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La carta dei vini di Al Vèdel

di Passione Gourmet

Dall’Emilia al mondo, e ritorno

Ci sono carte dei vini che sembrano vere e proprie antologie dei vigneti del mondo e diventano lo specchio dell’identità di un ristorante, di cui riescono a rivelare gran parte dell’essenza. È proprio questo la carta dei vini di Al Vèdel, ristorante nato come progetto parallelo a Podere Cadassa, il casolare di Colorno, nel cuore della Bassa Parmense. È qui che la famiglia Bergonzi porta avanti, dal 1780, la tradizione norcina e la ristorazione da ben sei generazioni, iniziata quando la zia Cleofe riconvertì il suo rustico in uno spaccio di generi alimentari e punto di ristoro per i viandanti.

Da un lato, dunque, la galleria dell’artigianalità gastronomica made in Italy di Podere Cadassa: una pioggia di culatelli e salumi pendenti dal soffitto a ricordarci che ci troviamo nel regno del Culatello di Zibello DOP; dall’altro il ristorante Al Vèdel, luogo elegante che profuma di antica osteria e di famiglia.

Marco Pizzigoni è il sommelier di Al Vèdel e, dal 1987, ne costruisce, studia e scrive la carta dei vini. Ha iniziato il suo cammino quando il ristorante aveva solo cinque vini: un immancabile Lambrusco, un Barbera d’Alba di Bersano, un iconico Verdicchio di Fazzi Battaglia, il Turrà frizzante di Cantine Maschio e uno spumante della storica cantina La Versa.

Una carta con 1900 etichette

Il percorso è stato lungo: tutto è iniziato con la curiosità e la semplicità genuine di un tempo, quelle che oggi sono doti nobili e rare, due caratteristiche che suonano bene se pronunciate insieme, come un ottimo Chardonnay con il Culatello di Zibello, accostamento che, trasposto nella geografia delle esplorazioni di Marco Pizzigoni, ricorda i primi passi mossi nel mondo del vino, quando, a soli 20 anni, da puro appassionato, inizia a viaggiare in Francia con una memorabile visita da Bollinger, dove all’epoca era possibile ammirare i costruttori di botti a lavoro.

Galeotta, poi, fu l’editoria gastronomica di allora, come le prime guide de Il Gambero Rosso, che lo esortarono alla scoperta, pervadendolo di curiosità nei confronti della ristorazione. Si chiedeva perché i ristoranti scegliessero certi vini, perché quei menù. Inizia a visitare gli indiscutibili grandi nomi del vino come Gaja, in Italia, poi chiama e si confronta con gli agenti rappresentanti delle cantine più interessanti. Li invita al ristorante, li incontra. Inizia a formarsi fino a diventare sommelier e, tra una selezione e una scelta attenta, un metodo certosino e lungimirante lo guida: di ogni numero di bottiglie rare acquistate ne conserva la metà fino a creare una bella profondità da bere a tavola, leggere in carta, ammirare in cantina.

Oltre agli Champagne, i bianchi, rossi e rosati, gli italiani e gli stranieri e fino alle birre artigianali

Per i rossi c’è l’imperativo del territorio: quei vini che raccontano l’Emilia tutta a partire dal Lambrusco, da quello di Sorbara rifermentato in bottiglia alle altre varietà e, ancora, la vicina Romagna, con le Riserve di Sangiovese di struttura, come il Terra di Covignano di Vini San Valentino, della terra di Federico Fellini. Si passa attraverso annate preziose, a partire dalla più antica, con Bolgheri Sassicaia, in una collezione che spazia dal 1985 al 2018.

