foglia d’ostrica e caramello di Pedro Ximenez, il mollusco mima il morso del riso (si percepiscono distintamente i “chicchi”), il “sapore di mare” è  invece affidato alla componente vegetale (la foglia d’ostrica) ed il caramello – a mo’ di salsa di soia – eleva la complessità del boccone; in Seppia kakigori e adobo, la prima viene congelata e ridotta in sottili fogli attraverso una macchina per kakigori – la famosa granita giapponese – per poi venire intinta nel tuorlo d’uovo ed in una panure che, in realtà, è adobo congelato (una tipica marinata in cui si immergono carni e pesci prima della frittura). L’adobo è la prima di numerose citazioni della tradizione gastronomica spagnola – seguiranno escabeche, salpicon, salsa marinera, manteca colora e puchera – che innervano l’intero percorso. La parte centrale della cena ha visto, poi, una serie di piatti eccezionali, come Caviale imperiale affumicato, crema di cipolla e acqua di salpicon – il caviale (note iodate, di fumo e burrose) valorizzato come poche volte prima, in abbinamento alla dolcezza della cipolla e all’acidità del salpicon – e Muergos (cappelunghe locali, più piccole), salsa marinera in più consistenze, olio di arancia amara, finocchio marino e barbe di cappalunga, in cui il connubio tra la le decise note marine e le componenti amare nonché aromatiche dell’arancia restano impresse nella memoria. Sullo stesso livello si pongono Escabeche di foglie di fico, palnkton, rafano e vongole e Quisquilla, peperone verde, vaniglia, creme fraiche e ceci freschi, a definire una cucina autenticamente autoriale, a cui si può eccepire solamente l’indulgenza verso uno schema gustativo basato su cremosità lattica-grassezza in contrapposizione a note acetiche. L’ultima parte del percorso colpisce per la coerenza rispetto al tema dello stesso nonché per la compenetrazione dolce-salato (la dolcezza viene utilizzata con estrema parsimonia), tesa ad abbattere il consueto confine tra i due mondi.  Il pre-dessert è infatti Acqua di limone con sferificazione di alga Codium, cui seguono Mochi di pelle di murena, gelato alla salsa di soia e scaglie di pelle di branzino – la pelle di murena viene impiegata per la similitudine di consistenza con il mochi giapponese (sapore neutro) –, una serie di caramelle gommose preparate con diverse alghe ed aromi (anziché collagene animale) e Prosciutto di ventresca di tonno e cioccolato, un boccone stupefacente (il cioccolato avrebbe potuto essere anche più amaro). Persino alla piccola pasticceria vengono riconsegnati un significato e un valore intrinseco in cui, oramai, raramente ci si imbatte: incisiva la “sfoglia” di granchio molle ed anice, citazione della “Torta Ines” sivigliana. Una cena memorabile.

IL PIATTO MIGLIORE: Salpikon, caviale e Cappalunga, marinera.

La Galleria Fotografica:

1 Commento.

  • Nomenomen13 Novembre 2023

    Tra le note negative: i dintorni del ristorante, capannoni in disuso che hanno un che di post-apocalittico. Tra l’altro non ho letto del piatto “glow in the dark”, non c’è più? A proposito, attendo una review di Alchemist (dove sono stato mesi fa) e dove vengono “coverizzati” piatti e idee altrui ma sempre all’insegna dell’eccellenza.

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