Passione Gourmet Granbaita Gourmet - Passione Gourmet

Granbaita Gourmet

Ristorante
strada Nives 11, Selva di Val Gardena (Bz)
Chef Andrea Moccia
Recensito da Gianluca Montinaro

Valutazione

16/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • La cucina di valore e soddisfazione.
  • Il servizio di classe.
  • L’elegante calore dell’atmosfera.

Difetti

  • La difficoltà di prenotare.
Visitato il 10-2022

Un cuoco fra il Sassolungo e il Seceda

La Val Gardena, insieme all’Alta Badia, è il paradiso degli amanti della montagna che trovano, tanto in inverno quanto in estate, non solo paesaggi di struggente bellezza, ove praticare i propri sport preferiti, ma anche un’affascinante atmosfera alpina altrove ineguagliabile. Se le motivazioni sono molte (prima fra tutte il fatto che queste valli sono la culla dei ladini: unica popolazione europea nata e cresciuta fra picchi e crode, e le cui origini si perdono a oltre duemila anni fa), una di queste si può senz’altro ricondurre alle tante famiglie locali che, negli ultimi decenni, hanno investito con sagacia e lungimiranza nella hôtellerie e nella ristorazione di alta fascia cercando, giorno dopo giorno, da un lato di affinare la propria proposta e, dall’altro, di selezionare sempre più la propria clientela, spostando viepiù in alto l’asticella della qualità.

A Selva di Val Gardena (1.563 metri sul livello del mare, si tenga a mente l’altitudine, ricorre esplicitamente in uno dei piatti che seguiranno), fra il Sassolungo e il Seceda, spicca l’hotel Granbaita, un cinque stelle da sogno appena ristrutturato. Da sempre gestito dalla famiglia Perathoner, l’albergo si distingue per la raffinata eleganza dal tratto caldo e contemporaneo, per le magnifiche zone Spa e fitness, per la cura nel servizio nonché per le tante cortesi attenzioni che la famiglia proprietaria, insieme ai loro gentili collaboratori, riservano ai loro ospiti. Uno dei fiori all’occhiello è poi il Granbaita Gourmet, il ristorante d’eccellenza della casa: una manciata di tavoli seduti ai quali è possibile gustare una cucina di grande impatto scenografico e gustativo. Alla guida di fornelli e forni c’è Andrea Moccia, aversano di origine e gardenese di adozione, il quale, dopo aver trascorso alcuni anni a fianco di Felice Lo Basso presso il quasi adiacente Alpenroyal hotel, è passato al Granbaita, riuscendo in breve tempo a elaborare uno stile proprio, peraltro assai differente da quello del maestro.

Sin da principio pienamente sostenuto dalla famiglia Perathoner (che ne ha intravisto da subito le notevoli potenzialità), Moccia ha avuto la libertà di concentrarsi pienamente nel mettere a fuoco una proposta gourmet d’alto profilo. Schivo quasi alla ritrosia ma animato da grande curiosità, il cuoco campano ha inanellato, durante i periodi di chiusura stagionale della struttura, numerose esperienze in locali blasonati sia italiani sia stranieri, aggiungendo così, alle sue solide basi classiche e alle già notevoli capacità tecniche, conoscenze e suggestioni ulteriori. Ne è nato uno stile composito (termine qui inteso non in modo riduttivo ma proprio in senso filologico: ovvero di sovrapposizione di due stili, al tempo quello ionico e quello corinzio) che da un lato porta avanti uno studio serrato sui prodotti, con una chiara predilezione per quelli più preziosi, dall’altro orchestra una danza di abbinamenti di notevole complessità aromatica, gustativa, di consistenza e pure visiva. Nessuna confusione né improvvisazione: al Granbaita Gourmet la coerenza regna sovrana, anche nei piatti più polifonici, e le piacevoli rotondità – qua e là vivificate da alcuni spunti acidi e da meditati tocchi amaro-clorofillici – paiono prendere per mano l’ospite, guidandolo nella degustazione delle ricche pietanze sin all’ultimo boccone.

