Valutazione
Pregi
- Valorizzazione della parte vegetale.
Difetti
- La reiterazione, a tratti pleonastica, di alcuni ingredienti.
- Piccoli dettagli tecnici da affinare per ciò che concerne i primi.
- Alcuni rallentamenti nel servizio.
La cucina in divenire di Andrea Valentinetti, a pochi passi dal Santo
Leggendo le pagine del menù di Radici Terra e Gusto, locale sito poco distante dalla Basilica del Santo a Padova, capitanato dal giovane Chef padovano Andrea Valentinetti, classe 1985, si trova una dedica finale indirizzata a Erminio Alajmo. Le parole per il fondatore de Le Calandre non sono peregrine ma inquadrano l’obiettivo a cui mira Valentinetti: tendere verso la perfezione per avere uno stimolo costante al miglioramento. E non è un caso, infatti, che, tra le varie tappe formative di questo giovane cuoco, ci sia stata anche una fondamentale esperienza in veste di capo partita presso la cucina tristellata degli Alajmo.
Nel corso della nostra visita abbiamo avuto modo di esperire parte della dichiarazione d’intenti, notando con piacere alcune felici contaminazioni di stampo orientaleggiante e un occhio puntato sulla valorizzazione del vegetale, al netto di piccoli dettagli da affinare. Abbiamo optato per il menù “La terra e la collina”, proposta più classica e, per certi aspetti, identitaria del locale. Lungo il percorso, almeno tre piatti hanno assestato dei colpi da maestro assai notevoli, rivelando le potenzialità di questa promettente cucina.
“Maiale padano in Giappone” si è palesato come il migliore del servizio: maialino padano fritto nel panko, accompagnato da chutneyIl termine chutney indica una famiglia di condimenti agrodolci più o meno piccanti a base di frutta e/o verdura cotte in uno sciroppo di aceto, zucchero e spezie. Il principale è sicuramente il chutney al mango, ma ne esistono numerosissime versioni, poiché lo si può preparare con qualsiasi tipo di frutta (per quella povera in pectina, si aggiunge un 20... Leggi di mango, avocado, cavolo viola e sesamo. Risultato: un ottimo equilibrio di consistenze, alternate tra il croccante della panatura e la morbidezza della componente vegetale, seguito da un elegante gioco di richiami teso tra l’acidità del cavolo viola e la dolcezza della frutta, per smorzare e rilanciare gli echi della frittura. In breve: un piccolo gioiello.
A seguire non possiamo non citare lo splendido “Uovo, manzo, ostrica”, atro tassello tutt’altro che marginale di questo bel mosaico, nel quale la consistenza della carne ha funto intelligentemente da struttura della portata, con a seguire la croccantezza della parte vegetale a imbastire un bel gioco palatale per contrasto e la lunghezza iodata dell’ostrica a richiamare il boccone successivo. Terra e mare, nella veste più appagante.
Non meno meritorio il reparto dolci: “Rabarbaro, cioccolato, sedano e lampone” si è configurato come un dessert per certi aspetti sorprendente: la pianta erbacea, alla base, è stata marinata in una soluzione di lampone, limone e zucchero per preservarne il colore e infondere una spiccata nota acida. Scelta oltremodo intelligente e azzeccata, considerato lo sposalizio tra accelerazioni e rallentamenti con la freschezza del sorbetto alla fragola, la morbidezza del cioccolato bianco e, di nuovo, la croccantezza, questa volta della cialda di mandorla a nido d’ape on top. Dessert da bis per direttissima.
Al netto delle felici considerazioni di cui sopra, abbiamo tuttavia riscontrato alcune indecisioni sul reparto primi, con “Mirtillo, cervo, chiodini e ricotta” dalla cottura della pasta da affinare, soprattutto in sede di temperature di servizio, e “Rigatone, coda, capra, timo” il quale, pur azzardando coraggiose note amaricanti con la fonduta di cioccolato, è risultato tracotante nel dosaggio del sugo, smorzando possibili contrasti con gli altri ingredienti.
Piccoli dettagli da sistemare che non inficiano la buona riuscita complessiva ma che segnaliamo sicuri che questa tavola possa avvicinarsi ulteriormente verso quella perfezioni cui nobilmente tende.