Il classicismo in Valtellina
Saliamo in Lombardia, anzi più a nord, al punto che Milano rimane sempre più lontana, in pianura. Poi, dove nella la parte più settentrionale del Lago di Como entra L’Adda, deviamo verso est, iniziando la Val Tellina: Morbegno, Sondrio, poi finalmente Chiuro, sede di Nino Negri.
In una bella giornata autunnale, l’aria è fresca, tersa, il sole garantisce una visuale sulla Valtellina mirabile. Si è accolti dallo spettacolo delle prime nevi sulle creste delle montagne. Sotto, il ricco verde di tutto il territorio fa dimenticare il fitto susseguirsi di attività commerciali e industriali lungo tutta la SS 38 dello Stelvio. Ben presto il paesaggio diventa unico, arricchendosi delle vigne disposte su balconate, che si susseguono una sull’altra a perdita d’occhio. Sono 2.500 Km di vigne delimitate dai caratteristici muretti a secco la cui arte dal 2018 è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio Immateriale dell’Umanità.
La viticoltura eroica
Il particolare orientamento della valle dell’Adda da est a ovest, rispetto alla maggior parte dei corsi d’acqua di queste regioni che scorrono da nord a sud, rende la Valtellina atipica, con il versante nord boschivo e solo quello sud largamente coltivato, fino a quote alte. La storia rappresenta un elemento imprescindibile di questa valle; qua si coltivava uva fin dai tempi dei romani, come testimoniano i loro percorsi sul territorio: il ponte di Villa di Tirano, sul vecchio tracciato dell’Adda, oppure l’elegante ponte a tre arcate di Morbegno.
Nei secoli, prima del Regno d’Italia, la coltivazione delle uve era dominio dei Grigioni, in Svizzera; le Leghe Grigie hanno occupato questi territori dai primi del 1.500 per quasi 300 anni. Dunque la maggior parte del vino era destinato al nord, comprese parti della Germania. Le vigne erano molto estese fin dall’antichità, poi ridimensionate con l’arrivo della Fillossera, a fine ‘800, in particolare proprio nei territori sopra a Lecco, oltre ad altre parti d’Italia. Negli ultimi decenni vi è stata una nuova espansione, però tutto sembra continuare come in passato, con una coltivazione e raccolta delle uve estremamente difficile e faticosa: una viticoltura eroica, appunto; al pari di certi territori liguri, della Valle d’Aosta o lungo la Costiera Amalfitana. Quindi oggi non è improbabile vedere, in tempi di vendemmia, degli elicotteri che salgono verso i pendii più impervi, per riportare i contenitori pieni in cantina; conti alla mano, risulta vantaggioso. Le vigne si inerpicano fra i 250 e i 700 m slm, su un terreno caratterizzato da graniti dolomitici quasi affioranti, oltre allo strato permeabile più superficiale costituito da fondi sabbiosi limosi. Come ci viene ben illustrato nelle preziose cartografie di Alessandro Masnaghetti, la Valtellina Superiore DOCG è suddivisa in 5 zone, da ovest verso est: Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella.
Un Nebbiolo delocalizzato?
Si vedono ancora rotaie ripide come cremagliere, ma soprattutto infiniti gradini e muretti in pietra. Un paesaggio incantevole dove il sole batte più di quanto si possa immaginare a queste latitudini, tanto che fra i sassi spunta persino qualche Fico d’India. E gli uomini qua hanno sempre lavorato sodo, portandosi la caratteristica e carica brenta sulla schiena. L’uva è la Chiavennasca, nei secoli dei secoli; ovvero la variante lombarda del Nebbiolo. Per quanto si possa immaginare il connubio storico Piemonte-Nebbiolo come un legame indiscutibile, in Valtellina si rivendica il ceppo della Chiavennasca come una coltivazione dalle origini altrettanto remote. Non basta dunque risolvere il vitigno della Valtellina come un Nebbiolo delocalizzato, semmai occorre vedere la Chiavennasca come indipendente, proprio per le antiche testimonianze romane. Del resto uno dei possibili significati del nome si deve alla provenienza, dal toponimo della limitrofa Valchiavenna. Allora, quale migliore chiusura del cerchio di questa presunta disputa? Proprio Nino Negri ci viene in aiuto, perché oggi il manager ed enologo che guida la cantina è Danilo Drocco: piemontese, originario di Cuneo.