Una decisa passione per il Piemonte emerge dalla carta, con le più attente selezioni di Barolo e Barbaresco, dai piccoli produttori alle emozioni forti di un Barolo Riserva Monfortino 2014 di Giacomo Conterno in formato Jéroboam. E poi i rosé provenzali, e la loro orchestra di aromi come nell’elegante cuvée firmata da Château Sainte Marguerite insieme ad un’altra eccellenza da terre più lontane, il Libano, con il Jeune Rosè 2015 di Chateau Musar da uve Cinsault. I vini del mondo che compongono la carta di Al Vèdel parlano molto di edonismi francesi, da Bordeaux alla Borgogna, con piccoli-grandi joyaux di Languedoc-Roussillon, tipo il Mas de Daumas Gassac 2008 di Guibert, con una collezione di 10 vitigni differenti.

Tra i bianchi, un’ampia linea di Riesling, quasi a formare una consecuzione di scale olfattive di bouquet fruttati. Vini internazionali che non ci si aspetta, dall’Australia all’Oregon, negli States, che ci svela uno Chardonnay 2017 dalla bocca rotonda e fluida di The Eyrie Vineyards. Pagine, quelle dei vini bianchi, che non dimenticano le eleganti espressioni minerali di un Carricante di Sicilia, come l’Etna Bianco Superiore Pietramarina, da vendemmia 2016.

Nella lettura della carta una caratteristica fra tutte spicca prima dei vini stessi: l’intenzione di rivolgersi a tutte le tasche. E questo ce lo conferma Pizzigoni stesso, aggiungendo un altro tratto fondamentale della trama del suo lavoro, che diventa una sfida: quella di non lasciarsi troppo influenzare dai gusti personali di amante e professionista di vini. “È un po’ come il lavoro del giornalista che scrive di politica – dice – bisogna cercare di restare neutri e poi tenere sempre un orizzonte aperto sul mondo”.

Pizzigoni non ama rincorrere le tendenze del momento, ma ascolta i clienti, li aiuta nella scelta e cerca di capire da loro quando è il momento di fare un passo avanti, di esplorare nuove rotte. “Visione ampia e curiosità” sono il suo mantra, concetti che investiga tutti i giorni anche da quando è arrivato suo nipote, sommelier molto giovane, ad affiancarlo nella gestione della carta dei vini. Mentre ci racconta che sta provando a combinare un matrimonio intercontinentale tra il sakè di Richard Geoffroy – ex Chef de Cave di Dom Pérignon – e alcuni formaggi che andranno a locupletare il carrello che Edgarda Meldi, il “naso” di Al Vèdel, porta in scena rievocando un’usanza straordinariamente premurosa e charmant, in cantina ci attende Enrico Bergonzi, Chef e Patron, per una degustazione di salumi della tradizione norcina parmense.

Un vino gentile e dalla verve femminile come il Fortana del Taro IGT “Podere Rosa” di Cantine Bergamaschi – un rosso brillante con bassa gradazione alcolica – è perfetto per ammorbidire il gusto della pancetta fatta solo con il rivestimento adiposo e muscolare del costato di suino. L’abbinamento giusto che sprigiona al palato due dolcezze, quella del Fortana e del grasso della pancetta, imperanti ma perfettamente in armonia. Intanto, il profumo del Culatello di Zibello DOP ci ricorda la sua potestà con una produzione che, denominata “Punto Zero”, riscopre un ritorno agli originari metodi di allevamento con un’antichissima varietà di suini, quella del maiale nero. 

Il clima umido, responsabile della perfetta riuscita di un Culatello, ci strappa una riflessione: la nebbia e l’umidità, se viste sotto la prospettiva delle produzioni gastronomiche made in Italy – e quindi lontano da malinconie e cupezze invernali – sono condizioni in grado di generare felicità, così come i sentori piacevolmente muffati del Culatello, ammansiti al palato dalla sua stessa dolcezza, che viene esaltata dalla cremosità dello Champagne Brut di Boizel, un naso irriverente e gioioso con spiccati profumi di biancospino e miele.

Da Al Vèdel ritroviamo un’Emilia autentica e internazionale, che attraverso i vini guarda al futuro declinando le diverse culture vinicole tramite reti di dialogo in grado di coinvolgere gli ospiti, la cucina e i prodotti tipici, nutrendosi ogni giorno di un’inesauribile sete di conoscenza.

di Martina Vacca

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