Passione Gourmet Le Doyenné - Passione Gourmet

Le Doyenné

Ristorante
5 rue St Antoine, Saint-Vrain
Chef James Henry e Shaun Kelly
Recensito da Claudio Marin

Valutazione

14/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • Un luogo magnifico ed un progetto dall’identità forte.
  • L’utilizzo esclusivo di materia prima vegetale autoprodotta.

Difetti

  • L'autoproduzione può rappresentare un limite in termine di qualità della materia a disposizione.
  • Il rapporto qualità/prezzo non è del tutto giustificato.
Visitato il 07-2023

Un luogo meraviglioso alle porte di Parigi…

La visita a Le Doyenné impone un piccolo viaggio da Parigi, un’ora di treno sino alla stazione di Bouray e, poi, una – davvero bella – passeggiata di una quarantina di minuti fino a Saint-Vrain. L’approccio alla struttura è paralizzante, tanta è la bellezza: prati, orti, piccole stalle e l’edificio principale, una ristrutturazione di rara cura e gusto (lo Chateau confinante è stato il ritiro di campagna della contessa du Barry e della famiglia Borghese e, poi, dimora della famiglia Mortemart; invece, dov’è ora situata la sala, negli anni ‘70 hanno lavorato gli scultori Niki de Saint Phalle e Jean Tinguely). La sala principale, vetrata, ospita il ristorante, guidato da due cuochi, James Henry e Shaun Kelly, la cui idea di cucina è evidentemente basata sull’autoproduzione, con prevalenza della componente vegetale, un approccio contemporaneo – à la page – che rappresenta una novità nel contesto parigino (in cui, una cucina di “autosussistenza” è ovviamente impraticabile).

…e la cucina di campagna di due cuochi australiani

La meraviglia di cui si è detto e il benessere che ne deriva per l’ospite a Le Doyenné si ripercuotono inevitabilmente (in termini positivi) sulla percezione che si ha della cucina in senso stretto, il cui percorso si apre con una serie di benvenuti vegetali visibilmente passardiani, tra cui un Carpaccio di pomodoro, in cui la qualità della materia prima non sbalordisce come ci si sarebbe aspettati, a causa di un’estate bizzarra e di un contesto climatico che ha dei limiti oggettivi (a onor del vero, anche gli altri pranzi del “tour” hanno evidenziato carenze nella maturazione dei vegetali). In altri termini, è evidente che l’intento di servire solo verdure proprie – e costruirvi intorno la gran parte del menù – implica necessariamente il rischio di imbattersi in periodi in cui la produzione non eccelle in termini qualitativi (soprattutto nelle transizioni tra stagioni), considerato altresì lo standard medio a cui siamo abituati noi mediterranei. Una menzione merita la charcuterie – un lardo di ottima qualità – , seguita da la Crevette Impériale des marais charentais – un gambero che condivide l’habitat delle ostriche – dalla frittura (tempura) non leggerissima.

Il migliore dei passaggi vegetali è stata invece la Zuppa fredda di mais, tomatillo e dragoncello messicano, un piatto dal bell’equilibrio dolce-acido, interessante la temperatura di servizio. L’Agnello de pré-salé alla brace ha convinto per qualità e cottura nonché grazie all’accompagnamento vegetale, un’insalata dell’orto condita con una leggera salsa tonnata (pochi giorni dopo, ci è stata servita una coscia di piccione la cui cottura lasciava invece a desiderare). A chiusura del pranzo, Yogurt infuso alla verbena, cetriolo e acetosa, un dessert ben costruito in termini di contrasti tra consistenze e temperature, non eccessivamente zuccherino e intelligente nel valorizzare le note caratteristiche dei tre vegetali. In conclusione, la cucina de Le Doyenné beneficia del contesto in cui si colloca e dell’idea su cui poggia ma, se isolata da questi ultimi, evidenzia ancora qualche lacuna che richiede di essere riempita sì da uniformare – verso l’alto – il livello dell’esperienza complessiva (nonché giustificarne il prezzo).

IL PIATTO MIGLIORE: Soupe froide de mais, tomatille, estragon du Mexique.

La Galleria Fotografica:

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