La bottaia.
Le cantine
Di questa porzione di territorio lombardo, ove gli sciatori – cioè la maggior parte del turismo – tirano dritto verso Bormio, oltre 30 ettari sono di proprietà della cantina Nino Negri e altri 125 sono in gestione diretta, con oltre 200 conferitori. 800.000 sono le bottiglie annue prodotte, con 16 etichette, altre 6 selezioni di Valtellina, poi un metodo classico e una grappa di Sfursat.
È dal 1897 che Nino Negri ha sede a Chiuro e lo testimoniano le labirintiche cantine, ove le grandi botti sono state collocate nel sottosuolo poi richiuso, con sopra dislocate le abitazioni del paese; si entra dallo storico palazzo quattrocentesco, passando anche per la moderna zona di degustazione e vendita, poi ci si immerge nei meandri della terra e, fra una sala e l’altra di botti grandi tonneauIl Tonneau è una botte adatta all’affinamento del vino, dalla capacità di 900 litri.... Leggi e barriqueCon "barrique" si intende una piccola botte di legno adatta all’affinamento di vino dalla capacità compresa tra i 225 e i 228 litri.... Leggi, si sbuca da tutt’altra parte del caseggiato. La prima generazione fu Nino, poi Carlo Negri. Quindi venne l’era di Casimiro Maule, il passaggio di proprietà al Gruppo Italiano Vini, infine la cantina ha ereditato i trent’anni di esperienza sul Nebbiolo con l’arrivo di Danilo Drocco che qui ricomincia una nuova vita, lavorando sulla Chiavennasca.
Le vigne eroiche.
Ca’ Brione Alpi Retiche IGP 2020
Per quanto da questo territorio ci si aspetti vini rossi, alcune bottiglie fanno eccezione; una di queste, della Selezione di prestigio Nino Negri, è il Ca’ Brione da uve Chardonnay, Chiavennasca vinificata in bianco, Sauvignon e Incrocio Manzoni. È un bianco complesso (13% Vol.), le cui uve sono fatte lievemente appassire, poi l’affinamento avviene per 6 mesi in barrique; ne deriva un bouquet fruttato e aromatico, in equilibrio fra sentori di frutta a polpa bianca, una delicata nota di foglia di pomodoro e un finale largo, relativamente caldo e di buona acidità. Voto 89/100
Giùen Rosso di Valtellina DOC 2020
Letteralmente, giovane; da bere giovane, dunque, il Giùen (13% Vol.) è un vino pronto, dal colore rosso violaceo intenso, con un buon arrotondamento dei tannini grazie all’affinamento in legno di 6 mesi. Si esprime bene fra cenni di frutta scura di bosco e duroni neri persistenti, con una leggera tonalità speziata, lasciando un finale di palato lievemente sapido. Voto 86/100
Mazèr Valtellina Superiore DOCG 2018
Dal dialetto locale, Mazèr significa distinto; è il frutto della cuvée di alcune sottozone, di cui una parte viene fatta appassire solo per alcuni giorni, conferendo al vino (13,5% Vol.) una giusta dose tannica, moderata da sentori lievemente balsamici e speziati. Sosta due anni in botti grandi e medie, generando un Nebbiolo in purezza che ci riconduce ad alcune peculiarità gusto-olfattive di questo vitigno, fra cui mirtillo e liquirizia, rivendicando però il suo territorio alpino con latenze minerali e buona acidità. Voto 88/100
La degustazione.