La sontuosità del piatto

Una ricca curialità governa un pasto al Granbaita Gourmet. E Moccia ci mette molto del suo per fare in modo che il suo tratto rimanga ben scolpito. Sontuosi, generosi, barocchi i piatti colpiscono per le articolate architetture erette su una impressionante molteplicità di ingredienti, sulle loro continue variazioni e sui molteplici accostamenti. Ma colpiscono anche per la capacità di ricondurre a un’idea di base l’ostentata coralità. Per esempio il Wagyu con crackers al cumino, Grana Padano 30 mesi, cavolo rapa, caviale, chips di nervetti, radicchio, rucola, finger lime, mandorle pugliesi e gelato alla mostarda, può essere considerato una evoluta e ricca rilettura di quella che è una consueta tartare, con i suoi tanti tocchi speziati e aromatici. O il “Predator” (chips di plancton, gambero rosso di Mazara, alici di lampara fritte, acciughe del Cantabrico, calamaretti spillo, sfera nera ripiena di succo di sgombro, tartare di branzino) un perfezionamento di un ‘classicissimo’ antipasto misto di pesce. Ma entrambi questi piatti possono essere valido esempio di come Moccia al Granbaita Gourmet sia in grado di fare il ‘passo ulteriore’. Nel primo la carne – protagonista della normale tartare – ne resta sì l’attore principale ma la scena è in realtà delegata a quegli elementi che ne prolungano la gustativa nel piatto (lo speziato del cumino, l’acido del finger lime, l’amaro del radicchio e della rucola, lo iodio del caviale…). Nel secondo, quasi un trattato filosofico in nuce, il significato è da rintracciarsi nella ricostruzione della catena alimentare plancton-uomo. Dal brodo primordiale (i fumi che si agitano sotto il piatto di vetro) prende forma la vita: il plancton. Il quale è cibo del gambero rosso. Che a sua volta è predato dalle alici. Le quali sono mangiate dalle acciughe. Che sono gustate dai calamaretti. Che a loro volta sono sbranati dagli sgombri. Che sono il cibo delle spigole. Che, a loro volta, sono tanto amate da noi umani. Compreso chi, l’ospite seduto al tavolo, è l’ultimo anello della catena alimentare… Ospite che è poi gettato sulle montagne russe di «Altitude»: affogato a -2.000 metri per cercare il pregiato glacier 51, portato quindi a 1.000 metri per raccogliere zafferano, a 1.563 metri (Selva di Val Gardena) per prendere un cespo di bieta e quindi ai 1.600 del maso Pretzhof per una fetta del lardo che lì viene prodotto.

Ma non è finita. «Si mangia anche con gli occhi», recita un detto popolare. Moccia si diverte però a sovvertirlo, mostrando come occhi e palato siano strettamente legati, e come possa essere facile ingannare il secondo se privo dell’aiuto dei primi. Con gli occhi bendati si è invitati ad assaggiare la salsa che accompagna i golosissimi Spaghetti con basilico, aglio, caviale, cavolo rapa, fondo di triglia, trancio di triglia, foglia e polvere di cappero. A base di quale ingrediente è? Difficilmente lo si indovinerebbe: albiccoca fermentata. E indossando un paio di occhiali 3d si è invitati a gustare uno dei dolci: Ricotta di bufala, fichi, biscotto al burro, melissa limonata e polline. Il disegno tracciato sulla sua superficie balza in prospettiva, quasi amplificando la lunghezza gustativa di melissa e ricotta. Altri elementi entrano poi in gioco nello stile di Moccia: una certa attenzione per il Sol Levante, ben riscontrabile – per esempio – nel “Tannè” (tonno crudo laccato alla soia, tataki di tonno marinato allo zenzero, vitello della val Passiria, spuma di prezzemolo, capperi in polvere); un’altrettanta attenzione verso gli ingredienti e le tecniche delle cucine nordiche (l’ampio uso delle erbe spontanee e dei licheni, la perfetta conoscenze delle tecniche di fermentazione… con l’ingannatrice salsa a base di albicocca fermentata di cui si è appena scritto, che ricorda una altrettanto ingannatrice salsa di prugna fermentata di un notissimo cuoco altoatesino) e una profonda conoscenza delle basi classiche: la sublime interpretazione del Filetto alla Wellington del Granbaita Gourmet ben lo testimonia.

Ma tutto il pasto al Granbaita è governato da un rito coinvolgente orchestrato da uno staff assai preparato. La cena inizia ‘prima’ che l’ospite si sieda a tavola. Accolto all’ingresso del ristorante, viene inizialmente fatto accomodare nei salottini posti di fronte. Mentre il barman prepara l’aperitivo secondo indicazioni e preferenze, dalla cucina giunge una prima teoria di eleganti e golosi finger food accompagnati da una kombucha. Quindi viene accompagnato al tavolo, ove si ha la netta impressione di trovarsi a teatro. Il servizio, infatti, non solo si muove con classe e sollecitudine ma è continuamente ‘chiamato in causa’ nella messa a punto al tavolo delle pietanze (come, per esempio, per l’aggiunta delle salse) già dal primo appetizer: una fetta di speck del maso Pretzhof che viene affettata direttamente al tavolo, e posta una chips a base di farina di maizena e schüttelbrot.

A Maître e camerieri del Granbaita Gourmet spetta poi anche la preparazione di alcuni elementi: come l’infuso di brodo aromatico che accompagna il Tortellino di farina di castagne ripieno di pollo e maiale (una sagace rilettura dei tortellini emiliani), e addirittura la cottura in diretta, su BBQ, del Bisonte. Un elogio particolare meritano i dolci del Granbaita che, senza essere stucchevoli, viaggiano su un registro di bella dolcezza, resa viva da giusti tocchi acidi dati da frutta e latticini freschi. Menzione necessaria per la carta dei vini che, giustamente ampia, spazia con vastità e anche una certa profondità da proposte regionali alle etichette più blasonate d’Italia e di Francia.

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