Passione Gourmet Harry's Piccolo - Passione Gourmet

Harry’s Piccolo

Ristorante
piazza Unità d'Italia, 2 Trieste
Chef Matteo Metullio e Davide De Pra
Recensito da Davide Scapin Giordani

Valutazione

17.5/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • Un ristorante fine dining di grande livello, nel cuore di Trieste.
  • Mise en place, servizio, carta dei vini di alto profilo.

Difetti

  • La brigata di sala, inappuntabile sotto il profilo formale, potrebbe essere più rilassata verso il cliente.
Visitato il 03-2022

Il fine dining arriva a Trieste

Trieste è una città di grande fascino, con una tradizione gastronomica forte, caratterizzata dalla commistione di tre culture diverse, italiana, slava e mitteleuropea, ma da sempre avulsa alla presenza di “grandi tavole”. La svolta nel 2018, quando Matteo Metullio e Davide De Pra decidono di sposare l’ambizioso progetto di ristrutturazione dell’Hotel Duchi d’Aosta, affacciato su Piazza Unità d’Italia, la più famosa della città. I due, giovani, preparati, determinati, poco avvezzi ai palcoscenici e ai complessi (e a volte opachi) meccanismi di comunicazione del settore, hanno ottenuto in meno di tre anni riconoscimenti e successo facendo leva sulla forza della loro cucina e allineando il ristorante, Harry’s Piccolo, alle esigenze della critica internazionale per quanto riguarda il servizio, preciso e formale, e la carta dei vini, ampia, ben costruita, aperta verso il mondo, ma giustamente concentrata su Friuli e Slovenia.

I due Executive Chef (Metullio e De Pra) stupiscono per affiatamento, complicità e solidarietà, tanto da sembrare, piuttosto, “partners in crime”. Nella loro proposta il territorio è ben presente ed è rappresentato in modo essenziale nel menu “Adriatico”; nulla a che vedere, però, con il concetto di “km zero”, idealmente sostituito dal “km vero”, indicando così una sostanziale indipendenza dai confini geografici nell’approvvigionamento di materie prime. Lo dimostra il secondo menu, “Incontro”, nel quale compaiono elementi rubati alle cucine orientali (ci si prepara lo stomaco con un delizioso brodo dashi, alga combu e katsuobushi); altri alla “Grande Cuisine” francese, a partire dal foie gras; altri ancora alla cultura gastronomica alpina, tanto che ci si trova a gustare carne di cervo a 50 metri dal mare. Nessuna concessione modaiola, però, e nessun tecnicismo esibito; al contrario, un bagaglio tecnico di primo piano che rimane sistematicamente sottotraccia, lasciando che sia l’immediatezza dei sapori a prendere il sopravvento. Gli abbinamenti, decisamente creativi pur senza essere stravaganti, dimostrano sensibilità spiccata e maturità compiuta.

Profondità e identità

Per comprendere lo spessore dei loro piatti, ne descriviamo tre, scelti proprio dal menu “Incontro”, non perché più interessanti o più buoni degli altri, ma perché maggiormente rappresentativi del modus operandi. Tartare di cervo, anguilla, aglio nero, yuzu, caviale e coriandolo: piatto “onnicomprensivo”, dall’equilibrio millimetrico, in cui viene sublimato il concetto di terra/mare. Semplicemente buonissimo al primo boccone, scomponendone i sapori si distinguono la leggera durezza ferrosa della carne, l’umami dell’anguilla e dell’aglio nero, lo iodio del caviale; il tutto legato da una complessiva tendenza dolce e reso aereo dalle note vegetali e aromatiche del coriandolo e dello yuzu. Le due chips appoggiate sul piatto hanno l’unica funzione di interrompere la continuità delle texture con un elemento croccante, peraltro di dubbia utilità. I Capelli d’angelo freddi con succo di prugna e soia, gamberi rossi di Mazara crudi, bernese al midollo di vitello, erba cipollina e dragoncello sono un esempio di come un piatto costruito in modo tutt’altro che semplice possa comunicare una sensazione gustativa diretta e golosa. Ricorda, sia all’assaggio, sia analizzandone il processo costruttivo, alcune pennellate di Massimiliano Alajmo. Infine la Trippa di baccalà con insalata di uva, gelatina al Porto, scaloppa di foie gras e aceto balsamico di mela: perfetto il gioco di consistenze tra gelatinoso e burroso, con l’unico, piccolo, stacco della buccia dell’uva. Perfetto il gioco dei sapori in cui l’acidità dell’uva e dell’aceto fa da comprimaria, lasciando il ruolo di protagonista alla grassezza. Un insieme omogeneo, legato come meglio non si potrebbe, che accarezza il palato. Performance notevole, da parte di due cuochi, per i quali si può prevedere un ulteriore salto di qualità, alla luce della loro giovane età e della sensazione di suplesse, quasi di facilità con cui esprimono una cucina densa di contenuti, profonda e identitaria.

La Galleria Fotografica:

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