Sassorosso Valtellina Superiore DOCG 2018
Espressamente derivato dalle uve della sottozona Grumello, il Sassorosso (14% Vol.) esalta la presenza minerale delle rocce affioranti di quei terreni in particolare, lasciando poi spazio alla spinta alcolica. Ne deriva un vino dal colore granato intenso, caldo, vibrante, con una prima parte olfattiva ricca di fiori appassiti e spezie orientali; si affina per due anni in botti di varie dimensioni, fra cui anche barrique, concedendo un finale persistente, deciso e finemente dosato di pepe. Voto 87/100
Inferno Carlo Negri Valtellina Superiore DOCG 2017
Altro vino nato dalla specifica sottozona, Inferno, oltre tutti gli aspetti organolettici, resta sempre un’etichetta dal fascino vagamente conturbante. Tutte le 5 zone della Valtellina Superiore DOCG vengono lavorate da Nino Negri con etichette specifiche, però questa zona in particolare, oltre a essere notoriamente molto calda e ripidissima, include Cà Guicciardi, uno dei tanti edifici in vigna che anticamente erano destinati a fruttaio – ove si depositavano le uve ad appassire per lo Sfursat – mentre oggi, dopo un rispettoso restauro, è luogo di piacevoli eventi direttamente in vigna. Dal colore rubino intenso con riflessi granati, questo vino (13,5% Vol.) rivela probabilmente l’esatta aspettativa della Chiavennasca: all’olfatto è deciso, avvolgente fra fiori rossi e frutta di bosco, con sottolineature decise di spezie fra cui cannella e noce moscata. Affina fino a 24 mesi in botti grandi. Decisamente strutturato e di lunga persistenza, lascia un palato di equilibrio fra tannini e freschezza, sapido e velatamente sulfureo. Voto 89/100
Sfursat Carlo Negri Sforzato di Valtellina DOCG 2018
Con la firma Carlo Negri si sottolinea un’altra Selezione di prestigio della cantina. E siamo allo Sfursat, l’emblema di questo territorio, risultato delle uve Chiavennasca appassite per 100 giorni all’aria fresca di montagna, con le forti escursioni termiche invernali di questi versanti scoscesi. La somma dei fattori rende lo Sfursat della Valtellina davvero unico. È un vino di grande complessità (16% Vol.), che non si concede al primo sorso; si presenta di colore granato lucente, rivelandosi all’olfatto con tutte le caratteristiche dei suoi fratelli, ma in questo caso fiori rossi, frutta di bosco, spezie pungenti e dolci, balsamicità e note eteree, tannicità e morbidezza, sono prima tutti correttamente delineati, poi arrotondati da un avvolgente ed elegante effetto glicemico, frutto dell’appassimento, ma anche dell’affinamento di 24 mesi in botti grandi. Voto 91/100
Sfursat 5 Stelle Sforzato di Valtellina DOCG 2018
Mentre la Valtellina dello sci, dopo l’anno buio del Covid, si prepara alle festività natalizie e a un capodanno tutto esaurito, occupandoci della Valtellina del vino, non possiamo non accennare a questo pluripremiato Sfursat di Nino Negri. anche il più conosciuto nella sua Selezione di prestigio. Nasce nel 1983 e volutamente porta fuori dalla tradizione lo Sfursat, con il suo lungo affinamento in barrique. È un vino fuori dalla normalità (16% Vol.), di colore rubino luminescente, suadente e ricco all’inverosimile, seppure mai scontato nell’esprimersi, in un equilibrio unico di tannicità, intensità dei legni, contrappunti di cuoio ed echi di lavanda. Al palato persistono le note di frutti rossi, ciliegie sotto spirito e ricordi di frutta esotica, mentre la sua capacità di rilasciare sempre freschezza e ancora sapidità, lo rendono un vino piacevole fino all’ultimo sorso. Voto 92/100